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 2019  maggio 20 Lunedì calendario

Indice della salute, vincono sardi e lombardi


L’incidenza delle malattie sul territorio. La possibilità di curarle attraverso i farmaci. E l’accesso alle cure e la disponibilità di personale specializzato, dall’infanzia alla vecchiaia. Oppure, la necessità di spostarsi altrove. Se il solo corpo umano è una complicata macchina con 752 muscoli e circa 206 ossa, il concetto di salute è altrettanto complesso da mettere a fuoco e valutare. Dall’incrocio di ben 12 indicatori è nato l’Indice della salute del Sole 24 ore che incorona Bolzano come provincia più “sana” d’Italia, seguita da Pescara, Nuoro e Sassari. E, di contro, assegna la maglia nera a Rieti, con Alessandria e Rovigo rispettivamente penultima e terzultima tra le 107 province. Milano, Cagliari e Firenze sono le uniche grandi città nella top ten.
Una fotografia complessa
La classifica finale – seconda tappa di avvicinamento all’edizione della Qualità della Vita 2019, nel trentesimo anniversario dell’indagine che misura i livelli di benessere del territorio – è il risultato della media dei punteggi ottenuti dai diversi territori nei singoli indicatori. Che, a loro volta, incarnano tre aspetti fondamentali della salute: performance demografiche registrate negli ultimi anni (ad esempio, l’incremento della speranza di vita alla nascita); fenomeni socio-sanitari (come la mortalità annua per tumore e per infarto e il consumo di farmaci); livelli di accesso ai servizi sanitari (dall’emigrazione ospedaliera alla disponibilità di posti letto e di medici). I dati più positivi, in generale, arrivano dalle province del Trentino Alto Adige, seguite dalla Sardegna e dalla Lombardia, mentre le performance più negative, sempre su base regionale, sono quelle di Lazio, Basilicata e Campania. Stringendo il focus, emergono alcuni singoli primati. 
Record positivi e negativi
La provincia di Gorizia, per esempio, vanta il più alto incremento della speranza di vita media: è salita di ben 4,6 anni negli ultimi quindici anni, toccando quota 83,2 anni (età attesa alla nascita). Al tempo stesso, però, registra un’elevata diffusione dei farmaci per curare l’ipertensione (è all’88° posto nella classifica sui volumi di pillole acquistate)e il diabete (59° posto). 
Le province in cui muoiono meno persone – in base al tasso standardizzato, calcolato al netto di fattori distorsivi legati all’età della popolazione – sono Pordenone, Trento e Rimini. Se si guarda alla mortalità per tumore, invece, spiccano per la bassa incidenza Sassari, Crotone e Barletta-Andria-Trani. Sassari è prima anche per (minore) numero di infarti miocardici acuti che portano al decesso. I record negativi, invece, vanno a due città campane, Napoli e Caserta, per quanto riguarda la mortalità in generale; Alessandria e Genova per la mortalità causata da tumori; Ferrara e Rovigo per le morti da infarto.
Rovigo, a livello trasversale, colleziona una serie di record negativi: è la provincia più penalizzata per la scarsa disponibilità di medici di famiglia rispetto alla popolazione residente e penultima per l’incidenza di pediatri in rapporto agli under 14. A Lucca, invece, i dati rilevano una scarsità – rispetto agli altri territori – di geriatri in rapporto alla popolazione anziana over 65.
Sul fronte della recettività ospedaliera (si veda l’articolo a destra), Isernia è al top per posti letto ogni mille abitanti, mentre Vibo Valentia e Sud Sardegna si trovano sul gradino più basso del podio.
La debolezza dei piccoli centri 
Tra i fenomeni evidenziati dalla classifica nel suo complesso, emerge una netta differenza non tanto tra Nord e Sud, ma tra città e aree interne, cioè quelle più distanti dai servizi essenziali. A partire dai dati demografici su mortalità e speranza di vita: «Mi preoccupa il trend generale: da anni si consolida in negativo – spiega Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva – e in futuro potremmo avere risultati ancora peggiori per la scarsa capacità di programmazione di alcune aree e per il naturale invecchiamento della popolazione che richiede una diversa organizzazione dei servizi». Gli abitanti delle aree interne, al netto di qualche centro di eccellenza, sembrano avere meno accesso alle cure: «Con trasporti limitati e infrastrutture spesso vecchie, diventa complesso sostenere spostamenti fino a 100 km come previsto dalla normativa. L’organizzazione è troppo rarefatta», dice Gaudioso.
Lontananza fisica e scarsa disponibilità di medici sono due delle cause che portano all’emigrazione ospedaliera. L’indicatore, che fotografa i pazienti dimessi dagli ospedali fuori dalla regione di residenza, e quindi “costretti” a farsi curare lontano da casa, registra il picco negativo a Isernia, preceduta da L’Aquila e Matera. Il fenomeno, come dimostrano le ultime dieci classificate, interessa principalmente le province del Centro (Abruzzo, Lazio) e Sud (Basilicata, Calabria e Molise). Chi, invece, non si muove, sono i lombardi : le prime sei posizioni sono occupate da Bergamo, Sondrio, Lecco, Como, Monza e Brescia. Milano è “solo” undicesima, dietro tre province dell’Emilia-Romagna (Ravenna, Forlì-Cesena, Bologna) e Cuneo.
Le grandi città
Le performance delle grandi città sono diverse, ma la maggior parte è nella prima metà della classifica generale: Firenze e Milano sono rispettivamente al 5° e all’8° posto in classifica, quasi 20 posizioni sopra Bari (21°), Torino (24°) e Roma (29°). Se Palermo è al 46° posto, per trovare Napoli si deve arrivare alla posizione numero 72. «Oggi si potenziano le grandi strutture – chiosa Gaudioso -, mentre l’investimento dovrebbe essere fatto sul territorio, complici le nuove tecnologie. Portare i servizi al cittadino, magari attraverso i medici di famiglia e le farmacie, si rivelerebbe più efficace ed efficiente rispetto a far venire il paziente in ospedale».