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 2019  giugno 24 Lunedì calendario

A Praga, tutti in piazza contro Babis

Trecentomila in corteo a Praga contro il potere, trecentomila soprattutto giovani, sventolando il loro tricolore e cantando l’inno nazionale e l’ode alla gioia di Beethoven, l’inno europeo. Non era mai accaduto a Praga fin dalle manifestazioni di trent’anni fa, quando con la Rivoluzione di Velluto i giovani – sfidando manganellate e idranti – scesero in piazza per acclamare l’eroico leader dissidente Vaclav Havel e il vecchio comunista riformatore Alexander Dubcek. Prima del 1989, le piazze di Praga si erano riempite nell’agosto 1968 quando ragazze e ragazzi affrontarono morendo i cingoli dei Panzer russi invasori per schiacciare il socialismo dal volto umano. Ieri i cechi hanno riscoperto la politica, si sono ripresi la loro splendida capitale. Chiedono le dimissioni del premier sovranista Andrej Babis, accusato di corruzione, e il ripristino dello Stato di diritto. Il vento di Praga si annuncia contagioso, nell’Europa di mezzo dove la società civile sopporta sempre meno lo strapotere degli autocrati.
«Babis, dimettiti!», «Adesso basta», «Non rinunciamo alla democrazia, in nome di nonni e padri», dicevano gli striscioni tenuti da ragazze e ragazzi, con tante famigliole e anziani, veterani della Rivoluzione di Velluto del 1989 e gli ultimi superstiti del 1968 di Dubcek, al loro fianco mano nella mano. Hanno cominciato a sfilare al Letna Park, poi sono giunti in centro, cuore e luogo simbolo della Praga che insieme a Bologna è la città universitaria più antica d’Europa.
«Troppo è troppo, ieri e l’altro ieri come allora, non molleremo», hanno detto molti giovani ai microfoni di radio e tv del mondo globale. La manifestazione, conclusasi senza incidenti, era stata indetta da organizzazioni per la libertà nate dalla società civile, come “Un milione di momenti per la democrazia”. Nessun partito politico era invitato.
Filip Rubas, veterano militante dell’autunno 1989 contro la dittatura imposta da Brezhnev e che difese con violenza fino all’ultimo il suo potere contro la svolta gorbacioviana, la rivoluzione polacca e la caduta del Muro di Berlino, ha detto: «Oggi siamo democrazia europea, vogliamo difenderci dai nuovi autocrati. Trent’anni fa come oggi chi governa deve capire che la patria appartiene a noi paese reale, non a loro». Poi ha preso il microfono il fondatore del movimento “Un milione di momenti per la democrazia”, il pastore protestante Mikulas Minar: «È inconcepibile che trent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’Impero sovietico noi, civili ed europei cechi, dobbiamo avere un primo ministro indagato e accusato non solo dalla magistratura ma anche dalla polizia per corruzione e malversazione. Non vogliamo mollare».
Babis, secondo uomo più ricco del Paese e tycoon fattosi politico e soprannominato Babisconi, col suo partito populista Ano (Unione dei cittadini insoddisfatti) ha ancora consensi attorno al 27 per cento nei sondaggi, ma è accusato dalla polizia di malversazione aggravata di fondi pubblici e aiuti dell’Unione europea a vantaggio di una delle sue molte aziende, il centro residenziale e spa resort “Nido delle cicogne”. Lui nega ogni accusa, e definisce «incredibili» i discorsi della piazza e le accuse nei suoi confronti: «Ma anche queste sono le opinioni che si possono sentire in democrazia», ha scritto su Twitter. I socialdemocratici suoi partner nella coalizione minacciano di lasciarlo. Incalza l’ultradestra populista del ricco ceco di origini giapponesi Tomio Okamura che preme per mettere alla guida di tv, radio e agenzia di stampa pubblica giornalisti antioccidentali e russofili. La gente non ci sta, e dialoga in piazza cantando: “Kde domov muj”, “Dov’è il mio Paese?"
In piazza Centinaia di migliaia di manifestanti ieri a Praga al parco Letna per manifestare contro il premier Babis