la Repubblica, 13 luglio 2019
Lucrezia Borgia, a 500 anni dalla morte
Quando Lucrezia arriva per governare Spoleto, è l’agosto del 1499, ha 19 anni. Suo padre Rodrigo col nome sovrano di Alessandro VI siede sul trono pontificale dal 1492. Arriva per reggere due dei castelli più importanti nel nord dello Stato pontificio. È incinta di Alfonso da Bisceglie, figlio illegittimo del re di Napoli. Li hanno fatti sposare perché il papa vuole consolidare i legami con la corona aragonese. Alleanze mutevoli rotte spesso dal tradimento – schieramenti fragili, come lo è l’intera penisola italiana – situazioni che conosciamo anche noi. Nel 1494 Carlo VIII di Francia ha varcato le Alpi con 30mila uomini e poderose artiglierie per conquistare il regno di Napoli. Nel 1530 Carlo V viene consacrato re d’Italia da Clemente VII. Sono passati solo tre anni da quando l’imperatore ha fatto mettere a ferro e fuoco Roma dai suoi lanzichenecchi. Per settimane la città è stata depredata, le donne violate, gli uomini uccisi. Dura lezione perché il papa capisca che non deve intralciare il passo a chi comanda davvero. Clemente però la corona deve dargliela lo stesso. Tenere la cerimonia a Roma sarebbe stato un po’ troppo, si scelse Bologna. Sono gli anni in cui la penisola ha perso ogni speranza d’indipendenza politica. Regni, principati, ducati e signorie sono piccoli e deboli, divisi, pronti ad allearsi con chi al momento sembra più forte. Situazione che la plebe riassume nel cinico detto: Franza o Spagna, purché se magna.
È questa l’età di Lucrezia. La giovane donna conosce la gloria delle corti, il fiorire delle arti, ma anche la debolezza militare, l’umiliazione politica, gli eccessi sessuali. Anni in cui si decidono le sorti della penisola che dureranno fino al risveglio di inizio 800.
Chi è allora questa giovane donna, ritenuta capace di governare una delle principali roccaforti in un momento così difficile? Una persistente leggenda la descrive seduttrice, immorale, viziosa; protagonista di smodati desideri e violenze, compresi rapporti incestuosi con padre e fratello, il temibile Cesare – il Valentino – che Machiavelli addita ne Il Principe : «Era tenuto Cesare Borgia crudele, nondimanco quella sua crudeltà aver acconcia la Romagna, unitola, ridottola in pace e in fede». Ferdinand Gregorovius fa questa domanda: «Lucrezia Borgia è la figura più sciagurata tra le donne nella storia moderna. O le tocca soltanto portare il peso di un’esecrazione che il mondo per errore le ha inflitto?».
Un dettaglio della sua vita privata rivela quale fosse l’atmosfera di famiglia. Un certo giorno suo padre si prende per amante Giulia Farnese che la plebe di Roma chiama, per dileggio, “la sposa di Cristo”. La relazione comincia quando lei ha 15 anni, lui 58. Le organizzano un matrimonio di copertura e suo “marito” ne reclama la presenza in una tenuta a Bassanello. Quando sta per partire la raggiunge uno scritto di Rodrigo, furente di collera e di gelosia che le proibisce di allontanarsi: «Sub poena excomunicationis late sententiae ed maledictionis eterne te comandamo che non debi partir … ni manco andar a Bassanello per cose Il dipinto Beatrice II d’Este ritratta da Bartolomeo Veneto con le fattezze di Lucrezia Borgia concernente lo stato nostro (…) non potrò credere che tu lo faccia per altro se non per impregnarti un’altra volta di quello stallone». Chi scrive è un consacrato in Cristo. In un latino rudimentale mescolato a un italiano sgrammaticato maledice la sua amante temendo che possa essere messa incinta dal legittimo marito… Rodrigo è pronto a tutto per lei, anche a creare cardinale suo fratello a soli 25 anni. La plebe romana storpia per dileggio il nome di famiglia, lo chiamano il “cardinal fregnese”. Sarà papa a sua volta, non dei peggiori, col titolo di Paolo III.
Questo era il Cinquecento italiano. Forse in nessun’altra epoca si toccarono vette così lontane tra loro: il massimo splendore delle arti, la massima depravazione dei costumi. Pietro Aretino dice in modo esplicito che Roma è sempre stata e sarà «la città delle puttane». Non si tratta solo di “vocazione”; è una città abitata da molti uomini soli, fossero gli svizzeri della guardia o i novizi e sacerdoti sparsi per chiese e seminari. Lucrezia cresce in un ambiente di vizi esibiti, assiste e partecipa a indecenze senza limiti.
È una donna del Rinascimento, con un’ottima conoscenza delle humanae litterae : parla italiano, catalano lingua di famiglia, francese e latino, sa di musica, compone versi. Suo padre la fa sposare per la terza volta con Alfonso d’Este, figlio di Ercole, illustre famiglia che dal 1200 regna su Ferrara. Una delle corti più colte d’Europa. Il duca Ercole non era favorevole, la “nuora” era preceduta da una pessima fama – però non voleva nemmeno offendere il papa; ci furono uno scambio di riconoscimenti, la promessa d’una dote sontuosa, e s’arrivò alle nozze. Il 6 gennaio 1502, giorno dell’Epifania, Lucrezia lascia Roma sotto la neve. Mentre s’allontana col suo seguito nel mulinio dei fiocchi, Alessandro rimane a lungo alla finestra del palazzo – guarda per l’ultima volta la sua amata figlia. Ha 22 anni, l’attende la nuova patria: Ferrara.
Lucrezia seppe sopravvivere alla caduta dei Borgia, mantenere un titolo di rango, un marito, la posizione ducale. Si occupò delle istanze dei cittadini presso il principe, a detta di un relatore tutto questo fece con “ingegno e bona gratia”. Morirà giovane, il 24 giugno 1519, a 39 anni, ancora molto bella. Venne seppellita con l’abito da terziaria francescana, desiderio che va inteso, forse, come estremo gesto di redenzione. Né demone né angelo, lei e la sua storia appartengono a quell’Italia e a quegli anni.