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 2019  luglio 14 Domenica calendario

Il ritorno della sifilide

Di sifilide, si racconta, morivano meretrici e soldati di ritorno dalla guerra nel millecinquecento. Era il sesso, praticato senza attenzioni di sorta e coi partner più svariati, la causa del morbo. Prostituzione e poca igiene facilitavano il contagio. La malattia in questione, trasmissibile sessualmente, ancora oggi viene contratta abitualmente. Non è tutto, c’è altro da aggiungere: i casi sono perfino in aumento. I numeri delle diagnosi dipingono un quadro che la dice lunga sui costumi sessuali dei nostri giorni. Dal 2007 al 2017, nella nostra civilizzata Europa, si è registrato un aumento del 70% di casi, secondo il nuovo rapporto recentemente pubblicato da Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC). Un boom. Da 19mila a 33mila casi in un anno. Nei 30 Paesi dell’Unione Europea e del SEE (Spazio Economico Europeo), in solo dieci anni sono state ben 260mila le diagnosi di questa malattia sessualmente trasmissibile rilevate dai sistemi sanitari nazionali. Il nostro paese non è da meno. Si sono registrati di anno in anno continui picchi di aumento. In occasione del 56mo congresso dell’Associazione Dermatologi Ospedalieri (Adoi) è stato rilevato che in Italia le diagnosi di sifilide sono aumentate del 400% dal 2000 al 2007. In base al rapporto pubblicato dall’ECDC, lungo lo stivale è stata rilevata un’impennata del 63 percento tra il 2007 e il 2017, col passaggio da 1002 a 1631 casi confermati dal Sistema Sanitario Nazionale. Le statistiche dicono che a contrarre il morbo sono sopratutto gli uomini. Più del 60% dei malati sono di sesso maschile, con tassi praticamente raddoppiati nel periodo preso in considerazione: da 6,1 casi per 100mila abitanti nel 2010 a 12,1 per 100mila abitanti nel 2017. «Ma le donne non sono da meno», spiega l’infettivologo Rodolfo Punzi, primario dell’Unità ospedaliera di Salerno. «Si presentano anche molte ragazze che hanno dimostrato disattenzione nella pratica dei rapporti sessuali», specifica. 

REAZIONE A CATENA
Differenze numeriche si registrano anche in base agli orientamenti sessuali dei pazienti. Nelle oltre 150mila diagnosi fatte in Europa per le quali era noto l’orientamento sessuale del paziente, nel 62 per cento dei casi (circa 94mila) si trattava di uomini omosessuali. Gli uomini eterosessuali rappresentavano il 23 per cento, mentre le donne il 15 per cento. «La promiscuità sessuale e la libertà del sesso ha portato senza dubbio a un aumento dei casi di sifilide», spiega l’esperto, «in più la responsabilità va attribuita alla scarsa attenzione delle istituzioni che non si sono prodigate negli ultimi anni a mettere in guardia i giovani. Sono i ragazzi i principali soggetti a rischio infettivo. La maggioranza dei casi, infatti, sono dovuti al mancato utilizzo del profilattico, unico strumento idoneo a evitare il contagio. Riceviamo quotidianamente racconti di rapporti sessuali consumati senza attenzione e con frequenti cambiamenti di partner nell’arco di poche ore. I pazienti giovani ci spiegano che sono le discoteche, ad esempio, i luoghi di incontro dove i rapporti vengono consumati con più facilità e disattenzione». La correlazione tra contrazione della malattia e rapporti sessuali è evidente. Il passaggio da un partner all’altro, senza munirsi di preservativo, innesca una reazione a catena, dove chi contrae il morbo da un malato poi contagia a sua volta un altro. E così via. Può essere pure trasmesso al feto se a soffrirne è la madre. La sifilide non va presa sotto gamba. Con una incidenza annuale di 12 milioni di nuovi malati nel mondo, la sifilide è, dopo l’Aids, l’infezione sessualmente trasmissibile con il più alto tasso di mortalità. Nelle prime fasi, la malattia può essere quasi invisibile. Le caratteristiche ulcere che si formano sui genitali, sintomatiche della sifilide, possono essere talmente piccole da non essere notate. L’evoluzione può proseguire silenziosa senza diagnosi e terapie adeguate. «Se presa per tempo», continua l’infettivologo, «non produce particolari danni, curandola con l’antibiotico». Nelle fasi più avanzate, invece, possono prodursi danni al sistema nervoso e nei casi più grave portare anche alla morte.