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 2019  settembre 20 Venerdì calendario

Biografia di Maurizio Cattelan


Maurizio Cattelan, nato a Padova il 21 settembre 1960 (59 anni). Artista. Tra le sue opere più famose: una scultura di cera, poliestere e veri capelli umani raffigurante Adolf Hitler inginocchiato e raccolto in preghiera; un dito medio alto sette metri in marmo di Carrara collocato davanti al palazzo della borsa a Milano; un cavallo imbalsamato e appeso al soffitto del castello di Rivoli, vicino Torino (titolo: Novecento); un wc rivestito d’oro a 18 carati che può essere utilizzato dai visitatori del museo Guggenheim di New York (titolo: America) e una scultura in poliestere e resina che ritrae Giovanni Paolo II colpito da un meteorite e attorniato di cocci di vetro. Tutte opere che lui idea, ma fa realizzare da altri • Dice che quel che gli interessa è produrre immagini: «In un mondo così sovraffollato di immagini veloci e facili da consumare, il lavoro degli artisti riguarda sempre più il potere delle immagini che producono: se funzionano, possono durare secoli» (a Paolo Bricco, Il Sole 24 Ore, 15/4/2018) • «Oggi nell’Olimpo degli artisti più “odiati”, ha preso il posto di Manzoni, non Alessandro, quello dei Promessi Sposi, ma Piero, quello della Merda d’artista. […] Per scandalizzare i benpensanti, quelli capaci di eccitarsi guardando un quadro dei Macchiaioli – movimento artistico fiorentino della seconda metà dell’800 sconosciuto ai più – bisogna dire che Cattelan è il più famoso artista italiano dal tempo di Leonardo o, senza esagerare, dai tempi di Fellini» (Francesco Bonami, Lo potevo fare anch’io, Mondadori, 2009) • «L’unica certezza è che con la sua arte è riuscito a generare dibattito, e a dominare i mercati» (Nicolas Ballario, Rolling Stones, 26/2/18). E infatti è l’artista italiano vivente più quotato: sommando le cifre spese per le sue opere si arriva 86,6 milioni di dollari. Solo il papa colpito da un meteorite, per dire, è stato comprato dalla casa d’aste Phillips a New York per 2,7 milioni.
Bugiardo «Col passato che rapporto hai? Te lo chiedo perché il tuo è particolarmente nebuloso: qualunque cosa uno legga su di te, sulla tua biografia, non si sa mai quanto si possa prendere per vero. “Trovo la verità terribilmente noiosa. La verosimiglianza è molto più interessante”» (Ballario) «Per sette anni rilasciavo interviste e ritiravo premi al suo posto. E l’ho fatto parlare con frasi di Breton, Kafka e Carmelo Bene. Ma era quello il vero Cattelan: l’artista con l’identità cangiante» (il critico Massimiliano Gironi, citato da Francesco Merlo, la Repubblica, 3/3/19) • • «Io sono le fake news».
Vita Figlio di un camionista e di una donna delle pulizie che avrebbe desiderato farsi suora. Due sorelle di cui una focolarina. «Già da bambino era di tendenze iconoclaste, era stato espulso dai chierichetti perché aveva fatto i baffi con il pennarello alla statua di Sant’Antonio patrono della città» (Bonami) • «A tredici anni vendevo souvenir e santini nella basilica di Sant’Antonio, poi ho lavorato in una lavanderia automatica» (a Camilla Baresani, Io Donna, 15/10/2011) • «Desideravo con tutte le mie forze liberarmi dell’autorità dei miei genitori. Sono scappato di casa e andato a lavorare per poter vivere da solo. A quel punto il desiderio era diventato far fuori i miei datori di lavoro» (a Chiara Maffioletti, Corriere della Sera, 23/4/2018) • «Quando si parla di Maurizio Cattelan, però, non si può mai sapere cosa sia vero e cosa no» (Ballario) • «La mia infanzia è stata esattamente quella che ho sempre raccontato» (a Cristiano de Majo, Studio, 28/8/2017) • «A diciassette sono andato a vivere da solo. […] Lavoravo tutto il giorno e la sera frequentavo le serali» (Baresani) • «Ho fatto il becchino, l’antennista, l’elettrotecnico e l’operaio» • «Di tutti i lavori che ho fatto, l’infermiere è il mio preferito. Per via del rapporto umano coi malati. Poi ho cercato qualcosa di meno impegnativo, la raccolta dei rifiuti. Finivo alle due del pomeriggio: lì ho assaggiato la libertà. Infine l’obitorio: portare, lavare, vestire i cadaveri. Di tutti i lavori, il più sereno. Non c’era coinvolgimento emotivo coi degenti. […] Non ce la facevo più: la necessità di lavorare, per sostentarmi, si è trasformata un po’ alla volta in autolesionismo. Avevo una lametta in tasca e mi tagliavo le dita, per poter andare al pronto soccorso e avere qualche giorno di malattia. A quel punto partivo per Amsterdam, che era la Bologna del nord. Lì ho scoperto il mondo degli artisti che occupavano fabbriche abbandonate. Poi tornavo a casa e, dopo una settimana, mi tagliavo di nuovo con la lametta. Non poteva durare. Un giorno, il più importante della mia vita, mi sono licenziato. E ho deciso che non avrei mai più lavorato. Ci sono voluti dieci anni per correggere l’educazione sbagliata ricevuta dalla mia famiglia: il lavoro visto come strumento per sopravvivere. Io invece volevo un lavoro che servisse a emanciparmi» (alla Baresani) • «Poteva uscirne fuori un terrorista, un serial killer, un pedofilo, uno psicoanalista da prima serata. Niente di tutto questo signori! Da una Padova dove si mangiava pane e P38 è venuto fuori semplicemente un probabile artista. Uno che sembra il frutto di un esperimento genetico dove hanno frullato il Dna di Buster Keaton e quello di Benigni con il seme di Ali Agca» (Bonami) • Progetta mobili: «Una grande casa vuota da abitare. È lì che comincia tutto. Il vuoto mi fa venire la nostalgia dei mobili. Ma non ho i soldi per comprarli. Così comincio a pensarli. Un paio di amici disegnano quello che penso, altri costruiscono, usando oggetti che scelgo, tipo rami d’albero, ferro, plastica, scarti. Le cose che nascono, lampade, tavoli, piacciono a un sacco di gente. All’improvviso mi invento che posso fare il designer» • Abita in via Maroncelli a Forlì. Misteriosamente, verso la fine degli anni ottanta, molte targhe degli studi professionali di ingegneri, dentisti e avvocati della città vengono rubate… • «All’arte sono arrivato per esclusione: ogni lavoro era una tortura, all’improvviso mi è sembrata una possibilità interessante, un’occupazione senza cartellino. Poi ho capito che se non ci sono orari, lavori sempre» • Si dice che abbia studiato Belle Arti a Bologna. «In realtà non ho mai frequentato l’Accademia, mi è bastato frequentare le persone che la frequentavano» (a Federico Giannini, finestresullarte.info, 19/04/2018). Nell’ambiente bolognese conosce Francesca Alinovi e Roberto Daolio, due famosi critici d’arte • «Ha cominciato con qualche trovata strampalata, come quella di far crescere uccelli dentro una bottiglia come le pere della grappa Williams, ma vi ha rinunciato. Ha tentato di insegnare a dei merli indiani ad abbaiare, ma non c’è riuscito» (Bonami) • Debutta alla galleria d’arte moderna di Bologna con Stadium: un lunghissimo tavolo da calcetto per 22 persone: i bianchi erano le riserve del Cesena, i neri operai senegalesi che lavoravano in Veneto • Compra uno spazio pubblicitario sulle pagine dei giornali e scrive: «Il voto è prezioso, tienitelo!» • Quando il critico Francesco Bonami lo invita alla Biennale di Venezia, invece di esporre qualcosa affitta il suo spazio a un’agenzia pubblicitaria, che lo utilizza per scopi commerciali • Trova una mecenate: Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, che lo riempie di soldi. Comincia a vivere tra Milano e New York • «La leggenda vuole che […] andasse a cercar vestiti nella spazzatura dell’East Village, prendendo in prestito le biciclette altrui senza chiedere il permesso […] Alcuni suoi detrattori dicono che oltre alle biciclette, Cattelan abbia rubato anche tante idee» (Bonami) • All’inizio le sue opere sono performance. Fugge da una mostra lasciando i visitatori a bocca aperta. Appende alla sua galleria un cartello con scritto «Torno subito». Poi passa a installazioni con personaggi di gomma o animali impagliati: «Lo scheletro del cane con il giornale del padrone in bocca. Lo scheletro del gatto ingrandito a dimensione di dinosauro. Il cavallo con le gambe allungate che penzola dal soffitto. Lo scoiattolo suicida in uno squallido tinello di periferia. […] Tutta la sua carriera è stata all’insegna dell’elusione. Come quando la pinacoteca di Ravenna gli commissionò un’opera e lui fece pervenire al direttore un certificato medico per non portarla a termine; oppure quando ha mandato a una galleria una denuncia, depositata dai carabinieri, che diceva che l’installazione che aspettavano, e che ovviamente non era mai esistita, era stata rubata. La vera fama internazionale arrivò con La nona ora, una scultura di cera molto realistica di Giovanni Paolo II schiacciato da un meteorite. Non voleva essere blasfemo, ma dire che ogni potere è precario. “Non mi stupirei se un giorno succedesse davvero: cadono già fulmini sulle persone, perché non meteoriti?”» (Bonami) • Dopo, si è permesso di tutto: tre fantocci di bambini impiccati a un albero a Milano (una riflessione sul tabù della morte?); una donna crocifissa di spalle sul muro di una chiesa; Hitler che chiede perdono nel ghetto di Varsavia; il dito medio gigante in piazza Affari («un saluto fascista depotenziato»); duemila piccioni impagliati alla Biennale di Venezia; il famoso gabinetto d’oro. La gente si arrabbia perché sono opere senza senso o addirittura oscene. «Ho sempre creduto che se una cosa può essere ridotta a un messaggio chiaro e cristallino, è artisticamente morta» (a Ballario). «Il buon gusto e la morale non sono il giusto metro di misura per l’arte. Qualsiasi sia il limite, l’arte deve occuparsi come primo obiettivo di spostare l’asticella un po’ oltre quel confine, un centimetro alla volta» (a Irene Maria Scalise, la Repubblica, 9/9/2017) • Tra il 2011 e il 2012 il Guggenheim di New York gli dedica una retrospettiva completa: ci sono anche le targhe degli studi professionali scomparse trent’anni prima a Forlì (il titolo è Non si accettano testimoni di Geova e il reato di furto ormai è prescritto). Annuncia che intende ritirarsi dalla scena artistica, ma poi ci torna. «Se gli si chiede se era l’ennesima provocazione risponde ridendo: “La verità è che continuo a non fare niente e quindi posso smettere quando voglio. Ogni tanto ho il dubbio di aver annunciato il mio ritorno per evitare di rispondere a domande come questa”» (Scalise) • Negli anni, ha fatto arrabbiare cattolici, leghisti e animalisti. «Lo odiano e invidiano gli artisti dell’Arte Povera, così come quelli della Transavanguardia. Loro sono diventati famosi in branco, lui da solo e più di loro» (Bonami).
Dietro le quinte «“Non so disegnare. Non so dipingere. Per me l’arte è vuota. Sono gli spettatori a fare il lavoro degli artisti”» (Nico Orengo) • Dal 2003, i manichini con fattezze umane glieli realizza tutti tale Michele Guaschino, 52 anni, piemontese, che in una via dietro piazza Statuto a Torino crea maschere e trucchi scenici per teatro e cinema, ricostruzioni facciali per la polizia scientifica, sculture in silicone e resina per una schiera di artisti (tra l’altro, Guaschino ha studiato anatomia e ha lavorato anche per Dario Argento).
Vita privata e personalità «Gira in bicicletta. È un uomo in forma, gentile, dall’aspetto normale» (Baresani) • Bilocale a Manhattan, nell’East End; monolocale a Milano, vicino a Porta Ticinese. Lo studio invece ce l’ha in zona Porta Venezia (dove frequenta la trattoria Carpaccio, il bar Basso e la piscina Cozzi) • Non fa una vita sregolata. «Bevo solo nel fine settimana. Vodka liscia, cercando di evitare i cerchi alla testa. Mi ubriaco di lavoro. Mai di alcol» (a Baresani) • «Mi sveglio alle sei: controllo posta, piscina, controllo posta, telefono. Pranzo. Pomeriggio: posta, telefono, posta, edicola, telefono. Se è sabato: mostre e gallerie. Cena, cinema o televisione o libro, controllo posta. Domenica: messa» • «“Solo quando non si è sicuri si è molto sensibili alle critiche. Però, di solito, se non sono sicuro, non espongo. Prima ci penso tante di quelle volte…” […] È timido: di solito non ti guarda in faccia, e quando si comincia a parlargli di amore e fidanzate è visibilmente in imbarazzo» (Baresani) • Ex fidanzato di Vanessa Beecroft e Victoria Cabello: «“La mia vita è fatta di abitudini e di un’ossessione. Lo dico sempre alle donne: non devi essere gelosa delle altre ma del mio lavoro” […] Che donne le piacciono? “Grosse, grandi, generose, creative, divertenti. Con le donne il problema non è il durante, ma il dopo. Devono essere indipendenti. E poi va a periodi. Quando sei intasato di lavoro vuoi degli accessori. Quando sei stressato vuoi la compagna che ti capisce e ti dice che ce la farai. Quando sei libero vuoi la famiglia. Comunque, nel lavoro e nella vita sono sempre stato ‘sposizionato’, nel posto sbagliato. E per amore ho sempre sofferto, moltissimo”» (Baresani).
Fu vera gloria? «[Un lavoro, ndr], se è buono, deve essere in grado di farsi amici e anche nemici» (a Baresani) • «Il re dei furbacchioni, il cui maggiore capolavoro è aver capito come manipolare i mezzi di informazione» (il curatore d’arte Jonathan P. Binstock, citato da il Giornale, 3/6/2008) • «È la banalità del finto scandalo […]. Trasgredendo seppellisce la trasgressione e il mito dell’artista-diavolo. È la banalità più pagata del mondo» (Merlo) • «L’artista di oggi, un saltimbanco a cui non si chiede più di épater le bourgeois ma di limitarsi a piccoli scherzi dalla natura goliardica» (Luca Beatrice, il Giornale, 16/10/18) • «Sostenitori di uno stile non supportato da conoscenze tecniche, i post-dadaisti non frequentano più botteghe. Privi di mestiere, studiano solo le strategie del marketing. Si comportano come nuotatori che, per non affogare, compiono esclusivamente atti disperati. […] Mi creda, non ci resta che essere reazionari”» (lo storico dell’arte Jean Clair, accademico di Francia, citato da Vincenzo Trione, Corriere della Sera, 8/2011) • «Bigotti hegeliani convinti non solo che lo Spirito del Tempo esiste, e fin qui, ma che davanti a esso bisogna obbligatoriamente prostrarsi. Inutile discutere: lo Zeitgeist è un dogma. […] Mi viene in mente l’atteggiamento reverenziale di Letizia Moratti verso i bambini impiccati e i medi alzati, le vaccate sacre di Maurizio Cattelan» (Camillo Langone) • «C’è chi dice che questa non è vera arte, ma invece è verissima, d’origine controllata al cento per cento. Come i grandi artisti del passato, il nostro maestro di Padova parla della vita e della morte, della storia, della religione e del sesso, dell’anima, ma lo fa, e non si vede come potrebbe essere altrimenti, con gli strumenti del presente» (Bonami) • «Credo che le opere d’arte debbano passare attraverso una fase di trend, un periodo calante e un ritorno, prima di essere giudicate. Solo a quel punto, se è sopravvissuta fino alla terza ondata, puoi dire se è un’opera importante, o addirittura un capolavoro. Oggi possiamo definire i capolavori degli anni ’80, non oltre» (Cattelan stesso a Ballario).
Editoria Nel 2010 ha fondato la rivista Toilet Paper (ossia “carta igienica”) assieme al fotografo Pierpaolo Ferrari «Anche chi l’ha sfogliata avrebbe difficoltà a definirla: una rivista senza testi, fotografica, astratta, erotica, di cibo, design, moda? La cosa preminente è che in questi anni Toilet Paper ha inventato dal nulla un’estetica, che essendo impossibile da definire, è preferibile chiamare – e così fan tutti – “estetica Toilet Paper”. Un’estetica che poi è diventata un brand. Produce mobili (tappeti, tavolini, specchi, sedute). Produce editoriali per riviste di moda. Produce video (Cassius). E organizza feste leggendarie» (de Majo)
Al ladro America, il suo gabinetto fatto di 103 chili di oro massiccio, è stato misteriosamente rubato la notte tra il 13 e il 14 settembre 2019, mentre si trovava in prestito, a Blenheim Palace, la casa natale di Winston Churchill, nell’Oxfordshire in Inghilterra • Lui giura di non averci nulla a che fare • «Potrebbe essere come il furto della Gioconda nel 1911. […] D’altro canto era un omaggio al celebre orinatoio di Duchamp, che guarda caso andò disperso dopo la sua prima apparizione nel 1917» (Vittorio Sgarbi a Emilia Costantini, Corriere della Sera, 17/9/2019)
Curiosità Legge moltissimo ma regala tutti i libri appena li ha finiti • Su Instagram pubblica un solo post al giorno, poi lo cancella. Ha 151mila seguaci • Ha alcuni doppi che vanno agli eventi e concedono interviste al posto suo • Nel 2017 hanno girato un documentario su di lui: si chiama Be right back, che significa “Torno subito”. «Un film su sé stessi, fatto a tua insaputa, è sicuramente un ottimo modo per sbarazzarsi dell’analista» • «“Non mi piace avere cose intorno. Mi disfo di tutto. Nella casa di Milano ho tolto persino il bagno”. Anche il water? “No, quello no, resiste in un metro quadrato dietro una porta. Ma la vasca da bagno è accanto al letto. Più un sarcofago che una vasca. Nelle mie case l’unico arredo è un tavolo, un letto, una sedia. Vivere senza la pesantezza di questo bagaglio di cose e di pensieri mi permette di guardare in avanti con leggerezza e lucidità. E poi mi piace l’idea di essere sempre pronto a trasferirmi dall’altra parte del mondo, senza guardarmi indietro”» (Baresani) • Non ha nemmeno la tivù. «Uso lo streaming. Purtroppo o per fortuna non ho mai avuto una tv, anche se mi sembra di vederla continuamente. Basta uscire per strada: la cultura televisiva è radicata in ogni ambito, come se tutto il Paese fosse governato da un telecomando» (Baresani) • «L’autore è una mia vittima che io ho obbligato a conoscermi, il danno l’ho fatto io a lui. Guai a mettere in dubbio quello che dice ma attenzione a credere a una sola parola di quanto ha scritto. Questo libro dimostra che la verità è falso e che le bugie hanno le gambe storte. Santa Bugia, la santa che tiene un piatto con sopra due coglioni. Io e l’autore. Buona lettura» (prefazione alla sua Autobiografia non autorizzata, di Francesco Bonami, 2011, Mondadori).