Tuttolibri, 13 luglio 2019
Intervista alla scrittrice Marion McChesney
Tante sono le vite che Marion McChesney si è inventata. Molte più dei peraltro numerosi pseudonimi - cinque - che ha coniato per scrivere piacevolissimi romanzi d’amore e intrighi, ambientati nell’800 inglese. Nata a Glasgow nel 1936, è stata commessa in una libreria, cameriera ad Alexandria (Virginia), cronista di nera, giornalista di moda e teatro. Ha sposato Harry Scott Gibbons, giornalista, che se l’è portata al seguito in America. Lì, a New York, diventata mamma, decise di ritirarsi nella scrittura, per dedicare più tempo alla casa e al figlioletto. E ha pubblicato un centinaio di romanzi storici, con ragazze di buona famiglia che cercano di salvare le proprietà che il padre sciagurato s’è giocato d’azzardo, o deliziose avventure di lady Rose Summer, ribelle fanciulla dell’epoca edoardiana che non vuole sposarsi in India come il padre desidererebbe e collabora con un detective privato nella soluzione di crimini vari. Quando il marito, di punto in bianco decise di tornare all’antica passione per la terra comprando una fattoria in Scozia con un gregge di pecore nere, Marion, fedele, lo seguì. Per dimenticare il puzzo delle bestie e la noia delle Higlands si inventò una nuova crime serie, con protagonista l’ispettore Hamish Macbeth, alto, magro, capelli rossi, flemma e fiuto da vendere (tradotta da Astoria). Ora Marion è rimasta vedova, vive tra Parigi e gli incantevoli Cotswolds, dove è ambientata la serie di Agatha Raisin, giunta al 29° titolo.
I Cotswolds a guardarli in foto sembrano rimasti fuori dal tempo, a parte gli omicidi: sono davvero così?
«In questo mondo malvagio, i Cotswolds sono un luogo da sogno, con giardini splendidi, cottage di pietra dorata, gente piacevole. Per renderli perfetti mancavano solo i delitti».
Com’è nato il personaggio di Agatha?
«Da un episodio vero che mi capitò. Il padrone di casa di mio figlio mi aveva chiesto di cucinare qualcosa da vendere a un’asta di beneficenza. Comprai una quiche di spinaci e dissi che l’aveva preparata con le mie manine. Una menzogna spudorata. Nel primo romanzo, Agatha Raisin e la quiche letale, Agatha fa la stessa cosa. Peccato che la sua quiche fosse avvelenata e ci sia scappato un morto».
A parte questa nemesi per la bugia culinaria: quanto c’è di autobiografico nell’investigatrice privata?
«Dice cose che io vorrei dire e non ho il coraggio di fare».
E fuma parecchio...
«Anche io fumo, e mi piacerebbe una pelliccia di visone. Agatha ce l’aveva, ma l’ha lasciata alla moglie di un suo ex amore. Un gesto così sciocco meritava ovviamente una punizione».
In Sibili e sussurri, Agatha, in effetti vorrebbe finalmente recuperare la sua pelliccia lasciata alla moglie di Jimmy - incolore poliziotto con cui ha avuto una storia - visto che è rimasto vedovo. Nello squallido fast food di pollo dove lui le offre una cenetta, butta lì: e la mia pelliccia, posso riaverla? Ahimè no, risponde lui, la povera Margaret l’amava al punto da farsi seppellire con quella addosso. «Oh, il mio visone - piange Agatha tra sé e sé -. Tutte quelle belle bestiole infestanti che stavano meglio sulla mia schiena che non da vive, quando mettevano a repentaglio la sopravvivenza delle specie autoctone delle nostre isole».
Non le sembra di esagerare con la scorrettezza politica..?
«Non volevo creare un personaggio che fosse necessariamente simpatico a tutti. Ma una donna che alla fine fosse vincente».
Che modello aveva in testa?
«Mi piacciono gli antieroi come la Becky Sharp nella Fiera delle vanità di Thackeray».
Un ottimo tranquillante, per Agatha, è il gin tonic: che cosa pensa di questo meraviglioso drink?
«E’ il suo preferito. Lontano anni luce dai bassifondi in cui è cresciuta».
Di Agatha racconta tanti amori, quasi mai il sesso: perché?
«È vero che non descrivo mai l’atto sessuale. Genera cattiva prosa ed è romantico quanto il defecare».
La fa piangere, la bersaglia di sfortune, le fa comprare inutilmente vestiti per occasioni che vanno in fumo, le fa spendere una fortuna dall’estetista e stavolta le «uccide» persino l’uomo di cui sé invaghita: non le sembra di essere troppo sadica con il suo personaggio?
«George doveva morire. Ma è stata una bella fine: non ha sofferto».
A proposito di George scrive «faceva sentire speciale qualsiasi donna. In sua presenza mi sentivo femmina e ormai quasi tutti gli uomini hanno perduto questa dote. Da quando si è affermato il femminismo gli uomini non ritengono più necessario corteggiare una donna…». E’ Agatha che si è bevuta il cervello per la cotta o c’è anche un po’ del suo pensiero in queste parole?
«Agatha non potrebbe mai essere anti-femminista. Ammiro le donne che ci hanno permesso di ottenere la parità nella retribuzione e nei diritti. L’unica cosa triste della rivoluzione femminile è che prima della pillola anticoncezionale gli incontri potevano essere piacevoli e romantici. Dopo la pillola tutto è diventato scontato e un po’ squallido».
A partire da Conan Doyle, molti giallisti arrivano quasi a odiare i loro personaggi e vorrebbero farli crepare: prova lo stesso sentimento verso Agatha?
«Se mi stanco di un personaggio, lo elimino».
Agatha è «nata» 27 anni fa. Invecchia?
«Lei, no. Io sì. E come lei, non credo alle donne che invecchiano con grazia. La mattina, quando mi sveglio, per mettermi a posto la faccia, ho bisogno di una lente d’ingrandimento perché da un lato ci vedo molto meno di una volta ma dall’altro vedo benissimo le zampe di gallina. Rimane un interrogativo: o la mia vista non è pessima come pare o le rughe sono peggio di quanto mi piaccia ammettere».
Quali sono i riti delle sue giornate?
«Mi alzo presto, bevo un caffè. E combatto contro il desiderio di fumare».
Lei ha fatto la cronista di nera a Glasgow, a quel tempo una delle città più difficili del Regno Unito. Che cosa ricorda del suo mestiere di giornalista?
«Sono ricordi alquanto nebulosi, Glasgow era una città violentissima con bande di delinquenti ovunque. I crimini erano orribili, brutali, rapidi. Niente a che vedere con le mie fiction. Il lavoro vero della polizia è scrupoloso, lento. Non come in un giallo, dove giustizia è fatta in poche pagine»
Nei tribunali dei suoi romanzi chi è ricco e famoso può farla franca: pensa che la giustizia anglosassone, con le sue giurie popolari facilmente influenzabili soprattutto nella civiltà dello spettacolo, riesca a essere «giusta»?
«Sono convinta che vince chi ha l’avvocato più costoso».
E’ una delle scrittrici più lette (e quindi anche più pagate): che cosa c’è di bello nell’essere uno scrittore ricco?
«Non mi sto godendo i soldi perché sto ancora pagando i debiti esorbitanti che ha lasciato il mio defunto marito».
Se Agatha dovesse descrivere lei, mrs. Beaton, che identikit verrebbe fuori?
«Se Agatha mi descrivesse in termini poco lusinghieri, sarebbe la sua fine».
La vita le ha insegnato a essere saggia?
«L’età non porta saggezza. I giovani stupidi quando crescono diventano adulti stupidi».