Robinson, 13 luglio 2019
Intervista su Dio e la Madonna ad Angela Volpini
Mi ero imbattuto anni fa nel pensiero di Angela Volpini, grazie a un libro dove dialogava con Raimon Panikkar della sua esperienza mistica. Colpiva che uno dei grandi storici delle religioni si confrontasse con una donna che con semplicità affermava di aver visto ripetute volte la Madonna. Mi incuriosiva la persona (il prossimo anno compirà 80 anni) e al tempo stesso ne diffidavo, come può farlo uno scettico, un tiepido non credente. Poi un nuovo libro, questa volta scritto insieme a Paolo Rodari (Dio non è nascosto, edizioni San Paolo), mi ha convinto che Angela è una persona speciale, forse unica, e sono andato a trovarla nel paesino che le ha dato i natali e in cui vive: Casanova Staffora, a quasi un’ora di macchina da Voghera. Ho mangiato con lei e con il marito Giovanni, di professione sociologo rurale, ho visitato quei luoghi che sono all’incrocio di ben tre regioni (Piemonte, Lombardia, Liguria) e l’ho ascoltata lungamente parlare. Dalle foto di lei, prima bambina e poi ragazza, deduco una bellezza schietta e contadina. Bella lo è ancora ma senza il disagio che l’invecchiamento produce.
Come vive avendo alle spalle un’esperienza così eccezionale?
«Si riferisce alle apparizioni?».
Sì.
«La prima cosa è essere creduti. Chi sei tu per avere avuto un tale privilegio? Oppure: perché mai dovrei credere in ciò che non esiste? La gente o nutre un atteggiamento miracolistico o accoglie quell’evento con profondo scetticismo. Il più delle volte ero percepita come una folle o una millantatrice».
E la Chiesa, come ha reagito?
«Ha dichiarato che la mia visione non corrisponde al suo magistero».
Farei un passo indietro. Lei è nata nel 1940, qui nell’Oltrepò pavese. In queste zone, a sette anni mentre è con altri bambini, ha la prima apparizione. Come riassumerebbe quell’evento?
«Portavo al pascolo delle mucche. Poi con gli altri bimbi ci sedemmo in cerchio nella radura di un bosco. Improvvisamente mi sentii strappata da terra. Due braccia mi sollevarono e nel volgermi impaurita vidi un volto bellissimo di donna».
I presenti cosa videro?
«Dissero, nelle testimonianze, che ero volata in cielo perché morta, successivamente che ero diventata matta. Si sparse la voce su questa apparizione. La più scettica, forse la più preoccupata, fu mia madre. Mi condusse da un medico e fui sottoposta a una visita neurologica. In seguito fui trasferita in un convento di clausura. Venne il vescovo e gli raccontai l’accaduto. A sette anni non sapevo cosa fosse un vescovo. Era scettico. Fui trasferita in un edificio alla periferia di Voghera e “segregata” per quasi un mese».
Vuole dire che era prigioniera?
«Non potevo vedere né i genitori né i fratelli, nessuno. Fui interrogata da teologi e psichiatri. Si alternarono per diverse settimane. La stanzetta degli interrogatori era spoglia. La finestra sempre chiusa e la luce forte di una lampada costantemente accesa. Il 4 aprile 1948, alla fine della mia “detenzione” ebbi una nuova apparizione. Quando mi risvegliai dall’estasi colsi tra i presenti una strana agitazione. Alcuni erano commossi, altri arcigni e sospettosi. Perfino spaventati. Ma io non ero lì per convincerli. Ero lì per fornire una visione diversa di Maria».
Cosa intende per “diversa”?
«Il messaggio ribaltava molti luoghi comuni sull’operato di Maria. Per esempio nell’attenzione con cui ci si deve rivolgere alla Terra piuttosto che al Cielo. Privilegiando l’umanità e l’idea di un futuro che può nascere solo dalle infinite possibilità dell’uomo. Siamo liberi perché Dio ci genera nella libertà. Continuiamo ad esserlo nella ricerca della nostra identità personale».
Sembra quasi riecheggiare il pensiero di Simone Weil.
«Ne sono felice. Ma non è un problema di maestri. Bensì di sorelle e fratelli. Pur nella ricchezza delle differenze nasciamo in comunità e del nostro vivere in comune siamo i responsabili. Ciascuno di noi ha bisogno dell’altro. Ecco la pienezza di senso che ho scoperto attraverso Maria».
Quante sono state le apparizioni?
«Dal 1947 al 1956 in tutto un’ottantantina».
Perché si sono interrotte?
«Sapevo che questi eventi sarebbero finiti. Per più di un anno ne ho sofferto la mancanza, soprattutto fisica. Sul motivo non so. Si era forse compiuto un percorso».
Poc’anzi parlava di estasi. Definirebbe dunque la sua un’esperienza mistica?
«Sì, decisamente».
Potrebbe essere più precisa sul significato di “visione mistica”? «L’esperienza mistica consente all’essere umano di conoscere la sua intrinseca natura. È un modo di vedersi e vedere oltre il tempo e lo spazio. Quando cade il velo del mistero di sé e degli altri, si scende nel cuore del mondo da cui ogni cosa è generata. Chiamerei questa esperienza la pienezza del mio vissuto».
Vedo una foto di lei più giovane con accanto Panikkar. Che cosa vi univa o vi divideva?
«Non riusciva a comprendere la mia visione, ma lo affascinava. La foto fu scattata il 12 maggio 2010 a Tavertet, sopra Barcellona, dove viveva. Era già malato e sarebbe morto pochi mesi dopo. Quando ci salutammo mi prese la mano e disse: Credo di capire il senso di fisicità che trasmetti e mi mancherà».
Un altro personaggio importante nella sua vita è stato Gianni Baget Bozzo. Che ricordo ne conserva?
«Ci conoscemmo nel 1967, l’anno in cui fu ordinato prete. Con tutte le sue paturnie è stato un grande amico. Oltretutto nel 1971, quando nessun prete voleva sposare me e mio marito, celebrò con grande coraggio le nostre nozze. Era un uomo libero, forse troppo attratto dalla politica».
Un limite?
«Discutevamo tantissimo, a volte perfino in modo veemente. Anche su temi decisamente complicati come il divorzio e l’eutanasia».
Lei che posizioni ha?
«Favorevole».
Anche sull’eutanasia?
«Se la vita c’è stata donata è chiaro che è nostra. Solo noi, individualmente, possiamo decidere cosa farne. Mi batterei perché nessuno faccia quella scelta estrema, cercando di convincere che un’altra opzione è possibile. Ma la decisione irrevocabile di farla finita va rispettata».
In nome della libertà?
«In nome di qualcosa che ci appartiene e che il diritto creazionale sancisce».
Che idea ha di Dio?
«Spesso ne hanno mistificato l’immagine e deturpato il senso. Sono le stesse persone che pensano che attraverso Dio si possano rendere schiavi gli uomini. La mia idea invece è che Dio sia fonte di libertà. È doloroso constatare come la sua figura sia stata fraintesa. Dobbiamo scegliere se legare la sua immagine alla vita o alla brutalità della forza».
Forse sono entrambe necessarie.
«Se accettassimo che sia la forza a guidare la vita allora dovremmo di conseguenza accettare la prevaricazione e il dominio come forme di potere».
Che definizione darebbe del potere?
«Il potere è la nostra lunghissima storia del dolore e se ancora non è riuscito a distruggere fino in fondo l’esigenza di libertà, ha saputo andarci molto vicino. C’è sempre nel potere la figura dell’ultimo seduttore, colui al quale pensiamo di doverci rivolgere, ma che in realtà ci assoggetta alla sua volontà. L’alternativa al potere è l’amore che si serve di altri metodi per realizzare ciò che io chiamo comunità».
Molte volte nella storia si è cercato di porre l’amore al primo posto. I risultati non sono stati incoraggianti.
«È vero. Ma stare nella storia significa anche rendersi conto degli errori commessi. Siamo creature finite ma con potenzialità infinite. Nondimeno, abbiamo moltiplicato nel mondo la morte anziché usare il potere di creare infinitamente vita».
È stata definita una veggente. Che cos’è una veggente?
«Non è una persona che ambisce a un’etichetta o a un titolo. Il valore della sua esperienza è l’esperienza stessa, non l’approvazione di autenticità. Veggente è colui che vede eccezionalmente quello che tutti potremmo vedere normalmente se riconoscessimo in noi il senso che il desiderio e l’esigenza ci domandano».
Che cosa fa un veggente per gli altri?
«Non fa miracoli, se è questo che vuole sapere».
Cosa pensa degli altri luoghi, ormai ritenuti sacri, in cui è apparsa Maria?
«Sono per lo più delle agenzie pubblicitarie. Dove si commercia in feticci e miracoli. Si specula sul sacro in maniera orrenda. Il che non toglie che alcune persone che sono all’origine di certe visioni siano autentiche. Mi chiedeva cosa faccio io per gli altri. La mia attitudine è l’accoglimento e l’ascolto. Non potrei fare molto di più. Chi viene da me solitamente arriva con un problema. Ma non offro la soluzione. Per me è fondamentale che quel problema perda la sua centralità e al suo posto venga avanti la persona con le sue qualità e bisogni. Solo allora può nascere, forse, una via di uscita. Ma la condizione è riuscire ad avere il cuore aperto».
Ha incontrato molte persone?
«Ne incontro da 72 anni. Molti pensano che io possegga poteri straordinari ma non ne ho. Però non ho quasi mai incontrato nessuno che non abbia espresso il proprio bisogno d’amore e di richiesta di senso. Oltretutto, la mia visione laica è piaciuta poco alla Chiesa ma ha trovato interesse in alcune zone della politica e della cultura».
Chi si è interessata a lei?
«Giorgio La Pira, Palmiro Togliatti, che vedevo a volte a Roma, Enrico Berlinguer che incontrai una sola volta. Pier Paolo Pasolini».
Lo ha conosciuto bene?
«Negli anni in cui non era ancora famoso. Quando stava elaborando il film sul Vangelo di Matteo lo condussi da un vecchio eremita. Col quale ebbe un lungo dialogo. Ne uscì sconvolto. La nostra amicizia si concluse nel 1968. Aveva un tormento che lo spingeva all’autodistruzione e questo non mi piacque».
Le piacciono gli intellettuali?
«Ce ne sono ancora? Per anni sono stata invitata a dei confronti con scrittori e intellettuali dell’Académie Française».
Dove avvenivano?
«A Parigi, fu un prete a propiziarli. Un anno venne anche Salvador Dalí che fece un po’ il matto. Di solito mi rivolgevano domande sulla mia esperienza».
Chi le faceva?
«Ricordo Jean-Paul Sartre, Roger Garaudy, Louis Althusser, Jean Guitton di cui divenni amica. Passai qualche giorno a discutere con Jacques Maritain e la redazione di Esprit. Furono incontri che andarono avanti lungo gli anni Sessanta. Alla fine parteciparono anche Paul Ricoeur e Emmanuel Lévinas. In un’occasione Edith Piaf cantò per me».
Che cos’è il paradiso?
«La continuazione di ciò che abbiamo scelto di vivere».
Se avessimo scelto male?
«Non sarebbe un paradiso».
Dov’è il divino oggi?
«È in noi e fuori di noi. Dio non è un essere impersonale. Ha un’identità, un’intelligenza e un amore finalizzato a noi. Ma spetta solo a noi farne l’uso giusto, dotarlo di senso».
Aiutati che Dio ti aiuta.
«Perfetto».
Teme la morte?
«Non mi fa paura ma non mi piace perché non è il fine della natura umana».
È il fine biologico.
«Siamo soltanto questo?»
È il nostro limite.
«Ogni volta che superiamo un limite facciamo esperienza dell’infinito».
Possiamo superare il limite anche per cose orribili.
«In tal caso si cadrebbe nel più tragico finito. Solo la coscienza del bene apre all’infinito. Il resto è strumentale volontà di potenza».
Non è quello che ci sta brutalmente accadendo?
«Mi angoscia pensare che il nostro sia il tempo delle risposte ideologiche. Non siamo stati creati per questo. Ogni nascita corrisponde a un desiderio di bene. Su questo bisognerebbe tornare a interrogarsi».
(da Robinson)