Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  giugno 14 Venerdì calendario

Intervista a Letizia Battaglia

L’inseparabile Leica al collo, tra le dita l’ennesima sigaretta, Letizia Battaglia porta i suoi 84 anni con grazia e allegra sfrontatezza. «Gli applausi, la gente che viene a stringermi la mano...tutto questo mi fa piacere, ma cosa ho fatto di speciale? Ci sono tante donne meritevoli», dice la grande fotografa che ha inaugurato il BiograFilm Festival di Bologna come protagonista di Shooting the Mafia. Si tratta di un docufilm diretto da Kim Longinotto (a dicembre uscirà con I Wonder Stories) che, mescolando documenti d’archivio, fotografie e testimonianze, ripercorre la storia passionale, coraggiosa e fuori dagli schemi di Letizia: è stata la prima donna a documentare le stragi di mafia, ha fatto politica nella sua Palermo, fondato una casa editrice femminista, amato uomini più giovani. Oggi Battaglia continua ad essere un’icona, esporta dovunque le sue mostre e dirige il Centro Internazionale di Fotografia della sua città dove sta prendendo corpo il suo nuovo progetto: Palermo nuda, ritratti senza veli delle donne locali...
È difficile convincerle a spogliarsi? 
«No, non hanno paura. Sono proprio loro a chiedermi di essere fotografate, perfino le più anziane: hanno capito che il progetto esalta con amore e rispetto la forza, la bellezza, la saggezza delle donne. E i mariti, figli, amanti non si permettono di contrastarle».
Com’è cambiata la città dai tempi della guerra di mafia? 
«A Palermo c’è un’atmosfera effervescente, la gente è più viva che mai e si riversa nelle strade anche di notte. Si aprono i locali, si moltiplicano le iniziative culturali. Abbiamo riscoperto la voglia di bellezza».
Lei è stata una delle prime femministe e, fedele al suo cognome, ha difeso i diritti delle donne.
«Io ho sempre lottato ma non me ne sono accorta. Ho fatto le cose in cui credevo. E oggi anche nella mia città le donne sono cambiate: aspirano all’indipendenza, rivendicano il diritto di uscire di notte, pretendono il rispetto. Però devono fare i conti con gli uomini che non sono cresciuti».
Lei è stata sempre rispettata?
«Macché, ho incontrato tanti ostacoli. Ma non mi sono mai lasciata abbattere».
Rimpiange gli anni in cui è stata assessore e deputato? 
«Ho fatto politica, lasciando la fotografia per una decina d’anni, mossa dall’ambizione di migliorare la mia città. Oggi sono fiera di aver piantato tanti alberi».
Che traguardi le restano da inseguire?
«Non voglio applausi, premi, omaggi. Sogno un mondo in cui ci si voglia bene. Nella vita ho sempre cercato l’amore».
Nel mondo è conosciuta come la fotografa della mafia: perché dopo gli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ha smesso di documentare i fatti di sangue?
«Non sono più riuscita ad accettare la violenza. E mi sono dedicata ad altri progetti».
Ormai chiunque scatta foto con il telefonino: un sacrilegio nei confronti della nobile arte della fotografia? 
«No, perché spaventarsi. È normale che si producano tante immagini. Scrivono tutti, ma di Pasolini ce n’è uno solo».