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 2019  aprile 21 Domenica calendario

Intervista a Sergio Donati

Sul set insieme, Cinecittà o la Spagna, anche mesi senza discontinuità nel ciak (“Era un perfezionista mai contento”); le lunghe stesure dei copioni, le battute limate, le litigate non si evitavano (“spesso ci mandavamo a quel paese. Che caratteraccio”), così come il ritrovarsi e via con un nuovo progetto insieme, e via ancora con un altro pezzo di storia del cinema. Sergio Leone è cinema (“il suo ambiente, era perfetto solo sul set”).
Il 28 aprile sono trent’anni dalla sua morte, e Sergio Donati è lo storico sceneggiatore dei suoi capolavori western. E come lui lo conoscono in pochi.
Come arriva a Leone?
A 22 anni ero già riuscito a pubblicare tre romanzi come Gialli Mondadori e grazie al direttore di allora, quel fenomeno di Alberto Tedeschi.
Perché i gialli?
Era l’argomento più semplice, meno rischioso, e andò bene tanto che sono stati acquistati all’estero. Insomma, dei piccoli successi editoriali.
Quindi…
Dopo il terzo mi cerca Sergio Leone, due chiacchiere al telefono, poi fissiamo un appuntamento. “Te devo parlà di un proggetto”.
Western?
No. Mi illustra l’idea di un thriller ambientato sulle montagne del Sestriere. Lo ascolto. Prendo appunti. Ci salutiamo e dopo una decina di giorni mi presento con un soggetto di una ventina di pagine.
Immediato.
Non ho mai impiegato molto, per C’era una volta il west sono bastati venti giorni.
Torniamo all’incontro.
Lo legge. Alza gli occhi, mi guarda e segna la strada: “Bravo, mi piace, ma tutta la parte che si svolge nella sperduta baita di montagna in realtà va ambientata in questo albergo del Sestriere”. Scusa, e perché? “Il proprietario della struttura mette i soldi, e magari durante le riprese si vuole scopare pure qualche attrice”.
Uomo pratico.
Assolutamente! Lui puntava diritto all’obiettivo, e non solo con la macchina da presa: se aveva un’idea, non si fermava, annusava la direzione da prendere e non mollava mai.
La sua reazione?
Mi prende un colpo, dentro di me penso: “Oddio, ma è questo il cinema?”. Così saluto inorridito, e decido di abbandonare il sogno, e di puntare sulla pubblicità: entro in una grande società di Milano. E lì costruisco un’ottima carriera.
Fino a quando?
Anni dopo squilla il telefono, era Sergio: “Ma che cazzo stai a fa’ al Nord?”. Lavoro. “Ma che è un lavoro? Lascia perdere, sto realizzando un film, però non mi convince, ho bisogno di un tuo trattamento”.
Cede…
Torno a Roma a spese sue e mi affida la revisione prima di Per qualche dollaro in più e poi del Il Buono, il Brutto e il Cattivo; in particolare quest’ultimo era più lungo di mezz’ora, allora lo taglio e rimonto.
Ufficialmente non lo ha firmato.
No, solo Age, Scarpelli e Vincenzoni.
Il suo rapporto con Leone?
Grande stima ma caratteri molto diversi, a volte inconciliabili, ancora oggi a volte mi stupisco di come siamo riusciti a concludere insieme così tanti film.
Com’era Leone?
Un talento smisurato, un fenomeno, uno che già prima di iniziare le riprese aveva chiarissimo il prodotto finale e sapeva conquistarsi il suo sogno, con ogni mezzo. Poi a questo associava un carattere difficile, molto egocentrico.
Arriva a Roma.
Lo incontro e esordisce con tutta la sua sicurezza, di modi e parole: “Sto a fa’ un film gajardo. Un western”. Un western in Italia? “Sì, fidate”. Leggo la sceneggiatura ed era identica a un lungometraggio di Kurosawa (La sfida dei samurai del 1961).
Lo ha detto?
Certo, e la sua risposta è stata: “Tranquillo, se questo film arriva a Caltanissetta, è già un miracolo. Non se ne accorgerà nessuno”.
Previsione perfetta.
Non aveva tutti i torti, prevedere quel successo era quasi impossibile, e poi il budget assolutamente limitato, anzi bassissimo, per questo presero Clint Eastwood, invece di Cliff Robertson, enormemente più caro: “Non ce lo possiamo permettere”, mi disse Sergio.
Tra Leone ed Eastwood?
Nessuna cordialità, Clint stava sempre da una parte, sempre per cacchi suoi, era un po’ ombroso come nei film; e anni dopo non perdonò a Sergio la storica battuta su di lui: “Eastwood ha solo due espressioni: una con il cappello e una senza”.
Feroce.
Sergio non lo stimava, lo definiva uno “stronzo” o un “manichino” in grado solo di eseguire le indicazioni, e anche io non credevo molto nelle sue qualità; mi sono stupito della grande carriera da regista.
Ma Leone era geloso di Eastwood?
Lo considerava una sua creazione, e si incazzò moltissimo quando per Il Buono, il Brutto e il Cattivo pretese un cachet da vera star hollywoodiana; per Sergio fu un affronto personale: “L’ho creato io e questo si permette pure di rompere”.
Però ha ceduto.
Per forza, era obbligato dalle major statunitensi, ma con un piccola vendetta: non poteva più ridurre la sua parte, il copione oramai era stato approvato, quindi nel film lasciò amplissimo spazio alle controscene di mimica e smorfie del grande Eli Wallach.
Eastwood l’avrà presa bene.
Anche Clint pensava di aver contribuito alla fortuna di Sergio, almeno in questo erano d’accordo, solo da lati opposti.
“C’era una volta il west”.
(Si alza dalla sedia ed estrae un tomo enorme). È la stesura originale.
Proprio lei.
Prima di iniziare le riprese dissi a Sergio: “Occhio che è troppo lungo”. E lui: “Non ti preoccupare, alcune scene le giro più brevi”. Impossibile, pensai.
Impossibile in assoluto o per uno come Leone?
Tutte e due, forse più per lo stile di Sergio. Comunque dopo poco tempo mi chiama agitato: “Per favore vieni qui in Spagna, in Almeria, c’è da tagliare”. Quindi ho caricato in macchina moglie, figlio di tre anni e baby sitter e siamo rimasti lì per oltre un mese.
Un mese, come…
Di lavoro folle e bello, di solite discussioni su come e dove tagliare, sulle battute, di rapporti con gli attori.
In particolare, con…
Ricordo benissimo Charles Bronson, mi inseguiva per studiare insieme, “voglio capire bene la parte”, mi diceva.
Non era così?
Ogni tanto provava a correggere qualcosa, e a un certo punto un accenno di fastidio lo ho anche dimostrato, della serie “io sono lo sceneggiatore e tu l’attore”; poi all’improvviso ho capito: all’improvviso ho capito che il suo problema erano le parole con la “esse”, aveva la classica zeppola.
Però non lo diceva.
Fingeva di no, così quando gli ho rivelato la mia scoperta, si è rabbuiato, come se lo avessi offeso. Avevo sottovalutato il suo complesso nel particolare e nel generale.
Nel generale?
In mezzo a un cast di fenomeni si sentiva una mezza cartuccia, per questo si atteggiava.
Henry Fonda.
Con lui Sergio mi ha fatto morire.
Cosa ha combinato?
Fonda era un vecchiotto.
No!
Prima della Spagna la preparazione è stata realizzata a Cinecittà. Un giorno attendiamo proprio Fonda, con un po’ di emozione, almeno da parte mia. A un certo punto arriva una macchina della produzione, si ferma a due metri da noi, e scende la signora Fonda con al polso due orologi, uno con l’ora italiana, l’altro con quella statunitense; dopo un paio di secondi si apre l’altro sportello e ci troviamo di fronte un vecchietto malmesso.
Fonda.
Sergio assiste alla scena e va in crisi, bestemmia: “Che ce famo co’ questo?”. Tentiamo di calmarlo, macché, non sentiva nessuno. Per fortuna ascolta il direttore di produzione: “A Se’, aspetta, non è come appare”. Allora porta Fonda nel camerino e gli dà il costume di scena. Lui si veste. E alla fine ci raggiunge sul set tutta un’altra persona: era Henry Fonda. E il bello è che seguiva entusiasta tutte le indicazioni di Sergio, non protestava mai.
Magia del cinema.
Fuori dal ciak tornava il vecchietto che dicevo prima, e il pomeriggio lo passava accanto a mio figlio per vedere i cartoni animati. Un pensionato. Sergio scuoteva la testa, non poteva crederci.
Il rapporto degli attori con Leone?
Lo rispettavano, anzi lo temevano, perché Sergio sapeva girare, sapeva comunicare, era uno nato sul set e che viveva di set; non dimentichiamoci che era figlio di un regista e di un’attrice.
Nato sul set…
Pane e cinema, e si vedeva dalla sicurezza; certi atteggiamenti sono innati, non si acquisiscono ma si possono solo perfezionare con il passare del tempo.
Tra i suoi attori anche Mario Brega…
Insieme erano due di Trastevere, parlavano la stessa lingua, la ricerca ossessiva del popolare, quando il cinismo e l’ironia si inseguivano, e per Brega il confine tra legale e illegale non sempre veniva rispettato.
In “C’era una volta il west” c’è una battuta rivolta alla Cardinale che oggi verrebbe giudicata sessista. “Se qualcuno ti tocca il sedere, tu fai finta di nulla”.
(Scoppia a ridere). Davvero la trovate sessista? Sergio era un po’ maschilista, e la Cardinale con lui spesso si ritrovava smarrita perché massacrata dai ripetuti ciak, anche 35 per una scena sola.
35 sono tanti.
Era così in assoluto, un perfezionista, non si accontentava, e gli altri zitti. Lui era il padrone e il produttore; per questo non aveva rapporti affettuosi con gli attori.
E tra di voi?
Alla fine ci limitavamo sempre e solo al set, un po’ per evitare discussioni e un po’ perché gran parte della nostra vita era lì. Ah, si scocciava per l’età…
Cioè?
Sergio aveva solo quattro anni più di me, ma quando uscivamo insieme, magari negli Stati Uniti, ci scambiavano per padre e figlio e lui sistematicamente si incazzava.
Tra Leone e Verdone?
Li ho presentati io: una sera vado in un teatrino vicino a San Pietro e assisto allo spettacolo di un giovane comico. Il giorno dopo chiamo Sergio: “Devi vedere questo ragazzo, bravissimo”. E da lì sono partiti.
Con lui il legame c’era realmente?
Credo di sì, con lui sì. E poi Carlo è una persona rara per carattere e talento.
Insomma, tra di voi…
Dopo Giù la testa avevamo molti progetti insieme, ma lui cercava sempre il capolavoro, era ossessionato. Per questo a un certo punto ci siamo allontanati, ho deciso di guardare altrove.
Litigavate.
Ci sfanculavamo.
Attualmente lei vive quasi solo negli Stati Uniti. Lì com’è valutato Leone?
Attenzione: bisogna saper scindere il giudizio umano da quello professionale e Sergio è uno dei grandissimi del cinema, anche oltreoceano lo sanno, e lo giudicano giustamente un maestro da studiare.
Insieme dovevate anche realizzare un film sull’assedio di Leningrado.
Eccome! Per questo motivo una sera usciamo con un regista russo molto importante, alla fine degli anni Cinquanta aveva girato Quando volano le cicogne (Mikhail Kalatozov). Durante la cena Sergio chiede del film, il russo tutto soddisfatto replica: “Davvero lo ha visto?”. “Certo, e ho apprezzato molto i grandi scenari, le prospettive ampie”. A quel punto cala il silenzio. E il russo freddamente risponde: “In realtà è girato e ambientato in due stradine”. Insomma, non lo aveva visto, bluffava.
Bugiardo?
Diciamo creativo, si ingegnava per arrivare a meta. Ma il cinema vero è anche questo.
Un aggettivo per Leone?
Leone…
(Perché “quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto”).