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 2019  maggio 04 Sabato calendario

Biografia di Hosni Mubarak

Hosni Mubarak (Muhammad Hosni Sayyid Ibrahim Mubarak), nato a Kafr El Musilha (Egitto) il 4 maggio 1928 (91 anni). Politico. Ex presidente egiziano (1981-2011). Già primo ministro (1981-1982), vicepresidente (1975-1981), comandante dell’Aeronautica militare (1972-1975) • Nacque «nel governatorato di Monufia, a nord del Cairo, dove il delta del Nilo incomincia a dipanarsi nell’ultima parte del suo lungo viaggio verso il Mediterraneo» (Ugo Tramballi). «A quei tempi, in quella regione rurale del Delta, l’educazione era un lusso per privilegiati. Il padre, un modesto funzionario del ministero della Giustizia, usa tutti i suoi risparmi per educare i figli in una scuola privata. […] Emad Eddine Adib è l’intervistatore di fiducia del presidente. Dopo quasi trent’anni di due si conoscono bene: […] “Il giovane Hosni ha sviluppato una riconoscenza infinita per suo padre, ma anche un senso di colpa. Ha giurato a se stesso che la sua riuscita sarebbe stata all’altezza del sacrificio del padre. La sua volontà di primeggiare non è ambizione ma senso del dovere”. Suo padre lo vuole avvocato, ma Hosni non è un intellettuale» (Cécile Hennion). «Finiti gli studi intermedi, Hosni entrò nell’accademia militare, e da lì a quella dell’Aeronautica. L’incapacità del governo di sconfiggere Israele e del sistema di aprire l’accesso a una società più aperta fecero crollare la monarchia. I giovani Ufficiali liberi conquistarono il potere nel 1952. Nemmeno loro riuscirono a battere Israele: persero la guerra del 1956, ma conquistarono il controllo del canale di Suez. Anche loro crearono una società chiusa, un’oligarchia militare industriale garantita da un controllo poliziesco capillare e ammantata d’ideologia socialista: l’Urss era il nuovo grande amico. Ma erano volti nuovi, giovani di una nuova classe sociale, una via di mezzo fra la vecchia borghesia col fez turco e la massa contadina dei fellah che non aveva mai contato niente. Per età e intelligenza, Hosni Mubarak restò fuori dagli scontri interni della prima epoca rivoluzionaria e dalla fase di assestamento del nuovo potere. […] Il giovane pilota di bell’aspetto – nel 1956 avrebbe avuto anche una piccola parte in un film – comandava una squadriglia di cacciatori, ma tutti sapevano che la sua carriera non si sarebbe fermata lì. […] Era un pilota di qualità con evidenti doti per il comando. Fu mandato due anni in Unione Sovietica a fare pratica sugli Ilyushin 28 e i Tupolev 16. Tornò in Urss nel 1964, alla mitica Accademia Frunze. I russi contavano di non creare solo buoni piloti, ma nessun ufficiale egiziano tornerà a casa con la vocazione del rivoluzionario. Ancor meno Hosni Mubarak, che dell’esperienza sovietica non trovò nulla di buono da riportare in patria. In Egitto c’era la fede nell’islam, circa 6 mila anni di potere centrale quasi ininterrotto, nessuna rete tribale, né alcuna minoranza etnica o religiosa eccetto gli ossequienti copti cristiani. Gli israeliani continuavano a vincere guerre» (Tramballi). «Il suo sogno diventa un incubo con la disfatta del 1967 contro Israele. “Era capo squadriglia – racconta Adib – e ha vissuto quell’evento come la sua prima, insopportabile sconfitta. È un uomo che non accetta di perdere, è ossessionato dalla sconfitta”. Dopo il 1967 mette tutta la sua volontà e la sua ostinazione nel compito di riorganizzare la moribonda aviazione nazionale e forma con pugno di ferro i futuri piloti. Nominato comandante delle forze aeree da Sadat nel 1972, si prende parte del merito per il successo della guerra a Israele del 1973» (Hennion). «Nella guerra del Kippur del ’73 era già comandante dell’Aeronautica e viceministro della Difesa. Ma per le sue azioni militari fu nominato anche maresciallo dell’aria. Alcune cose erano cambiate in Egitto dal suo ritorno dalla Russia. Nel 1970 era morto Gamal Nasser, e Anwar Sadat ne aveva preso il posto. Sei mesi più tardi, Sadat aveva epurato i nasseriani; due anni dopo aveva cacciato i consiglieri sovietici e invitato gli americani, aperto il sistema economico e quello politico, e nel 1973 aveva attaccato Israele con l’obiettivo di fare una guerra per avere la pace. Mubarak colse l’occasione per opportunismo, ma soprattutto per convinzione. Non era in Nasser, ma nella personalità e nelle scelte politiche di Sadat, che si specchiava senza riserve» (Tramballi). «Pago del dovere compiuto, Mubarak sogna una vita tranquilla e un posto da ambasciatore a Londra. Ma Sadat decide altrimenti e, nell’aprile 1975, lo nomina vicepresidente. “Mubarak era il secondo perfetto: disciplinato, attivo, leale, senza ambizione né carisma”, osserva Hisham Kassem, vicedirettore del giornale indipendente Masry Al Youm. […] “Henry Kissinger, all’epoca segretario di Stato, quando lo incontrò lo scambiò per un impiegato, tanto basso era il suo profilo”. In realtà, durante i sei anni di vicepresidenza Mubarak prende confidenza con tutti i meccanismi del governo. Nominato vicepresidente del Pnd, il partito nazional-democratico al potere, nel 1978 presiede regolarmente il Consiglio dei ministri e rappresenta Sadat presso i capi di Stato occidentali e arabi» (Hennion). «Già nel 1975 Sadat lo aveva nominato vicepresidente, aprendogli la strada a una successione che non era previsto fosse così rapida. Il 14 ottobre 1981 non è solo il giorno della morte di Anwar Sadat: è anche il primo dei sei attentati alla vita di Mubarak che gli estremisti islamici avrebbero compiuto senza successo. Mubarak era in prima fila, accanto a Sadat, e non fu colpito solo per un caso. Il suo primo atto da presidente fu di decretare lo stato d’emergenza. Oltre che capo del governo e della nazione, Mubarak ereditava anche la guida del Partito nazionale democratico, creato da Sadat nel 1978 per dare all’Egitto una parvenza di vita democratica» (Tramballi). «Quando nell´81 Sadat fu ammazzato da un ufficiale che usciva da un gruppo islamista, e lui come vicepresidente ne prese il posto, il suo nome […] era sconosciuto […] agli egiziani, esclusi ovviamente i militari. I dispacci degli ambasciatori stranieri al Cairo concordavano sul fatto che il nuovo presidente era un uomo "grigio". Nei quartieri popolari, ma anche nei club della buona borghesia sul Nilo, le barzellette su Mubarak si susseguivano. Questa, per esempio. Mubarak muore e si presenta alle porte del paradiso. Il guardiano chiede: “Quali sono le sue doti?”. Mubarak è imbarazzato, ci pensa un po´ su, poi risponde: “Purtroppo, nessuna”. E, allora, il guardiano: “Ah, lei dev´essere il presidente Mubarak…”. Ma […] la tesi d´una mediocrità dell´intelligenza del nuovo presidente fece presto a venir meno. Mubarak non sapeva parlare agli egiziani come Nasser, non era aitante come Sadat, era in effetti "un uomo grigio". Ma dimostrò rapidamente che la sua testa funzionava. Il trattato di pace con Israele firmato due anni prima da Sadat gli permise di ridurre la spesa militare dal 16 per cento del Pil (con Nasser era il 36) al 6. Il Termidoro sadattiano dei primi Settanta, quando erano state riaperte le porte al mondo degli affari, fu consolidato. Fu lanciata la campagna per il controllo delle nascite, che ridusse l´aumento annuo della popolazione dal 3,5 al 2,4 per cento (non ci fosse stata quella campagna, gli egiziani sarebbero oggi 105-110 milioni invece di 80). Gettò alle ortiche il culto della personalità che aveva circondato Nasser e Sadat. Avviò, grazie all´aiuto americano, grandi lavori pubblici (fogne, telefoni, acqua, elettricità, trasporti) che migliorarono le condizioni di vita nei quartieri più poveri della capitale. Dall´87 in poi, infatti, non si videro più migliaia di cairoti viaggiare arrampicati sui tetti degli autobus» (Sandro Viola). «Con la liberazione dei 1.536 estremisti islamici arrestati sotto Sadat e grazie ai colloqui con i leader dell’opposizione, inaugura il suo mandato nel segno della riconciliazione nazionale. E ristabilisce i legami con i Paesi arabi, rotti dopo l’accordo di pace israelo-egiziano firmato da Sadat. Gli sforzi diplomatici hanno successo, e l’Egitto riconquista il suo ruolo di leader della regione. Quando l’Iraq invade il Kuwait, nel 1990, riesce così a radunare i Paesi arabi sotto la bandiera americana con quello che Adib definisce “un colpo da maestro”. Ottiene in cambio l’annullamento di metà del debito estero, che gli permette di varare la prima seria riforma dell’economia. E sul piano internazionale si pone come interlocutore privilegiato degli Usa in Medio Oriente. Ma, mentre la liberalizzazione economica decolla, quella politica non la segue. All’apice della sua gloria il rais centralizza il potere, riduce i ministri al ruolo di comparse intercambiabili, prende il controllo del Parlamento, dei partiti e dei sindacati. Questa evoluzione, secondo Hisham Kassem, si spiega con la sua radicata cultura militare: “Governa come dirigerebbe un’operazione militare: in segreto, dalla sala di comando”» (Hennion). «Negli anni Novanta stronca il terrorismo sanguinoso di Jamaat Al Islamiyya. Con percentuali bulgare Mubarak viene rieletto nel 1987, nel 1993, nel 1999. Per rispetto dei diritti umani prima delle elezioni del 1993 l’Egitto è al 119° posto sui 177 Stati del mondo. I Fratelli musulmani sono tollerati ed eletti in Parlamento come “indipendenti”. […] Nel 2005 ha un concorrente per la prima volta. È il liberale Ayman Nour. Il rais vince con l’88 per cento dei consensi. Nour finisce in carcere per 4 anni» (Lorenzo Bianchi). «Certo, una cosa non era cambiata sin dai tempi di Nasser. L´Egitto restava infatti una "societé militaire". La classe privilegiata era come sempre quella degli ufficiali, cui andavano case moderne, pensioni decenti, prestigio sociale. E ai generali andava anche di più, perché usciti dalla forze armate ricevevano incarichi negli enti economici, nell´industria di Stato, nelle grandi banche. Nonostante le liberalizzazioni, infatti (che avevano scosso positivamente l´apparato produttivo, seppure a costo d´un aumento vertiginoso della disoccupazione), l´economia egiziana aveva ancora aspetti di un´economia pianificata di matrice sovietica. Ma […] i militari hanno collaborato attivamente con la business community egiziana e straniera, e i residui del "socialismo arabo" di Nasser sono andati man mano sparendo. È aumentata ancora la disoccupazione, i salari di fame sono restati quel che erano, ed è emerso così il quadro "ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri", da cui è partita la fiammata della rivolta. […] Dalla fine dei Novanta, Il Cairo era di nuovo, infatti, una città triste, frustrata, disillusa. Né gli incassi dal petrolio del Sinai, né quelli che venivano dal turismo, né il miliardo e passa di dollari dell´aiuto americano sembravano poter alleviare la grande povertà della grande maggioranza della popolazione. Da qui una nuova ascesa degli islamici. Con la loro rete di assistenza sociale (scuole, ospedali, piccoli prestiti alle famiglie), con il fallimento del "socialismo arabo" e le durezze del capitalismo, i Fratelli musulmani hanno trovato ormai da anni il terreno favorevole per propugnare il ritorno all´islam. La corruzione intanto dilagava. Si parla molto della fortuna accumulata da Mubarak e dalla sua famiglia. Qualcuno dice che quella fortuna ammonta a 50 miliardi di dollari, altri fanno cifre anche più alte. E bisogna comunque tener presente che i "profitti di regime", in ogni sistema autoritario, non fluiscono soltanto verso la famiglia dell´autocrate, ma verso migliaia di persone che costituiscono l´ossatura del regime. Dunque, un´immensa ruberia. In più, l´Egitto è dall´attentato che costò la vita a Sadat […] sotto la Legge d´emergenza che vieta ogni attività politica, la libertà di stampa e d´associazione, mentre il voto alle elezioni parlamentari è condizionato da enormi brogli contro i quali è impossibile appellarsi. Dunque, una sorta di dittatura. Ampiamente, amichevolmente tollerata dai governi occidentali» (Viola). «La sua capacità di mantenersi in equilibrio tra l’alleanza con gli Usa e il ruolo dell’Egitto nella Lega araba lo ha portato a sostenere le iniziative arabe per la soluzione del conflitto israelo-palestinese senza per questo smettere di collaborare attivamente con Israele nel blocco di Gaza. Le voci di una possibile successione hanno iniziato a diffondersi dalla metà degli anni Duemila, per poi diventare pensiero comune nel 2009, dopo che l’ex presidente aveva compiuto 80 anni. L’erede designato, suo figlio Gamal, stava scalando rapidamente la gerarchia dell’Ndp, alimentando – innanzi tutto tra gli egiziani – la sensazione che Mubarak volesse trasformare l’Egitto in una “repubblica ereditaria”. Secondo in lista era il suo potente braccio destro e capo dell’intelligence Omar Suleiman, l’uomo delle mediazioni continue tra Israele e i palestinesi» (Joseph Zarlingo). «Una vittoria clamorosa nelle elezioni parlamentari del 2010 segna l’inizio della fine politica. Le opposizioni conquistano solo il 3 per cento dei seggi. Volano accuse di brogli e di violenze preventive. Il 25 gennaio del 2011, sull’onda della rivoluzione dei gelsomini in Tunisia, comincia il rosario di manifestazioni popolari contro l’anziano padre-padrone del Paese» (Bianchi). «Aveva governato l’Egitto con il pugno di ferro per quasi 30 anni. Fino a quel fatidico 11 febbraio del 2011, quando, dopo aver cercato di resistere ricorrendo alla forza, incalzato dalle proteste popolari, annunciò le sue dimissioni in televisione. Quel giorno che tutti gli egiziani ricordano, quando piazza Tahrir esplose in urla di gioia: i festeggiamenti continuarono per giorni» (Roberto Bongiorni). «Dopo 18 giorni di piazze in subbuglio e 850 morti, Mubarak se ne va. Cade in coma. Finisce all’ospedale militare Maadi. Steso su una barella e con due vistosi occhiali scuri, compare in aula per le udienze del processo per le uccisioni a raffica dei dimostranti. Ogni accusa gli provoca un infarto: il primo quando i pubblici ministeri lo incriminano per corruzione e per appropriazione indebita, il secondo quando vengono arrestati per insider trading anche i figli Gamal, l’erede politico designato, e Alaa, il manager della famiglia» (Bianchi). Dopo lunghi e controversi processi, Mubarak è stato condannato esclusivamente per appropriazione indebita (a tre anni di reclusione, e a quattro i suoi due figli), mentre, dopo un’iniziale condanna all’ergastolo, nel marzo 2017 è stato assolto dalle accuse relative alle centinaia di manifestanti uccisi durante le rivolte del 2011, e ha pertanto riacquistato la libertà, dopo sei anni di detenzione trascorsi tra il carcere di Tora, l’ospedale militare di Maadi e gli arresti domiciliari • Assai critiche da tempo le sue condizioni di salute, al cui riguardo sono state però propalate anche notizie infondate: nel giugno 2012 si disse persino che Mubarak fosse «clinicamente morto», voce poi smentita dopo qualche giorno d’incertezza • Sposato dal 1959 con Suzanne Mubarak – nata Saleh Tabet, figlia di un egiziano e una gallese –, da cui ha avuto i figli Alaa (1960) e Gamal (1963) • «A Kafr El Meselha (c’è nato nel 1928) è tornato poche volte, dopo aver lasciato il villaggio per la capitale e la carriera militare. Mubarak ha costruito il suo mito attorno alla guerra contro Israele, e ha preferito costruire una villa a Sharm El Sheikh. Sadat (anche lui originario della provincia agricola di Menoufia) non ha mai depennato la campagna dalla biografia presidenziale e invitava i capi di Stato internazionali nella fattoria tra i campi del Delta. Il successore ha scelto la residenza sul Mar Rosso per i vertici globali, ed è lì che si è esiliato fino al mandato d’arresto. Sharm è stata la Martha’s Vineyard dei Mubarak. Così sarebbe piaciuto pensare a Gamal, che amava paragonare la dinastia ai Kennedy piuttosto che ai faraoni» (Davide Frattini) • «Il grande merito di Hosni Mubarak: […] aver garantito sicurezza al più importante Paese arabo nella più pericolosa delle regioni del mondo. Il suo grave difetto: sempre la sicurezza. Trasformata in un obiettivo fine a se stesso che ha impedito al più importante Paese arabo di essere anche un faro di modernità, democrazia e di pace per se stesso e la regione che con l’esempio avrebbe dovuto guidare. Del suo regno si ricorderà soprattutto un dato: 30 anni di stato d’emergenza. Dal primo all’ultimo giorno» (Tramballi). «Mubarak, […] certo, avrebbe dovuto capire che il suo regime era ormai decrepito, tentennante, e ricorrere ai ripari, invece di programmare […] la sua ennesima candidatura, o quella del figlio Gamal. Del resto, le rivoluzioni avvengono sempre per la stessa ragione: l´incapacità del potere di discernere che il proprio tempo è trascorso. Se […] Mubarak avesse infatti dichiarato di rinunciare a un nuovo mandato presidenziale, avesse liberato i prigionieri politici e messo in galera qualche centinaio di speculatori, forse non avremmo visto le scena paurose della rivolta sul Nilo» (Viola). «L’Egitto di Mubarak era un Paese corrotto, dove i diritti civili venivano spesso ignorati, molti dissidenti si trovavano in prigione da anni senza processo. Era l’Egitto dello Stato di emergenza contro il terrorismo, promulgato nel 1981, e procrastinato a tempo indeterminato. Poi è arrivato l’Egitto dei Fratelli musulmani. Un governo durato solo un anno, con scelte miopi dettate dalla loro impreparazione, o dalla loro immaturità, nel gestire l’amministrazione del più popoloso Paese del mondo arabo. Un’esperienza terminata con il colpo di Stato del luglio del 2013, l’arresto del presidente Mohamed Morsi (ancora in prigione) e la successiva elezione di Al Sisi. Ma anche l’Egitto di Al Sisi continua a somigliare all’Egitto di Mubarak. Un governo a dir poco severo con i dissidenti, servizi segreti con troppo potere, un rilancio economico annunciato in pompa magna ma che appare sempre più debole. E insoluti problemi: disoccupazione rampante, inflazione alle stelle, povertà, investimenti esteri non sufficienti. E, sullo sfondo, l’estremismo islamico. Ancora più attivo» (Bongiorni).