Tuttolibri, 13 luglio 2019
Un libro sui ribelli indiani anti-caste
Ormai lo sappiamo bene: ciò di cui non parlano i media, non esiste. Quante guerre agitano il mondo e devastano le vite di milioni di esseri umani, senza che noi ne si abbia la minima notizia? Anche per questo Marcia notturna risulta quanto mai interessante. Perché ci racconta dal di dentro una delle più irriducibili e sottovalutate ribellioni del mondo, quella dei naxaliti, guerriglieri maoisti del Jharkhand, stato dell’India orientale, impegnati in una battaglia durata decenni con lo stato indiano. Presentato nei media come un gruppo terroristico, il movimento è caratterizzato da un intreccio di ideologia marxista e volontà di rovesciare un sistema di caste, che discrimina molti abitanti dell’India.
Tra il 2008 e il 2010 l’antropologa di origine kenyana Alpa Shah ha trascorso 18 mesi nello stato del Jharkhand indiano, vivendo tra gli adivasi, un insieme di comunità aborigene dell’India tra le più trascurate dal governo e che non adottano il sistema di caste. Nel 2010 ha intrapreso un viaggio di sette notti con alcuni di questi guerriglieri, camminando per 250 chilometri attraverso le fitte foreste collinari dell’India orientale. Parlando con i leader e vivendo con gli abitanti dei villaggi, nei quali fa base la guerriglia, Shah cerca di capire perché alcuni dei poveri dell’India si oppongono alla più grande democrazia del mondo e si sono armati per lottare per una società più giusta. Immergendosi nelle comunità che vivono al fianco degli insorti, l’autrice esplora la ribellione dal basso, travestita da guerrigliero maschio, fornendo così uno dei più complessi e informati resoconti di questo sconosciuto (a noi) e terribile conflitto.
Un conflitto che appare una sorta di residuo della Guerra fredda, ma che mescola elementi ideologici con tratti etnici, infatti questi maoisti indiani contemporanei si connettono alla ribellione naxalita della fine degli anni ‘60, allora fortemente influenzata e incoraggiata dalla rivoluzione culturale di Mao. Ribellione repressa duramente dallo stato, che però non è riuscito a sconfiggere del tutto i movimenti di ribellione. Soprattutto nulla ha fatto per modificare le enormi disparità socioeconomiche dell’India, fondate sulla violenza gerarchica del sistema delle caste e sullo sfruttamento razziale subìto dagli adivasi. Nel nuovo millennio, i maoisti hanno guadagnato ulteriore trazione collegando la loro causa alle proteste ambientali, da quando, dopo il 2003, lo stato indiano ha rilasciato concessioni di sfruttamento minerario alle multinazionali. La questione comunista incontra allora il tradizionale diritto consuetudinario sulla terra e nasce una nuova ribellione.
Con una scrittura avvincente, che a volte fa sembrare il racconto quasi un giallo, Alpa Shah intreccia il diario delle sue marce nella foresta, con le conversazioni intrattenute con i capi guerriglia e con i militanti, dando a ciascuno di loro un nome e un volto, strappandoli così al cliché di «terroristi» assegnato loro dai media indiani. Sottolinea anche l’impegno civile di molti capi della ribellione, i quali sono nati in clan di casta alta e hanno avuto una ricca istruzione. Travolti dai movimenti di protesta globale degli anni ‘60 e ‘70, abbandonarono le loro famiglie e le loro migliori prospettive di carriera, per combattere come rivoluzionari a tempo pieno per alcune delle persone più povere dell’India. Shah nota come Gyanji, il capo del plotone con cui ha marciato diversi giorni, anche dopo 25 anni di guerriglia mantenga ancora i piedi teneri e la pelle chiara, segno della sua appartenenza a una casta alta. Un improbabile guerrigliero, apparentemente più interessato alla «danza degli storni» e alla «poesia europea e hindi-urdu» che alle mine antiuomo.
Un movimento variegato, quello dei naxaliti, dove si incontrano destini e storie diversi. Come quello di Kohli, che a sedici anni è scappato di casa, perché suo padre lo ha schiaffeggiato per aver versato una piccola tazza di latte. Unirsi ai naxaliti può anche essere una ribellione adolescenziale, un modo per sfuggire al controllo delle loro famiglie e vivere il mondo al di là del loro villaggio. Shah umanizza le persone con cui convive in quella marcia e che ha imparato a conoscere negli anni precedenti e usa le sue competenze antropologiche, per contestualizzare quel movimento e connetterlo alla storia attuale, invece di relegarlo nei piani bassi, bollato come espressione del terrorismo. Allo stesso tempo, però non romanticizza i maoisti o il loro rapporto con le comunità adivasi. Al contrario sottolinea come, nonostante il loro idealismo, i loro dogmi politici glorifichino la violenza e favoriscano la corruzione. Oppure di come il loro disprezzo per la cultura tradizionale abbia eroso fondamentalmente l’idea di democrazia popolare: «È inevitabile che le loro culture vengano cancellate dallo sviluppo», le dice un capo maoista. Allo stesso tempo però evidenzia come, sebbene l’esistenza degli adivasi sia dura a causa di un accesso precario al cibo, alle cure mediche e all’istruzione, questa comunità può insegnare qualcosa a coloro che vivono fuori dalla giungla. Per esempio, le donne adivasi godono di livelli molto più elevati di libertà di quelle della società indiana dominata dalle caste.
Alla fine Shah ribadisce che l’unica soluzione possibile a questa guerra civile è il corretto esercizio della democrazia costituzionale indiana, con la piena partecipazione di quelle comunità da lungo tempo marginalizzate e persino perseguitate. Marcia notturna è un’analisi ponderata, ed equilibrata sull’esproprio e sul conflitto nel cuore dell’India contemporanea e una riflessione su come spesso la crescita economica porti a un aumento della disuguaglianza.