ItaliaOggi, 13 luglio 2019
Al Nord la scuola forma di più
C’è un punto focale nel dissidio tra Lega e M5S, che giovedì mattina, nel tavolo di Palazzo Chigi convocato per trovare un accordo tra i due partner del governo, si rivela sempre più evidente: Salvini vuole l’autonomia regionale, Di Maio le è del tutto contrario. I partecipanti al tavolo si sono ben presto salutati, visto che sulla scuola la pensano l’uno il contrario dell’altro.L’autonomia è voluta da tre regioni del Nord, due delle quali, Lombardia e Veneto, si sono espresse anche con un referendum, mentre la terza, Emilia-Romagna, l’ha chiesta in Consiglio.
La Lega è del tutto favorevole, mentre il M5S (che pur ha firmato anch’esso per l’autonomia nel contratto di Governo) ha sin dall’inizio rallentato e boicottato l’iter governativo. Le ragioni di questo rifiuto sono state espresse giovedì.
Da Conte: «inaccettabile che l’Italia si slabbri»; e da Di Maio: «un bambino non sceglie in quale regione nascere, noi dobbiamo garantire l’unità della scuola così come l’unità nazionale».
Parole di rara insensatezza. L’autonomia regionale non rompe in alcun modo l’unità nazionale e non penalizza le regioni più povere. Basterebbe il confronto con tre nazioni europee che hanno un efficiente federalismo scolastico federale: Germania, Austria e Svizzera. Dove la qualità della scuola è certo assai superiore alla nostra. In tutte l’autonomia serve a ridurre la spesa e ad avvicinare la scuola alle famiglie, dentro un sistema normativo comune a tutte le regioni.
In realtà Conte e Di Maio vogliono difendere la struttura statalista della scuola, dalla quale le regioni del Meridione ricevono dovunque assistenzialismo e sovvenzioni. In caso di federalismo dovrebbero farsi i propri conti (sia pure senza escludere ciò che esiste in tutti i paesi federali, un contributo delle regioni ricche alle altre). In fondo il confronto di giovedì è stato tra due nordisti da un lato (Salvini di Milano e la ministra Erika Stefani di Valdagno) e due Sudisti dall’altro (Conte di Volturara Appula e Di Maio di Avellino), non senza evidenti condizionamenti elettorali per i loro partiti.
Così come vanno le cose, temere che il federalismo scolastico porti l’Italia a «slabbrarsi» o a «perdere l’unità» può dirlo solo chi ignora o si nasconde che le Italie, da sempre, sono due. E che il Sud, giustamente ma inutilmente, è da sempre anche una appendice sottosviluppata del Nord: basta pensare alla sanità, alla scuola, ai trasporti, all’industria, alla tecnologia, che restano molto lontane dai livelli raggiunti al Centronord. Una differenza che data dal secolo XII, quando il Nord sviluppò i comuni e l’economia di mercato, il Sud rimase legato al centralismo e al latifondo.
Naturalmente anche il Sud ha le sue intelligenze e la sua cultura, spesso preminenti, ma, sul piano delle realizzazioni civili e della connessa etica comunitaria, non è allo stesso grado di sviluppo del nord. Come diceva Sturzo che pure era di Caltagirone (Catania, Sicilia): «Non esiste un problema meridionale, ma solo dei meridionali».
Proprio mentre a Palazzo Chigi si discuteva (e si seppelliva) l’autonomia scolastica venivano diffusi alla Camera dei deputati i dati 2019 relativi all’Italia dell’Invalsi (Istituto per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione). I dati non sono molto diversi da quelli dello scorso anno: non molti studenti giungono al minimo richiesto per essere considerati sufficientemente istruiti. Sono il 65,4 per la lingua nazionale, il 58,3 per la matematica, il 51,8 per l’inglese elementare.
Dunque uno studente su tre ha difficoltà a capire l’italiano. E il 60% degli studenti che hanno fatto la maturità vi è giunto con una preparazione nel complesso insufficiente. Come ha osservato il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti: «Ci sono innegabili segnali di preoccupazione». Soprattutto nelle quattro regioni dove la scuola (in particolare negli istituti tecnici e professionali) funzione peggio: Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna.
Ma il confronto più impietoso è quello tra la scuola del Nord e quella del Sud. Non si può parlare di vasta diffusione dell’eccellenza al Nord, ma appare evidente il salto verso il basso del Sud. Roberto Ricci, direttore generale dell’Invalsi, ha concluso: «un anno di scuola in Veneto vale come due anni di scuola in Calabria. Al Sud, in larga parte, i ragazzi affrontano l’esame di terza media avendo potenze da quinta elementare».
Anche nella scuola il Sud è un’Italia diversa. Al punto che non pochi istituti del Meridione costituiscono alcune classi dei migliori, abbandonando gli altri alunni meno dotati come irrecuperabili. Cosa pedagogicamente poco valida, ma frutto della stanchezza di chi si affatica a insegnare con risultati ben scarsi. Una amara fotografia di un’Italia che non può né «slabbrarsi», né «spaccarsi», in quanto è da sempre (e forse oggi più che mai) per non poche ragioni divisa in due.