Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  luglio 19 Venerdì calendario

I Promessi Sposi del Tamil Nadu

Quel ramo del lago di Porur che volge a mezzogiorno… Un attimo, Porur? Questo è il nome del piccolo lago a due passi dal quartiere di KK Nagar nel cuore di Chennai, metropoli del Sud indiano dove, dopo vent’anni, s’è conclusa una saga che copia la trama dei Promessi Sposi, tranne per un dettaglio tragico che ricorda un film horror. Più che di divina Provvidenza, questa storia indiana parla di hybris, di un enorme successo che porta a pensare d’essere impunibili, e di una caduta dovuta a un’ossessione passionale.
I personaggi ci sono tutti. Da Renzo e Lucia a Don Abbondio, dai bravi all’Innominato. Ma sono tutti indiani. E non è il 1628, ma il 2019. Il don Rodrigo al centro della vicenda è un milionario indiano di 71 anni, basso, con qualche chilo in più, capelli candidi, camicia inamidata e «dhoti», la gonna da uomo in cotone. Nel 1947 il nostro don Rodrigo indiano nasce da un venditore di cipolle all’ingrosso in un paesino talmente minuto che non ha nemmeno una fermata del bus. Adolescente, si trasferisce a Chennai, che all’epoca si chiama ancora Madras, dove nel 1973 apre un alimentari. Un suo cliente si lamenta che nel quartiere non si trovano ristoranti. All’epoca solo l’alta casta dei bramini può permettersi ristoranti dove cuochi e avventori possono essere solo bramini. Gli altri? Si arrangiano. 
Nel 1981, Rajagopal decide allora di aprire il suo primo ristorante dalla formula semplice e geniale: vendere cibo di ogni giorno, quello che mangia il popolo, sano, buono, dal sapore fatto in casa. «Pure-veg», totalmente vegetariano. Gli ingredienti sono riso, lenticchie e verdure. Il «masala dosa», crêpe di riso con patate e cipolle intinte in salsa chutney a base di cocco. Le «vada», ciambelle fritte di legumi. E gli «idli», polpettine di riso al vapore e lenticchie. Il business model è: alti volumi, margine basso, manodopera a basso costo. 
Il successo è immediato. Il ristorante «Hotel Saravana Bhavan» è sempre pieno perché è la soluzione perfetta per le famiglie di classe medio-bassa, proprio quando questo settore della società indiana sta crescendo esponenzialmente. «Rajagopal è l’uomo che ha democratizzato i ristoranti», commenta un giornalista di Chennai, GC Shekhar.
Copiando il modello Usa
Il genio del fast-food viaggia a Singapore dove vede il suo primo McDonald’s. Capisce che è il momento di ingrandirsi. Ha visione e polso. Copiando il modello americano, velocizza la catena di produzione e apre i franchising. Oggi ci sono 33 Saravana Bhavan in India e 47 in tutto il mondo. Il primo a Dubai, poi Parigi, Manhattan, Londra, Australia, Nuova Zelanda. In ogni continente. Ce n’è uno anche a Roma.
Il segreto del successo è rigore e severità, ma prendendosi cura dei dipendenti che hanno tutti assicurazione medica, pensione, una tv in regalo, educazione pagata per i figli. Una rarità, in India. Chi lavora per lui ne ha un’adorazione religiosa. Lo chiamano «il nostro fratello maggiore». 
E fin qui, più che i Promessi Sposi, pare una di quelle trame dalle stalle alle stelle da film di Hollywood. Ma ecco che il mecenate della ristorazione si trasforma in don Rodrigo. Per lussuria.
Agli albori della nuova formidabile vita, nel 1972 aveva sposato la madre dei suoi figli. Ma nel 1994 sposava anche la moglie di uno dei suoi dipendenti. Tre anni dopo s’innamora ossessivamente di una ragazza, la figlia di un suo assistente manager. Ecco Lucia, o meglio, Jeevajothi. Rajagopal vuole che diventi la sua terza «moglie simultanea». 
Il tutore di suo fratello
Ma Jeevajothi non è interessata. È innamorata del tutore di matematica di suo fratello, Santhakumar. Ovvero, Renzo. Nonostante le insistenze di Rajagopal, nel 1999 Jeevajothi e Santhakumar fuggono di casa e si sposano. 
Ma don Rodrigo non demorde. Dice che Ravi, un astrologo vedico, don Abbondio, gli ha consigliato di prenderla in moglie se vuole continuare ad avere successo. Il boss le regala gioielli, vestiti di marca, contanti per farle aprire un’agenzia di viaggi. Lei accetta i regali, ma non le avance. 
È la mezzanotte del 28 settembre 2001 quando don Rodrigo piomba a casa degli sposini con i suoi bravi, intimando a Renzo di iniziare le pratiche di divorzio. «Hai due giorni di tempo!». Poi, rivolto alla sposa: «Anche la mia seconda moglie sulle prime aveva rifiutato, ma ora fa la vita di una regina».
A Jeevajothi non interessano i soldi, ma l’amore. Gli sposini tentano di scappare da Madras, ma vengono bloccati da cinque dipendenti di Rajagopal, i bravi, guidati dal manager Daniel, l’Innominato. Li infilano in un’auto Ambassador e li portano ai magazzini di Saravana Bhavan, dove li picchiano. 
Il desiderio inarrestabile
Roso dal rimorso, il manager Daniel il giorno dopo chiede scusa alla sposa e la invita a informare la polizia. Fatta la denuncia, dopo una settimana vengono di nuovo sequestrati e separati. Jeevajothi viene infilata in una Mercedes con l’orrido Rajagopal, mentre il povero Santhakumar scompare. 
Dopo due giorni la moglie riceve una telefonata del marito che le dice che Daniel è stato pagato 500 mila rupie, quasi 9 mila euro, per ucciderlo, ma l’ha risparmiato ordinandogli di nascondersi a Bombay (ora Mumbai) e non farsi mai più vedere. La moglie convince il marito a tornare in città. Renzo e Lucia, con i genitori di lei, vanno a implorare Rajagopal. E siamo alla scena madre. 
Rajagopal chiude lo sgherro Daniel in una stanza, nell’altra Jeevajothi, lo sposo redivivo e i familiari. Il proprietario dei ristoranti più famosi d’India interroga il suo uomo di fiducia. 
«Ho legato Santhakumar a una rotaia», assicura Daniel, «poi ho bruciato i suoi vestiti». Il boss allora apre una porta e fa entrare il resuscitato: «E questo chi è, allora?». Daniel-l’Innominato picchia a sangue il povero Santhakumar per aver rivelato il tradimento. I bravi infilano tutti in un furgone, dicendo che li avrebbero portati in un villaggio per farli esorcizzare. Invece è un modo per separarli dal marito, che parte nella notte con Daniel e i suoi bravi. 
La resistenza fino a luglio
Dopo una settimana di ricerche, nel Bosco della Tigre, a 2000 metri sul livello del mare, tra le montagne di Kodaikkanal, al confine con lo Stato del Kerala, viene ritrovato il cadavere di Santhakumar. Il «dhoti» usato per strangolarlo verrà rinvenuto dalla polizia sotto al sedile dell’auto di Daniel. 
Nel 2004, Daniel e Rajagopal vengono condannati per omicidio. Solo 10 anni di prigione. Ma vanno in Appello. Passano gli anni, tra gli strascichi e le lentezze dell’iter giudiziario. Alla fine, il giudice di terzo grado ripristina la sentenza di primo grado: l’ergastolo. L’Appello si è concluso solo pochi mesi fa. A inizio luglio, Rajagopal si sarebbe dovuto presentare in prigione. Ma s’è dato per malato. Ha resistito fino a metà mese quando, a bordo di un’ambulanza, il viso nascosto da una mascherina d’ossigeno, s’è presentato finalmente alle carceri di Chennai per scontare l’ergastolo per omicidio.
Si chiude così questa versione Tamil dei Promessi Sposi. Renzo muore, don Rodrigo va in prigione. Non è un vero lieto fine. Non è una grande pubblicità per una famosa catena di ristoranti vegetariani, non un bel finale per questa storia di sfida alla società, di delirio di onnipotenza dovuto al denaro e al successo. Ma è la prova che, a volte, molto in ritardo e forse inutilmente per la povera Lucia indiana che ha perso il suo Renzo, un po’ di giustizia, anche per gli umili, arriva.