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 2019  luglio 15 Lunedì calendario

Trump toglie Zarif dalla lista nera Usa


Il ministro degli Esteri iraniano ottiene il visto dagli Stati Uniti, viene tolto dalla lista nera, e vola a New York per partecipare ai lavori delle Nazioni Unite, mentre il presidente Hassan Rohani si dice contrario all’arma atomica e «pronto a negoziare» sulla base di pari dignità e se le sanzioni «verranno tolte». E intanto nuovi atteggiamenti alimentano la sensazione che l’America di Donald Trump stia cercando un nuovo accordo con Teheran e non la guerra. Anche perché, ha rivelato l’ex ambasciatore britannico a Washington, Sir Kim Darroch, il presidente americano si è ritirato dall’intesa del 2015 «soltanto per far dispetto a Barack Obama», una tesi già dibattuta e che ora trova conferma.
Nella crisi del Golfo, nel giro di due settimane, si è passati dai cacciabombardieri a stelle e strisce «a dieci minuti» dal lanciare i loro missili sulle basi dei Pasdaran alla possibilità di riaprire il dialogo. Il primo segnale è stato la concessione del visto a Zarif, destinato al culmine della crisi a essere sanzionato e a non poter più visitare Paesi occidentali. Invece il capo della diplomazia iraniana sarà alla riunione dell’Onu di domani e mercoledì, l’Economic and Social Council, per poi dirigersi verso Venezuela, Bolivia e Nicaragua. Zarif è uno degli artefici dell’accordo del 2015 ed è assieme a Rohani la punta di lancia del fronte riformista, che non ha mai perso la speranza di salvare l’accordo firmato nel 2015, anche in questi due mesi di escalation, petroliere sabotate e droni americani abbattuti. A rafforzare la missione di Zarif, sono arrivate le parole dello stesso Rohani, che ha assicurato di «non voler possedere armi nucleari» e di essere «pronto a negoziare su basi logiche, di giustizia e di reciproco rispetto». Il leader iraniano ha anche sottolineato l’impegno «a rispettare l’accordo sul nucleare nella stessa misura in cui lo rispettano gli altri», cioè gli Stati Uniti. Un messaggio all’Europa, allarmata dall’aumento dell’arricchimento dell’uranio deciso una settimana fa.
Ma sono segnali anche agli Stati Uniti, la disponibilità a riaprire i canali a patto che Washington ammetta di aver violato l’accordo per prima, con il ritiro nel maggio del 2018. Ma è soprattutto la decisione di bloccare i raid presa da Trump nella notte fra il 20 e il 21 giugno scorso ad aver aperto una riflessione a Teheran. L’escalation è stata diluita e rinviata. Ora la data cruciale è il 6 settembre, quando l’Iran comincerà ad arricchire l’uranio al 20 per cento, un livello considerato pericoloso. C’è quindi una nuova finestra per trattare, con gli europei e forse anche con gli americani. Tanto che molti analisti, compreso l’attentissimo israeliano Amos Harel, ritengono che il presidente americano abbia imboccato la strada per arrivare a un «accordo 2. 0», migliore di quello ottenuto da Obama. I punti centrali dovrebbero essere tempi più lunghi per arrivare a un’atomica, nel caso Teheran non stesse ai patti, e una clausola anche per i missili balistici. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ne è consapevole, e ha chiesto di riaprire le trattative per un trattato di «mutua difesa» con gli Usa, un’assicurazione sulla vita di Israele nel caso, come è probabile, che il regime iraniano dovesse sopravvivere a lungo.