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 2019  giugno 24 Lunedì calendario

L’Africa di Ayesha Harruna Attah al Massenzio

Sono cresciuta in mezzo ai libri. Mentre tutti passavano il pomeriggio a dormire, io, senza muovermi dalla mia città dell’Africa occidentale, viaggiavo, divorando i libri.
Molto più avanti, al liceo, mi fu detto che c’era un canone di Libri più Importanti di altri. Cercai me stessa nel canone. Sì, spiccava qualche nome familiare come Achebe, ma dov’erano gli equivalenti africani dell’Iliade e dell’Odissea? I poteri che controllavano il canone mi dissero che quello che cercavo non esisteva. A sentir loro, la storia del mio popolo sarebbe cominciata quando i portoghesi hanno ormeggiato le loro navi lungo le coste africane. Io rifiutavo l’idea di venire da un vuoto caotico senza passato, senza storia, senza cultura. Doveva esserci dell’altro: una storia più lunga e più ricca di quel che mi avevano insegnato. L’idea dirompente di un’Africa classica.
Il Sankofa è un simbolo del popolo ashanti del Ghana, da cui io in parte discendo. È un uccello che piega il collo all’indietro per raggiungere un uovo in bilico sulla sua schiena. Simboleggia il ritorno al passato per apprendere strumenti per il futuro. È questo, secondo me, che i classici ci consentono di fare. Ma allora, se tutto ciò che avevo imparato fino a quel momento suggeriva che la mia storia era così breve, cosa potevo sperare per il mio futuro? 
Nel mio percorso di lettrice e scrittrice ho ricevuto una formazione tecnica che mi ha permesso di addentrarmi nei territori più remoti dell’Africa classica. Ho passato un anno a decifrare il sistema di scrittura mdw ntr, poi, con altri due colleghi, abbiamo cominciato a leggere e tradurre geroglifici egizi. Stranamente, l’antico Egitto a volte viene strappato via con la forza dal resto dell’Africa. Ecco, per esempio, una citazione dell’archeologo francese Jacques-Joseph Champollion-Figeac, il cui fratello, Jean-François, aveva decifrato la Stele di Rosetta: «L’opinione che l’antica popolazione degli Egizi appartenesse alla razza dei neri africani è un errore».
Negli anni Sessanta del secolo scorso, l’egittologo senegalese Cheikh Anta Diop contestò questa posizione, evidenziando i legami linguistici, culturali e scientifici tra l’Egitto e il resto dell’Africa. Diop ha scritto, in Civilization ou barbarie, che «l’analisi dell’antico Egitto è l’opzione più sensata se vogliamo pianificare e fondare il nostro futuro culturale».
Immaginate una realtà prima che ci fosse il cielo, prima che la Terra esistesse, prima della paura, dell’euforia, del dolore e di ogni tipo di emozione umana. C’era Nwn. O così dice una delle più antiche storie della creazione. Tratta dai Testi delle piramidi e dal Libro dei morti, scritti 4600 anni fa, è il racconto di come in principio ci fosse un abisso liquido che conteneva intelligenza e materia latente, che avrebbero preso coscienza. La storia dell’origine del mondo è quanto di più classico ci sia – questa, che è una storia africana, è notevolmente moderna. 
Per un millennio, gli Egizi furono fecondi, nel campo della letteratura e dell’architettura, sviluppando la loro filosofia e il loro sistema di scrittura, ma il seguito è una storia triste, un’avvisaglia di quel che avrebbe subìto il continente. Nel 1600 prima dell’era volgare, furono invasi dagli Hyksos, che venivano da Oriente. Dal punto di vista artistico e culturale l’antico Egitto attraversò un periodo di penuria. Invasioni successive ebbero lo stesso effetto. 
La reazione ad alcune di queste invasioni fu quella di andare via. Gli Egizi si erano dotati di un sistema di scrittura, ma era un compito sacro riservato a un’élite, quindi non stupisce che la parola scritta non abbia viaggiato con loro. La parola orale era più facile portarla con sé. In quest’epoca precaria i nostri classici furono custoditi nei canti e in storie dell’origine. 
Saltiamo rapidamente in avanti fino al momento in cui l’islam si diffonde nel continente. Questo riporta la cultura scritta. Nel Nord fioriscono opere come Trattato sull’anima di Ibn Badjdja, Un dono di gran pregio per chi vuol gettar lo sguardo su città inconsuete e peripli d’incanto di Ibn Battuta. 
Durante il Medioevo, nuovi regni germogliarono sul continente. Nell’Ovest c’erano i Tekrur, i Wolof, i Foula, l’impero del Ghana, l’impero del Mali e l’impero Songhai. Nell’Africa nord-occidentale l’islam, giunto sull’onda dei commerci, avanzava in fretta. Ci furono popoli che si adattarono. Altri continuarono a fuggire. 
I classici di quest’epoca turbolenta resistono a loro volta nei nostri miti, nelle nostre parabole e nei nostri proverbi. Nell’insieme, è una narrazione ininterrotta.
E giunse poi una nuova invasione. Questo è il punto dove l’Europa entra nel quadro, e non è un bel punto. Gli esploratori europei giunsero a quel che per loro era il grande ignoto. Giungevano con differenti modi di pensare e di comportarsi, ma per lo più venivano per prendere. E la reazione africana? Forse, dopo essere stati costretti a spostarsi in continuazione, ci eravamo stancati di resistere. Così, quando hanno cominciato a portarci, a uno a uno, dall’altra parte dell’oceano, alcuni di noi hanno collaborato, altri hanno tentato di fuggire, ma quasi sempre siamo rimasti impotenti. Lo spirito di quel tempo era con ogni probabilità una storia di sopravvivenza e autoconservazione.
Quando finalmente riuscimmo a raccogliere le forze per contrattaccare, eravamo troppo divisi, troppo confusi. Finché, poco a poco, siamo riusciti ad affrancarci dalla nostra sottomissione coloniale, e a riprenderci ciò che era nostro. Stiamo ancora, però, cercando di rimettere insieme i pezzi.
Viviamo in un’epoca entusiasmante, ora, specialmente come scrittori africani, con i riflettori puntati su di noi. Noi tutti speriamo che le nostre opere superino la prova del tempo, che un giorno siano considerate classiche.
Il futuro dei classici è inclusivo. Non è soltanto greco o romano, è africano, asiatico, è femminile, è proletario. Arriva sotto forma di incisioni nella pietra, poemi epici sulla guerra di Troia, simboli adinkra; domani, potranno essere tweet, post di Instagram, meme. Per me, il futuro dei classici comprenderà sempre i libri.