Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  luglio 17 Mercoledì calendario

Amore e MeToo nei giorni dei preraffaelliti

Sono meravigliose o orribili le opere dei preraffaelliti? Di pessimo gusto o d’avanguardia, nel loro tempo ma addirittura anche oggi? Dipende dal momento: se all’asta di Christie’s hanno appena venduto per 91 milioni di dollari il Coniglio di Jeff Koons, allora si può anche rimpiangere Sant’Elisabetta di Ungheria o Maria Maddalena alla porta di Simeone il fariseo; se invece si è appena visto un telegiornale con certe facce patibolari, c’è allora la possibilità di detestarli, perché quei giovanotti inglesi della seconda metà dell’Ottocento ci hanno preso in giro, predicando l’eterna bellezza e bontà del mondo. Adesso si può verificare il gradimento (o il rifiuto) personale verso questa corrente pittorica molto inglese, meglio se in un momento di particolare bonomia, visitando a Palazzo Reale di Milano la mostra “Preraffaelliti, amore e desiderio” (sino al 6 ottobre). È curata da Carol Jacobi, responsabile dell’arte britannica 1850-1915 della Tate Britain, il museo londinese che presta la maggior parte delle opere esposte, 83 tra dipinti su tela, acquarelli su carta e, soprattutto disegni a matita e carboncino: che sono anche le opere più interessanti e vive. Si sa che non c’è mostra di cui gli esperti non lamentino l’assenza di certi capolavori da loro giudicati irrinunciabili: in questo caso, si può ritenere non pregiudizievole la mancanza di Una famiglia inglese convertita difende un missionario cristiano dalla persecuzione dei druidi (William Holman Hunt, 1850) e anche di Prendete vostro figlio signore! (Ford Madox Brown, 1852), tele più fotografiche delle più pittoriche fotografie della geniale e celebre Julia Margaret Cameron. C’è invece per fortuna Ofelia di John Everett Millais, 1852, che è forse tra i dipinti più riprodotti ovunque, davvero indimenticabile forse persino per gli appassionati di contemporaneità efferate. È una tela anche un po’ spaventevole, oscura, con quell’acquitrino muschioso, quel buio di piante aquatiche dai fiorellini languenti, quel corpo di fanciulla, Ofelia suicida, disteso nell’acqua sotto strati di foglie morte, il viso incantato dallo stupore della fine. Ma insomma se non hai il cuore di pietra, non te lo dimentichi.
La confraternita preraffaellita tenne la sua prima riunione nel settembre del 1848: Dante Gabriele Rossetti, figlio di un esule carbonaro di origini abruzzesi e di Frances Polidori, sorella dell’autore del Vampiro; John Everett Millais, ritenuto dagli amici colpevole di aver commercializzato l’arte vendendo il ritratto del nipotino ai saponi Pears che ne fecero il loro manifesto pubblicitario; William Holman Hunt, ex commesso di un negozio di tessuti, il più preraffaellita di tutti, appassionato di soggetti sacri al punto da farsi la casa a Gerusalemme. Poi tutti gli altri, sotto la protezione di John Ruskin, nato nel 1819, anno fatale per l’Inghilterra con la nascita della futura regina Vittoria e la strage di Peterloo (hanno appena dato il bel film di Mike Leigh), padre ricco commerciante di sherry, madre rigida evangelica: critico, scrittore, disegnatore eccelso; rigido moralista, spregiatore dell’arte classica, i suoi gusti si fermavano attorno al Trecento italiano, appunto prima del Rinascimento e dell’innocente Raffaello. Così tutti i suoi seguaci, che forse, allora, non avevano torto: e sarebbero i benvenuti anche adesso, tale è il nostro precipizio al di là dell’arte. L’Inghilterra vittoriana della seconda metà dell’Ottocento stava vivendo una avventurosa crescita economica, una potente industrializzazione, l’affermarsi di nuove ricchezze non più legate alla terra e ai titoli nobiliari. Negli anni in cui sorgeva l’immenso Crystal Palace di acciaio e vetro, per la prima esposizione universale che celebrava l’altezzosità della Gran Bretagna, detestato da Ruskin che sosteneva l’architettura neogotica (il restauro di Westminster), l’orgogliosa Londra era circondata da miserabili bassifondi, da recessi di miseria e degrado ignorati (in una stanza potevano vivere 30 persone) luoghi e abitanti che poi Gustav Doré avrebbe rivelato al mondo con i suoi tragici disegni raccolti in The Victorian Underword. L’orario di lavoro era interminabile, i bambini lavoravano dai 5 anni, nel 1857 si contavano quasi 9000 prostitute dai 15 ai 22 anni, ma anche bambine, fin quando la legge stabilì come limite i 12 anni. I borghesi caritatevoli, e con l’arte la confraternita, predicando purezza e addirittura santità erano meno interessati alle tragiche situazioni socioeconomiche che a quelle della moralità: per questo dipingevano storie edificanti, e nella mostra milanese non mancano i disegni preparatori di Gesù che lava i piedi a Pietro di Ford Madox Brown e Il sogno di Dante alla morte di Beatrice di Dante Gabriele Rossetti: figura tutt’oggi romantica, bello, disordinato in amore, eccessivo consumatore di droghe. Fortunatamente a palazzo Reale si possono contemplare i suoi più celebri volti di donna, delle sue donne. Anche se questi preraffaelliti predicavano bene con opere mistiche e virtuose, in realtà, come si dice, razzolavano con una certa libertà. L’Ofelia di Millais era Lizzie Siddal, giovanissima artigiana dei cappelli, diventata contemporaneamente modella dei preraffaelliti, fino a quando Rossetti la volle in esclusiva, la portò a letto per anni e poi finalmente la sposò: era sempre malaticcia, disperata per la bimba nata morta, gelosa, drogata come il marito. A 32 anni si suicidò e il suo Dante, apparentemente affranto, seppellì con lei suoi versi: per poi pentirsene, farla riesumare e riprenderseli. È sempre la povera Lizzie a rappresentare nel 1866, quindi post mortem, la celebre Monna Vanna dalla immensa capigliatura rossa, ricco abito rinascimentale, gioielli tra i capelli, pelliccia, bracciali esotici, una raffigurazione femminile di una maga imperscrutabile e perversa: una Lucrezia Borgia, una Aurelia amante di Fazio, una Bocca Baciata e, non in mostra, una Elena di Troia, tutte signore senza sorriso e dall’immensa capigliatura rossa. Le modelle, oltre alla povera Lizzie, erano le belle amanti, Jane Morris, moglie di William Morris (quello delle tappezzerie riscoperte dagli arredatori), Fanny Cornforth che poi divenne la governante di Rossetti, e la più spregiudicata di tutte, l’operaia Anne Miller, bellissima e sporcacciona, fidanzata multitraditrice dell’amico preraffaellita Holman Hunt. Nella vita insomma questi artisti facevano scandalo, il massimo lo raggiunse Effie Grey, moglie di Ruskin, che lo portò in tribunale con l’accusa, provata, di non aver consumato il matrimonio e ottenere l’annullamento per poi sposare l’amato John Everett Millais, tra l’altro autore del più bel ritratto di Ruskin. Capita raramente che ci si ricordi di preraffaellite femmine, e anche nella mostra milanese non c’è una sola opera della stessa Lizzie Siddal autrice anche di bei versi, di disegni su carta come Gli amanti ascoltano musica e acquerelli come Il lamento delle donne. Poi si trova il catalogo di una mostra del 1998 a Manchester dedicata alle sole preraffaellite femmine e si scopre che le signore preraffaellite sono state decine, con disegni e dipinti spesso molto belli. Una mostra a Milano sarebbe un ottimo MeToo d’arte.