la Repubblica, 13 luglio 2019
Il paradosso di Hamilton
«Uno di questi giorni mi farò trapiantare sopracciglia folte e un bel paio di baffoni. Così tutti gli inglesi tiferanno per me». Senza fare più caso al colore della pelle, vero Lewis? Perché Hamilton non è solo il più vincente, è anche il solo pilota nero della F1. Orgogliosamente nero. E tatuato, very bling – coperto di anelli e catene d’oro – a volte eccessivo lontano dalla pista. La cosa a molti britannici non è mai andata giù, e i giornalisti non si fanno pregare per provocarlo: tirano in ballo il connazionale Nigel Mansell, biondo e very British, che ha vinto infinitamente meno – un Mondiale contro 5, 31 gp a 79 – però resta il più popolare, amato. Spiegaci, Lewis.
Ma Hamilton non ci casca. Risponde con la battuta su sopracciglia e baffi, dice che la gente ha il sacrosanto diritto di appassionarsi a chi gli pare. Ricorda che a Stevenage – il sobborgo a 40 km da Londra dove è cresciuto in una casa popolare – «non avrei mai pensato di avere dei tifosi, oltre ai miei genitori». La voce gentile, il sorriso, i modi educati. E però una luce amara nello sguardo. Razzismo: gli hanno consigliato di lasciar perdere l’argomento (ragioni di sponsor e seguito), ma come si fa? A marzo aveva clamorosamente preso posizione quando in Montenegro alcuni calciatori inglesi – Danny Rose, Raheem Sterling – erano stati presi di mira per il colore della pelle. «È inaccettabile che accadano ancora cose del genere. Però temo dovremo aspettare molto, prima che il problema si risolva: davvero accadrà, un giorno?». Era tornato sulla sua infanzia e gli atti di bullismo subiti, sul suo sogno di adolescente, «quando mio padre Anthony mi accompagnava sulle piste da kart, ero il solo nero e la gente ci guardava con diffidenza: “Uno come te non ce la farà mai”, mi ripetevano ». Joseph Harker, direttore della prima pubblicazione per britannici di origine africana ( Black Briton ) ha denunciato: «Lewis è trattato diversamente dagli altri campioni di questo Paese». Mansell, che vinse il Mondiale del ’92 con la Williams, per gli inglesi è: Our Nige. «Hamilton non sarà mai: Our Lewis ».
Straniero a casa sua. Gli preferiscono anche Jenson Button (un titolo con la Brawn nel 2009), «che si trasferì a Monaco per questioni di tasse e nessuno ebbe nulla da obiettare, mentre per alcuni fantomatici inciampi fiscali di Hamilton si è scatenato il finimondo». I motori in Inghilterra sono tradizione, come il rugby. Maro Itoje, gigante di origine nigeriana considerato la nuova ‘stella’ ovale, sostiene che i giornalisti abbiano la loro parte di colpa, nelle discriminazioni: «Quando descrivono un rugbista di colore, usano spesso il termine ‘beast’ (bestia): cosa che non fanno mai, scrivendo di un bianco».
Ieri ha chiuso col 2° tempo la prima giornata di prove libere: Hamilton è il favorito, se domani vincesse sulla pista di casa – una delle più suggestive del campionato – sarebbe la sesta volta in carriera. Un altro record. Il circuito è sold out, 140 mila spettatori. Quanti tiferanno davvero per lui? Lewis sorride: «Tanti. E in futuro altri ancora. Mio padre mi ha sempre detto di rispondere in pista, coi risultati. Di regalare allegria, che non ha colori, anzi: ne ha mille».