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 2019  luglio 13 Sabato calendario

Come le materie prime hanno cambiato il mondo

C’è sua eminenza il sale; e poi ci sono le spezie, il mercurio, la lana o il granturco, la torba e la seta, lo zucchero di canna e la noce moscata, persino l’urina. Poi quelle più conosciute: petrolio, oro, argento e altri metalli preziosi. Sono le protagoniste di Storie straordinarie delle materie prime, il libro di Alessandro Giraudo in libreria per Add editore (nella traduzione di Sara Prencipe). Ognuna di queste materie vanta storie affascinanti che erano in attesa di farsi raccontare. Per loro si sono fatte guerre; hanno eccitato le bramosie di re e sultani; hanno determinato spedizioni in terre esotiche e sconosciute; hanno creato ordini politici; hanno arricchito e hanno impoverito Paesi e terre. Hanno influenzato l’intera storia umana e hanno avuto, come del resto hanno ancora (un tempo era il pepe, oggi è l’energia) un ruolo fondamentale negli equilibri economici mondiali. 
Giraudo offre una lettura piacevole eppure colma di dotti aneddoti e circostanze «extra vaganti». Come quella che vede protagonisti olandesi e inglesi: è il 1667 quando i primi barattarono nientemeno che l’isola di Manhattan (allora si chiamava New Amsterdam) con l’isola di Run, in Indonesia, poco più di quattro chilometri quadrati. Oggi appare uno scambio assurdo, eppure allora l’isoletta indonesiana era un grandissimo centro di produzione della noce moscata (nel 1393 una libbra di noce moscata valeva sette buoi di grossa taglia). Bisogna tenere a mente che il mercato delle spezie ha rappresentato fino al XVIII secolo un terzo del commercio mondiale. Un esempio emblematico: dopo che la guerra degli spagnoli contro le Fiandre aveva spossessato Anversa dal trono di capitale commerciale, con il conseguente trasferimento di tutte le grandi compagnie ad Amsterdam, nel 1701 una guida della capitale olandese scriveva che la città era il «magazzino generale dell’universo, il trono dell’opulenza, il punto in cui convergono ricchezze e benedizioni del cielo». 
Benedizioni che quasi sempre curano: le spezie hanno capacità terapeutiche e si creano così le varie farmacopee che da sempre accompagnano la storia dell’uomo. Come per il caffè: quando inizia a diffondersi in Europa la Chiesa si affretta a condannarlo come «bevanda del diavolo» poiché eccita coloro che lo bevono. Eppure i mercanti veneziani e genovesi si fanno in quattro per procurarsi i semi di caffè freschi, visto che proprio nella Curia (ma anche nei salotti dei nobili e ricchi, così come nelle corti europee) si fa un gran utilizzo della bevanda. Come già accadeva in Turchia, dove non a caso era bevanda nazionale e addirittura una moglie poteva chiedere il divorzio al marito se questo non le metteva a disposizione la dose quotidiana di polvere nera. 
E a proposito di Turchia: nel 1683 Vienna subisce per la seconda volta un attacco dell’esercito turco. Così un giovane polacco, tale Jerzy Franciszek Kulczycki, che aveva vissuto a Istanbul e parlava turco, si propone di infiltrarsi fra i nemici per fare la spia e dare informazioni agli austriaci. Grazie a lui finisce che gli austriaci hanno la meglio, mentre i turchi sconfitti abbandonano cannoni, munizioni, e ben cinquecento sacchi di caffè. Il giovane polacco viene allora celebrato, lodato, e il governo non solo lo naturalizza austriaco col nome Franz Georg Kulczycki ma gli lascia anche i sacchi di caffè (un vero tesoro!) dandogli l’autorizzazione ad aprire la prima caffetteria di Vienna. Nasce così il caffè Zur Blauen Flachen: Franz Georg al caffè aggiunge un goccio di miele e un cucchiaio di panna, e per accompagnare la bevanda filtrata chiede a un amico pasticciere di inventare un dolce. Quando questo gli chiede come lo voleva, Franz Georg pensa all’emblema della bandiera turca – poveri turchi: umiliati e offesi. Ed ecco allora le forma che conosciamo dei nostri croissant, dei cornetti che hanno la forma di luna crescente. 
Insomma, ci sono libri che trovano posto in quell’Olimpo rarefatto creato dal dio della curiosità. E quello di Giraudo è uno di questi: microstorie che fanno la grande storia (e qui c’è il meglio di quella scuola delle Annales, ma anche una saggistica colta e fruibile alla Mark Kurlansky o alla Wolfgang Schivelbusch – peccato non venga citato il suo Storia dei generi voluttuari).
Del resto l’autore è un economista che insegna a Parigi, ma dopo aver girato mezzo mondo. Ed è qui che ha trovato i santi laici che fanno da patroni al suo libro: Umberto Eco e Carlo M. Cipolla. Il primo, scrive Giraudo, «durante un ciclo di lezioni sulla semiologia economica ci parlò di Sant’Agostino, della ribâ (l’usura), di San Bernardo, di San Gregorio, delle indulgenze dei Fugger, della banca dei Medici che fece fortuna con il denaro del papa, dei mercanti che acquistavano spezie a dieci ducati ad Alessandria o a Malacca e le vendevano a trecento fiorini in Europa… Era impossibile scendere dal suo tappeto volante che planava sopra Baghdad, Samarcanda, Potosí, Timbuctu, Macao, ma anche Babilonia e New York». Con il secondo invece, Carlo M. Cipolla, Giraudo ha studiato a Berkeley, e qui lo ha ascoltato «parlare di cannoni, di velieri, di sanità pubblica a Firenze, di trasferimenti di tecnologia dal mondo arabo all’Europa e soprattutto di stupidità umana». 
Ecco svelati i due colti dèmoni un po’ pazzerelli che hanno spinto Giraudo a mettersi sulle tracce delle materie prime – e a loro il lettore dovrà dedicare un arcano rito di ringraziamento. Già, perché questo libro incanta davvero ed è tutto da gustare, magari con una tazza di buon caffè accanto.