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 2019  settembre 11 Mercoledì calendario

Il giorno in cui si estinsero i dinosauri

Una importante ricerca condotta sul sito del cratere di Chicxulub, nel golfo del Messico, ha fornito un resoconto sorprendentemente dettagliato di quello che si pensa sia successo il giorno in cui un enorme meteorite impattò con la Terra contribuendo all’estinzione di tre quarti delle specie viventi dell’epoca, compresi i dinosauri, circa 66 milioni di anni fa. I risultati della ricerca, pubblicati lunedì sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, contengono una descrizione quasi minuto per minuto degli eventi che seguirono all’impatto, grazie allo studio dei sedimenti accumulati sul luogo del cratere e che erano rimasti conservati per milioni di anni al largo della penisola dello Yucatan. È una specie di diario del primo giorno del Cenozoico – come è stato intitolato lo studio – l’era geologica che seguì il Mesozoico e che è tuttora in corso.
Il cratere di Chicxulub è largo oltre 150 chilometri e profondo circa 20, anche se oggi non ha la forma evidente di un cratere per via dei moltissimi sedimenti che si sono accumulati negli anni. Ma proprio quei sedimenti hanno conservato, a circa 500 metri sotto il fondale marino nel golfo del Messico, una specie di cronologia dei minuti successivi all’impatto dell’asteroide. Trivellando nel suolo da una piattaforma simile a quelle per l’estrazione del petrolio, a partire dal 2016 gli scienziati guidati dal geofisico Sean Gulick della University of Texas hanno raccolto un campione di crosta terrestre lungo circa 800 metri, che hanno analizzato con una serie di test rivelando il susseguirsi di eventi di uno dei giorni più traumatici della storia della vita sulla Terra. Il progetto è costato dieci milioni di dollari, ed è stato finanziato dall’International Ocean Discovery Program e dall’International Continental Scientific Drilling Program.
Fino a un po’ di tempo fa, per ricostruire cosa seguì all’impatto dell’asteroide si usavano simulazioni e modelli matematici e le informazioni messe insieme analizzando i campioni geologici provenienti dai più disparati luoghi del mondo. L’impatto infatti proiettò nell’atmosfera circa 25mila miliardi di tonnellate di detriti, che finirono a migliaia di chilometri di distanza e perfino su altri pianeti del sistema solare. Un recente studio condotto in una valle particolare tra North e South Dakota, in particolare, aveva fornito una versione molto dettagliata – ma in parte contestata – di cosa successe dopo l’impatto.
Ma per ricostruire con precisione quegli eventi serviva analizzare il cratere vero e proprio, cosa che è infine avvenuta. Nella geologia, i sedimenti che si accumulano verticalmente nel suolo sono da sempre utilizzati come resoconto cronologico della storia del pianeta. Nel caso del cratere di Chicxulub, però, questi sedimenti si sono ammassati a una velocità incredibilmente superiore al normale, nell’ordine di oltre cento metri in un singolo giorno: questo significa, ha spiegato Gulick, che contengono informazioni che testimoniano gli avvenimenti «nella scala di minuti e ore», come una specie di scatti in rapida successione che raccontano lo schianto dell’asteroide.
Secondo la ricostruzione degli scienziati, nell’impatto il meteorite scavò un buco profondo tra i 40 e i 50 chilometri in pochi secondi, creando un enorme calderone di vapore e rocce sciolte, che si impennarono formando una montagna alta quanto il monte Everest. Nel giro di pochi minuti, questo ammasso roccioso bollente collassò su se stesso formando una serie di onde di lava che, solidificandosi, formarono una vera catena montuosa.
Circa venti minuti dopo, l’acqua tornò a ricoprire il luogo del cratere e le nuove vette montuose, ricoprendole con una gran quantità di suevite, la roccia formata dall’impatto, e nelle ore successive si accumularono detriti sempre più piccoli, crollarono ripetutamente le pareti del cratere e scoppiarono innumerevoli bolle di vapore. L’impatto, hanno stimato gli scienziati, liberò una quantità di energia sotto forma di calore in grado di incendiare un’area fino a 1.500 chilometri dall’impatto. Materiale incandescente fu proiettato in pochi istanti oltre l’atmosfera e nuovamente sulla Terra a migliaia di chilometri di distanza: detriti talmente caldi da incendiare qualsiasi cosa incontrata nella loro caduta verso il suolo. Gli scienziati hanno ritrovato uno strato di detriti organici e carbone, che hanno dedotto arrivò dalle coste in fiamme trasportato dal mare, sconvolto da un potentissimo tsunami.
Nel campione raccolto non è stata praticamente trovata traccia di zolfo, invece molto presente nelle rocce intorno al cratere. Questo sembra confermare la teoria secondo cui l’impatto liberò centinaia di miliardi di tonnellate di zolfo nell’atmosfera che dalla roccia polverizzata del fondale marino si diffuse nell’atmosfera, dove potrebbe aver causato una sorta di nebbia di acido solforico in grado di oscurare parzialmente la luce solare per decenni, facendo calare le temperature medie globali di oltre 16 gradi, e causando un lunghissimo inverno. Oppure potrebbe aver creato una serie di potentissime piogge acide in grado di alterare drasticamente gli equilibri degli oceani. In entrambi i casi, le conseguenze per la vita sul pianeta furono devastanti.
Praticamente tutte queste ricostruzioni erano già state ipotizzate in passato, ma per molte è la prima volta che vengono raccolte delle prove a loro sostegno. Di per sé, eventi come l’asteroide che colpì la Terra 66 milioni di anni fa potrebbero ripetersi: il nostro pianeta si muove costantemente in mezzo a detriti spaziali, che talvolta entrano nell’atmosfera. Nel 2013, un asteroide di 30 metri di diametro si disintegrò nel cielo sopra la Russia, danneggiando oltre 7mila edifici e ferendo circa 1.400 persone. Le agenzie spaziali tengono sotto controllo la situazione, per accorgersi in tempo della rara ma presente eventualità che questi eventi si verifichino: nel 2021 la NASA ha in programma una missione per raggiungere l’asteroide Didymos, di circa 160 metri di diametro, per sperimentare un modo sicuro per deviarne la traiettoria.
Non dobbiamo comunque preoccuparci di un’estinzione di massa: gli scienziati ritengono che eventi apocalittici come quello del cratere di Chicxulub si verifichino con una frequenza di una volta ogni tot miliardi di anni. Se proprio bisogna temere eventi catastrofici per l’umanità, insomma, ha più senso concentrarsi su altre cose che minacciano più concretamente il futuro della vita sul pianeta, come il riscaldamento globale.