Robinson, 13 luglio 2019
Il diario del 2000 di Valentino Zeichen
Esce il secondo volume dei diari di Valentino Zeichen, l’anno è il Duemila e l’editore, che è Elido Fazi, ha pensato di aggiungere in coda la ristampa di una raccolta di poesie ormai esaurita e uscita proprio in quell’anno: Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, felicissimo diario in versi di vagabondaggi romani. La raccolta era dedicata a Carmelita Ferrari Dora che aveva dato, così la dedica, grazioso aiuto al poeta «disperso nella pagina bianca». Il diario registra tra le tante cose anche il suicidio di Lita (era il suo diminutivo) creando un corto circuito atroce tra chi aiuta gli altri e magari da nessuno è aiutato, fino a togliersi la vita.
Ricordo molto bene la festa in casa di Lita, nella lussuosa via Aldovrandi, per l’uscita della raccolta. C’erano molti amici che ritrovo nel diario, da Nico Garrone all’attore Remo Girone che allora godeva di grande popolarità per via della Piovra. Una volta mi è capitato di scrivere che per Zeichen tutto accadeva nei recinti della poesia e infatti anche qui la sua attenzione è al massimo quando si tratta di poesia e di poeti, amici sì ma talvolta concorrenti, magari nella contesa per un premio e allora ecco il fioretto e talvolta la spada. Ospita in casa un giovane poeta che definisce orfico, García, che passa il tempo a bere pessimo vino e si dedica poco alla scrittura. Per fargli dispetto, Valentino gli regala l’inserto Lavoro del Corriere della Sera facendolo fuggire inorridito. La sola parola “lavoro” lo atterriva e Valentino ricorda quando il padre gli metteva sotto il naso gli annunci economici del Messaggero perché si cercasse un’occupazione. A proposito del padre, giardiniere a Villa Borghese, Valentino ricorda che anche lui teneva un diario di cui restano pochi fogli. Un diario minimo, fatto di poche annotazioni pratiche. Forse l’idea a Valentino è venuta da lì.
Come nel diario del precedente anno 1999, anche qui Zeichen registra le numerose cene a cui viene regolarmente invitato. Una volta tradisce Franco Cordelli e altri amici per accettare l’invito di Umberto Silva, psicoanalista ben provvisto di champagne. Ciò non toglie che qualche sera, a corto di inviti, non ha nulla da mettere sotto i denti. La solitudine, per altro bene accetta e perfino coltivata, incombe. La vita nella baracca in cui è costretto ad alloggiare non è facile. Capita che il tetto lasci filtrare la pioggia e dunque ecco Valentino inventarsi le necessarie riparazioni. Un nemico di sempre sono i topi per i quali semina veleni e trappole. Dove andranno a morire?, si chiede. E un nemico sono anche i vicini, come una certa Anna che si è procurata un doppione delle chiavi e gli ha portato via tutto.
Abituati a vedere Valentino ben vestito (spesso erano abiti regalati dalla mecenate), non sospettavamo che ogni tanto dovesse anche farsi sarto e riparare i buchi di una giacca o di un paio di pantaloni. In agosto va in vacanza a Porto Ercole con la storica fidanzata Mireille. Viene invitato in Olanda con un contratto talmente dettagliato e pieno di clausole che sembra una transazione commerciale. Non vince un premio Mondello perché l’editore non ha mandato il libro. Non entra neppure nella cinquina del Viareggio per colpa, secondo lui, di quel comunista di Cesare Garboli. E non è l’unica volta in cui sferra attacchi agli intellettuali comunisti. Un sindacato lo invita a far parte della giuria che dovrà selezionare le poesie di anziani lavoratori. Divide l’incarico con Maria Luisa Spaziani che non ha capito che i concorrenti sono in età e pensa a fanciulli precocemente maturi.
Ogni giorno, o quasi, c’è spazio per un film. Zeichen è un insaziabile cinefilo, anche se irride all’idea che Via Veneto possa diventare Via della Dolce Vita. All’inizio dell’anno il diario registra la festa di capodanno della sera precedete a casa della pierre Christine Ferry. Ci sono alcuni artisti dell’Arte Povera, ma poco reattivi ad una provocazione del poeta: «Nessuna febbre spirituale. Manca quel senso di decadenza da Belle Époque che prende la gente per la gola ad ogni fine secolo. Che fa sì che le opere somiglino a fuochi di artificio».