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 2019  luglio 19 Venerdì calendario

Il telescopio blasfemo fa infuriare gli indigeni

Gli astronomi e le divinità del vulcano Mauna Kea sono ai ferri corti. I primi vogliono costruire un telescopio sulla più alta sommità dell’isola di Hawaii. Le seconde sono supportate dai nativi, che si oppongono alla profanazione di una montagna considerata sacra. Fra gli indigeni, in 33 sono finiti in manetteieri per aver occupato la strada che conduce alla vetta, bloccando da 4 giorni i camion pronti a dare inizio ai lavori. In ballo c’è la costruzione del Thirty Meter Telescope, uno degli strumenti più potenti del mondo, 1,4 miliardi di dollari di budget, progettato per guardare nella preistoria dell’universo e rispondere alle domande sull’origine del mondo. Ma in maniera, forse, troppo diversa da quella delle divinità.
Una scena simile a quella di oggi alle pendici del Mauna Kea – 4mila metri di altezza, un’aria tersa e asciutta ideale per le osservazioni – si era vista già nel 2015. Allora i nativi, nonostante le manette scattate a più riprese, ebbero la meglio e per un attimo si pensò di costruire il telescopio nelle più laiche Canarie. Gli astronomi però si rifecero in tribunale e un giudice di Honolulu, nel 2018, ordinò la ripresa dei lavori. I primi camion avevano acceso i motori lunedì scorso, solo per trovare la strada che conduce al vulcano bloccata da gazebo e capannelli di circa mille dimostranti, rimasti inchiodati sul posto, con le braccia intrecciate gli uni agli altri, anche in mezzo a un paio di bufere e nonostante l’arrivo dei poliziotti con i manganelli. I 33 arrestati (molti gli anziani, i cosiddetti “kupuna” o saggi della comunità), sono stati subito rilasciati. Ma il governatore delle Hawaii ha firmato un decreto che dà alla polizia poteri d’emergenza. La battaglia è destinata a salire d’intensità.
Il Thirty Meter Telescope, progettato da un consorzio di scienziati del California Institute of Technology e altre università giapponesi, indiane e canadesi, sarà (se realizzato) solo il più grande, fra i 13 osservatori che già punteggiano il vulcano. La sua vetta è considerata la casa di Wakea, il cielo padre, che qui si accoppiò con la madre terra e diede vita agli abitanti dell’isola. I nativi temono che la nuova, enorme, costruzione danneggi la natura. Ma non tutti fanno fronte comune. Un partito di indigeni pragmatici sostiene che un telescopio in più, situato tra l’altro ad alcuni chilometri dalla cima, non turberà più di tanto la pace degli dei.