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 2019  luglio 15 Lunedì calendario

Biografia di Harrison Ford

Harrison Ford, nato a Chicago il 13 luglio 1942 (77 anni). Attore. «Sono stato molto fortunato. Ci sono attori che non hanno meno talento di me, ma hanno fatto molto meno strada di quanta ne ho fatta io» • Ascendenze irlandesi e tedesche per parte paterna, russe per parte materna • «Il nonno […] faceva l’attore di vaudeville con la faccia dipinta di nero» (Maria Pia Fusco). Padre cattolico, madre ebrea. «Sono loro che mi hanno trasmesso, oltre alla passione per il cinema, i valori essenziali per diventare un uomo. Avevo 14 anni quando ho accettato il mio primo mestiere, in una cartoleria, e da allora ho sempre lavorato. D’inverno spalavo la neve, d’estate tagliavo l’erba. Pensi che, da ragazzino, anziché diventare poliziotto o pompiere, volevo consegnare carbone, proprio come gli operai che ci scaldavano le case con il loro lavoro quotidiano. Un lavoro nobile: il suono della pala contro l’asfalto mi faceva sognare» (a Roberto Croci). «La giovinezza di Harrison Ford non è segnata da successi scolastici né sportivi. Voti mediocri, un’espulsione dal college a poche settimane dal diploma. Per fortuna, per combattere la timidezza si era iscritto a un corso di arte drammatica, che gli ha trasmesso la passione per la recitazione» (Valentina D’Amico). «"Il mio amore per questo lavoro è cominciato quando ho scoperto l’opportunità di raccontare storie. Ho sempre trovato più semplice leggere le battute di un copione che affrontare il mondo". Che intende? "Ho una natura introversa. Ero un bambino timido, che non dava nell’occhio e non alzava la mano in classe. Eppure, quando mi trovavo sul palco, con le parole già scritte, tutto diventava naturale. Poi, una volta dietro le quinte, tornavo a essere la versione timida di me stesso"» (Lorenzo Ormando). «La decisione di fare l’attore “è stata subito accettata in famiglia, come una scelta di lavoro e niente di più. Se avessi voluto diventare una "movie star", si sarebbero arrabbiati”» (Fusco). «Il cinema lo ha salvato da un’adolescenza bollente, svogliata, piena di rincorse. Scappò a Los Angeles, sposò la deliziosa Mary, che fu sua moglie fino al 1979 e madre dei suoi primi due figli. Ed ebbe i primi contratti» (Paolo Baldini). Nel 1966, Ford aveva «un contratto appena firmato con la Columbia quando, dopo una particina di fattorino nel suo primo film, fu convocato nell’ufficio di un alto funzionario della casa cinematografica. “Senti, giovanotto, voglio raccontarti un aneddoto”, gli disse quello. “La prima volta che Tony Curtis lavorò in un film, fece la parte di un bambino che portava una lettera. Niente altro, ma ci bastò per dire: ‘Questa è una star’. Tu, giovanotto, non hai proprio questo talento. È per questo che ti suggerisco di tornartene all’università e di scordarti il cinema”. […] "A essere sincero, in quel momento quella vicenda mi scoraggiò. Allora io avevo un contratto con la Columbia, e sapevo che mi attendevano comunque quasi sei anni con loro. Tutto questo accadde infatti nei primi sei mesi del contratto. […] Così mi dissi: oh merda, sono ben sistemato, posso stare a macerarmi per sei anni. Ma erano così ansiosi di liberarsi di me che annullarono il mio contratto dopo un anno e mezzo”. Deve essere stato un anno e mezzo terrificante. Perché non ci fu solo la storia del dirigente: ho sentito che, per esempio, la obbligarono a tagliarsi i capelli come Elvis Presley. “Sì, mi portarono dal parrucchiere, mostrarono una foto di Elvis e dissero che era cosi che volevano diventassi. Lasciai che me li tagliassero perché allora erano gli anni Sessanta, io portavo i capelli sulle spalle e sapevo che non mi avrebbero permesso di restare così. Ma era molto chiaro che in questo modo le cose non sarebbero andate bene”. […] “Mi fu di grande aiuto avere un altro lavoro: trasformarmi in falegname”. Perché Harrison Ford, che passò molti anni senza quasi aver contratti come attore, imparò il mestiere di ebanista con manuali presi alla biblioteca pubblica e lavorò come falegname delle stelle di Hollywood; quelle stesse stelle che incontrava di tanto in tanto sul set, lui con piccole particine. E così, facendo tavoli, scaffali e sedie, mantenne la sua famiglia, e, soprattutto, conservò la propria dignità: “Essere falegname mi diede una base nella vita. Ero una persona che stava facendo altro, qualcos’altro che sapevo valeva la pena. E il solo avere questo in testa, fare qualcos’altro e avere un posto in cui tornare, una funzione da svolgere, fu un fatto decisivo. Perché, se sei un attore senza lavoro e devi andare a un colloquio in una casa cinematografica, prima di muoverti stai seduto in casa, sudando e cambiando vestito 35 volte, e quando vai a parlare con quelli sei nervosissimo, e non hai nessun posto dove andare dopo il colloquio: semplicemente, potresti sederti davanti alla porta dei teatri di posa a sperare che si decidano a darti la parte o no. Ma, se […] hai la testa occupata dal lavoro che stai facendo, e non hai avuto il tempo di cambiare abito, risulta subito chiaro che sei una persona autentica, una persona completa: non soltanto un vaso vuoto, che è quello che diventi quando sei un attore disoccupato senza nulla da fare. […] Così, essere falegname cambiò il mio modo di giudicarmi, i sentimenti che provavo verso me stesso, e pertanto quelli che gli altri avevano verso di me. Non è che tutto questo cambiasse di molto le cose, ma abbastanza per rafforzarmi di fronte ai rifiuti”» (Rosa Montero). «Ho costruito i mobili per le case di Joan Didion e di John Gregory Dunne». «Il musicista brasiliano Sérgio Mendes, trasferitosi a Los Angeles nel 1974, chiese proprio a lui di costruirgli uno studio di registrazione nel giardino della sua villa a Los Angeles. Ford lo fece con tale abilità che ancora oggi Mendes registra in quello spazio insonorizzato tutto di legno» (Silvia Bizio). «Ho sempre mirato al cinema. A quei tempi la televisione era molto diversa da oggi: una volta che diventavi un attore televisivo, era impossibile essere preso in considerazione per il grande schermo. Dopo la serie tv Il virginiano, ho avuto paura che, se non fossi approdato in fretta al cinema, non ci sarei riuscito mai più. Preferivo guadagnarmi da vivere costruendo cucine su misura per gli attori, piuttosto che inflazionare la mia faccia in televisione.  […] Negli anni ’70 diventai, per un breve periodo, uno dei cameraman dei Doors, li seguii in un tour. Erano ragazzi simpatici, ma per me un po’ troppo folli. Fu una bella esperienza, ma non era quella la vita che volevo». Determinante fu l’incontro con il produttore Fred Roos. «Grazie a Roos, Harrison Ford ottiene un piccolo ruolo in Zabriskie Point e partecipa al provino per il ruolo del villain Bob Falfa in American Graffiti. A quanto pare, l’attore in un primo tempo avrebbe rifiutato il lavoro perché la paga settimanale era di 485 dollari, molto meno di quanto avrebbe guadagnato come falegname. Per intercessione di Roos, George Lucas arrivò a sborsare 500 dollari, convincendo Ford ad accettare. Dopo il successo de Il padrino (di cui Roos è produttore), Francis Ford Coppola ingaggia Harrison Ford per ingrandire il suo studio: così, tra una martellata e l’altra, l’attore riesce a strappare due partecipazioni, in La conversazione e Apocalypse Now» (D’Amico). «Installavo una porta nell’ufficio di Francis Ford Coppola, a San Francisco. Stavo piantando un chiodo, quando mi chiese: "Vorresti recitare in Apocalypse Now?". E io risposi: “Certo, però prima mi faccia finire la porta”». La sua carriera era ormai prossima alla svolta decisiva. «George Lucas è immerso nella preparazione di Guerre stellari e non ha intenzione di richiamare nessun membro del cast di American Graffiti nella nuova avventura. Il regista ingaggia Harrison Ford per far da spalla agli attori che sostengono i provini per i vari personaggi, ma Ford è ignaro del fatto che Lucas stia maturando l’idea di affidargli il ruolo di Han Solo» (D’Amico). «Lucas gli offre l’occasione di entrare a far parte del novero dei nuovi divi hollywoodiani. Seppure ancora non nel ruolo principale, Ford riesce infatti a rubare la scena al protagonista Luke Skywalker interpretando il cinico ma generoso avventuriero Han Solo in Guerre stellari (1977), primo capitolo della saga fantascientifica che riscuoterà uno dei maggiori successi di pubblico della storia del cinema (i cui due seguiti saranno interpretati sempre da Ford: L’impero colpisce ancora, 1980, di I. Kershner, e Il ritorno dello Jedi, 1983, di R. Marquand, entrambi supervisionati e prodotti da Lucas). Fisico prestante, simpatia naturale e sorriso accattivante, si dimostra in grado di rinverdire i fasti dei grandi interpreti dei film d’avventura del passato, da D. Fairbanks a E. Flynn. Nel 1981 S. Spielberg gli affida il ruolo di assoluto protagonista nel film che decreta la sua definitiva consacrazione: I predatori dell’arca perduta, fantasmagorica commistione di generi in cui Ford impersona Indiana Jones, affascinante professore d’archeologia nonché intrepido avventuriero. Sempre Spielberg (sotto l’attenta produzione di Lucas) lo dirige nei due sequel: Indiana Jones e il tempio maledetto (1984) e Indiana Jones e l’ultima crociata (1989). Dopo aver interpretato il cacciatore di replicanti Rick Deckard nel noir futuristico Blade Runner (1982) di R. Scott, nel 1985 ottiene la candidatura all’Oscar per la parte del protagonista nel solido thriller di P. Weir Witness – Il testimone, dove indossa i panni di un poliziotto che si rifugia in un’austera comunità di Amish per proteggere un bambino testimone di un delitto. A suo agio anche nella commedia (Una donna in carriera, 1988, di M. Nichols, e il remake di Sabrina, 1995, di S. Pollack) e nell’intimistico A proposito di Henry (1991), ancora di Nichols, sembra comunque destinato soprattutto ai film d’azione, come Il fuggitivo (1993) di A. Davis, in cui è un chirurgo ingiustamente accusato di aver assassinato la moglie, che deve sottrarsi con ogni mezzo all’inseguimento di un implacabile poliziotto, o Air Force One (1997) di W. Petersen, in cui è un volitivo presidente degli Stati Uniti che da solo sconfigge un gruppo di terroristi impadronitisi dell’aereo presidenziale, L’ombra del diavolo (1997) di A.J. Pakula, dove è un poliziotto di origini irlandesi che ospita inconsapevolmente un terrorista dell’Ira, o K-19 (2002) di K. Bigelow, dove è un ufficiale sovietico imbarcato su un sottomarino che rischia un’esplosione atomica negli anni della guerra fredda. I due successivi action movies che lo vedono protagonista (Hollywood Homicide, 2003, di R. Shelton e Firewall – Accesso negato, 2006, di R. Loncraine) non riscuotono un grande successo. Sempre cinico e autoironico, ancora prestante e un po’ più saggio, nel 2008 torna a vestire i panni dell’archeologo avventuriero in Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo di S. Spielberg» (Gianni Canova). «Un gran ritorno, questo, fortemente voluto dal divo Harrison: la critica internazionale non ha apprezzato come all’epoca, ma lui ha dimostrato di poter essere ancora giovane» (Claudia Morgoglione). Negli ultimi anni, oltre a partecipare a pellicole di vario genere e varia fortuna (la commedia Il buongiorno del mattino, il thriller Il potere dei soldi, il western fantascientifico Cowboys & Aliens, il fantascientifico Ender’s Game e l’avventuroso I mercenari 3), è tornato a vestire prima i panni di Han Solo, nel settimo capitolo della saga di Guerre stellari, Il risveglio della forza di J.J. Abrams, e poi quelli di Rick Deckard, in Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve, seguito del capolavoro di Ridley Scott. Tuttora attivo, ha già annunciato per il 9 luglio 2021 l’uscita del quinto capitolo della saga di Indiana Jones, del quale intende fermamente essere protagonista, escludendo anche per il futuro di cedere il testimone a un attore più giovane: «Nessun altro può essere Indiana Jones, non lo capite? Io sono Indiana Jones. È facile: quando io me ne sarò andato, se ne andrà anche lui». «Per quanti film, molti di successo, abbia fatto, non c’è niente da fare: appena si pronuncia il suo nome, viene da pensare a quel tipo simpatico e pieno di vita, con cappellaccio e frusta sempre in mano, col sottofondo del celeberrimo tema musicale creato dal compositore John Williams. Perfino il ruolo altrettanto iconico sostenuto in una trilogia altrettanto celebre – la prima di Star Wars: lui era Han Solo – viene al secondo posto» (Morgoglione) • «Io, come attore, quando torno a recitare di nuovo un personaggio, sento sempre un senso di responsabilità nei confronti del pubblico: devo portargli una nuova dimensione, nuovi aspetti, fargli capire meglio quel personaggio, approfondire il rapporto che gli spettatori hanno con lui. Ho cercato di fare la stessa cosa con tutti gli Indiana Jones: ad esempio, introducendo il personaggio di suo padre, che è stata inizialmente una mia idea». «Sua è l’idea di cambiare battuta in risposta al "Ti amo" della Principessa Leila, facendo pronunciare a Han Solo un laconico "Lo so". Ma si pensi anche a una delle sequenze più celebri de I predatori dell’arca perduta, quella in cui Indiana Jones ingaggia un duello con un arabo armato di scimitarra ma a un certo punto, stanco delle evoluzioni, lo fredda con la sua pistola. Nella versione originale la scena era molto più lunga e le riprese avrebbero dovuto durare tre giorni, ma Ford era afflitto da dissenteria e faticava a stare più di dieci minuti fuori dal suo camerino. Oltretutto, era l’ultima scena da girare in Tunisia, dopodiché la troupe avrebbe fatto ritorno in Inghilterra. L’attore riuscì a convincere Steven Spielberg a permettergli di freddare lo spadaccino con la pistola per tagliar corto, ed è così che nacque una delle sequenze più divertenti ed esplicative dell’indole di Indy» (D’Amico) • Estremamente riservato in merito alla sua vita privata: «Penso che la gente possa conoscermi, come persona, vedendomi in tutti i personaggi che scelgo e interpreto. C’è un po’ di me in ciascuno». Tre matrimoni, cinque figli: due dalla prima moglie; altri due dalla seconda moglie, la sceneggiatrice Melissa Mathison (1950-2015); un altro figlio adottato insieme alla terza e attuale consorte, l’attrice Calista Flockhart (classe 1964), nota soprattutto nei panni della protagonista della serie televisiva Ally McBeal • «Ho lasciato Los Angeles quando ho capito che mi avrebbe divorato: laggiù non si parla che di lavoro, e gli amici fanno tutti cinema. Temevo di perdere la mia personalità e la mia indipendenza. Vivo […] a Jackson Hole, nel Wyoming, in una grande casa circondata da laghi e boschi. Laggiù la gente vive di allevamenti di bestiame: io, invece, lascio le mie terre agli animali selvatici, alci e cervi, lontre e castori». «È un luogo incontaminato perché la gente è cosciente di quanto sia importante conservare delle regole. I ruscelli sono puliti perché qualcuno ha deciso di non inquinarli, e questo fa sì che l’ecosistema sia in ottima salute. La nostra salute dipende dalla vitalità dei nostri simili sulla Terra. Quando proteggiamo questi luoghi, proteggiamo non solo il futuro della medicina, dell’agricoltura e dell’industria, ma anche la condizione essenziale per la pace e la prosperità. Ma vaglielo a spiegare, a Washington…» • «Sono in prima fila per ogni battaglia sull’ambiente e per un cinema multietnico, di spettacolo e contenuti» • Pacifista. «La stampa americana dice di lei che è “il mitico eroe americano”. Ma so che in Vietnam fu obiettore di coscienza. “Sì, ero contro la guerra e sono stato un obiettore. Ero disposto a lavorare nella sanità o a fare altre cose di questo tipo, ma non ero disposto a uccidere. Mi ordinarono di scrivere una lettera spiegando le mie ragioni all’ufficio di reclutamento, e credo di aver scritto un mucchio di stupidaggini. Era una lettera molto lunga, e suppongo che fosse ancor più confusa. Tardarono molto a valutarla: nel frattempo mia moglie restò incinta, e mi consentì di non andare in Vietnam perché diventavo padre”» (Montero) • Dotato di brevetto di volo sin dagli anni Novanta, alla guida dei suoi aerei è più volte intervenuto in missioni di soccorso, ma ha pure avuto alcuni incidenti, privi comunque di gravi conseguenze. «Com’è nata la passione per l’aviazione? “Da bambino, anche se ho preso la mia prima patente a cinquant’anni. Sentivo il bisogno di sviluppare altri interessi, che esulassero dal cinema. Non mi fraintenda: amo il mio lavoro, è sempre una sfida, una scoperta, ma non mi sentivo soddisfatto facendo ‘solo’ l’attore. E anche la famiglia è sempre stata molto importante, ma avevo bisogno di qualcosa che fosse solo mio”» (Croci). «Amo poter guardare il mondo dall’alto, amo le macchine e amo il senso di libertà e anche di responsabilità che ti offre pilotare un aereo» • «Ci descriva la sua giornata perfetta. “È quella senza paparazzi. Quella in cui prendo la moto e vado a farmi un giro con mia moglie. Quando costruisco qualcosa con le mie mani: anche se ho smesso di fare il falegname di professione quarant’anni fa, mi piace ancora lavorare il legno, fare oggetti per la casa o per i miei figli. Ma mi diverto un sacco anche a pilotare i miei aeroplani: ne ho otto, tutti diversi, tutti divertenti da guidare. Sono in pace con me stesso quando mi rendo utile: mi sento bene su un set, ma anche a bordo di un aeroplano. Non sono una persona contemplativa, non sono capace di stare con le mani in mano. Mi piace lavorare, devo sempre avere qualcosa da fare, altrimenti mi annoio e divento intrattabile”» (Croci) • «Per pagarmi il lusso di fare cinema come volevo io, per otto anni ho fatto il falegname; […] ho fatto anche il muratore, il che mi serve ancora: le mie case, le ho tutte disegnate e arredate io, con l’intervento finale di un architetto. Sono molto appassionato di urbanistica, e colleziono quadri di pittori europei e americani dei primi due decenni del secolo» • «Lei è un appassionato di fantascienza? “Niente affatto. Né di film, né di libri. […] Non ho mai avuto particolare affinità per la fantascienza: tendo a leggere più fatti che finzione, libri su problematiche contemporanee, sulla mortalità, libri di storie. E leggo cose che riguardano i miei interessi, come salvare la natura, l’ecologia, e il volo, naturalmente. Leggo qualsiasi cosa abbia a che vedere con il volo e l’aviazione. In questo sono davvero Ian Solo!”» (Bizio) • Porta un orecchino circolare al lobo sinistro. «L’ho messo a 50 anni: l’età giusta per reinventarsi» • «Fama di divo difficile, spesso imbronciato e poco loquace con la stampa» (Ormando). «So bene che di me dicono: è un uomo "grumpy", sempre di cattivo umore» • «È un bravo attore, si sa, ha una faccia e una voce unica, […] è ancora un bellissimo uomo, ma è anche un personaggio al di fuori del cinema, al punto che forse faranno un film su di lui. E quanti autori di narrativa immaginano i loro eroi con il suo volto? Lo ha ammesso […] il giallista Michael Connelly per il suo Harry Bosch, e anche Dan Brown per il Robert Langdon del Codice Da Vinci (anche se quel ruolo poi è andato a Tom Hanks: Harrison Ford era impegnato)» (Bizio). «L’Han Solo di Guerre stellari e l’Indiana Jones della medesima serie, l’eroe di alcuni leggendari film di azione. Il suo fascino è sempre stato e continua a restare tuttavia quello dell’uomo qualunque, di un uomo non troppo bello e non troppo forte e non troppo divo che si ritrova nel mezzo di situazioni molto pericolose un po’ per caso: uno come noi, se solo avessimo l’opportunità o il coraggio di comportarci eroicamente» (Lorenzo Soria) • «Molti dei ruoli che lo hanno reso celebre in ogni angolo del globo terracqueo non erano destinati a lui. Ford ha ottenuto l’ingaggio per Han Solo mentre faceva da spalla ad altri attori ai provini, è stato scelto per interpretare Indiana Jones perché Tom Selleck non era disponibile e gli è stato affidato il ruolo di Jack Ryan [interpretato da Ford in Giochi di potere e Sotto il segno del pericolo – ndr] perché Alec Baldwin, titolare del personaggio che aveva già interpretato in Caccia a Ottobre Rosso, aveva chiesto un compenso troppo alto (naturalmente Baldwin nega questa versione)» (D’Amico) • «Lei ha interpretato due dei personaggi di maggior successo della storia del cinema, Indiana Jones e Han Solo. Cosa hanno in comune? “Hanno in comune me! Guardatemi: moi! È l’unica cosa che hanno in comune: hanno un aspetto curiosamente simile! Entrambi hanno un lato un po’ duro, sono un po’ disadattati, ed entrambi hanno un punto di vista cinico, o meglio ironico. Indiana Jones è un professore, accademico, un membro della classe intellettuale eppure avventuroso… Sono entrambi personaggi interessanti, e ovviamente entrambi vengono dall’immaginazione fervida di George Lucas”» (Bizio). «Io e Han Solo non potremmo mai essere amici. Non ha etica, ed è abituato a tradire e sfruttare il prossimo. Preferirei di gran lunga andare a cena con Indiana Jones» • «Forse nella vita, nel lavoro, ciò che conta è la tenacia. E molto di ciò che ho imparato sulla vita, sulle regole del business, io l’ho imparato girando film». «Ho sempre considerato il lavoro di un attore simile a quello di un falegname: plasmare il legno per me è più che un hobby artigianale». «Volevo essere altre persone oltre a me stesso, e rivedendo la galleria dei miei personaggi mi sono chiesto come ho fatto. Ringrazio Spielberg, Coppola, Lucas, Peter Weir e tanti altri, che mi hanno dato questa possibilità». «Se sei bravo come attore diventi più felice nella vita, ed essere felice nella vita ti aiuta a diventare un attore migliore». «A chi mi chiede se ho nostalgia degli inizi, non so mai cosa rispondere. La nostalgia è un sentimento che non mi appartiene. Il mio approccio è questo: se oggi è stata una bella giornata, non sono morto e non mi sono fatto male, allora va tutto bene». «Quando guarda alla sua carriera, di cosa è maggiormente orgoglioso? “Della mia buona fortuna: ho lavorato con gente straordinaria che mi ha offerto opportunità straordinarie, che sono andate ben al di là della mia immaginazione. Mi hanno tutti dato motivazioni autentiche: il mio è il lavoro più bello che ci sia”» (Alessandra Venezia).