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 2019  marzo 30 Sabato calendario

Intervista a Mr Brainwash, «il capolavoro vivente di Banksy»

«Banksy che? Di quale banca sta parlando?». Quando glielo si chiede, Thierry Guetta finge di non capire. Ma il vero capolavoro del misterioso re della Street Art è proprio lui. Non uno stencil su un muro. La leggenda vuole che, fino a undici anni fa, questo francese trapiantato a Los Angeles, con i baffi a manubrio e l’inseparabile cappello, fosse un semplice venditore di vestiti usati con l’ossessione per la telecamera. L’incontro con la controcultura dei graffiti, con Banksy e Shepard Fairey – ovvero l’uomo che mutò il volto di Obama in un’icona pop – fa il miracolo. Lanciato dai nuovi amici, di cui filma i colorati assalti on the road, Guetta si converte in artista. Se Banksy è il dottor Frankenstein, lui è la creatura, l’esperimento vivente con cui il re della Street Art dimostra che, dal nulla, oggi si può diventare una star del contemporaneo. Bastano un po’ di guerrilla marketing e un sapiente utilizzo dei media. « Ma è tutto merito mio » , spiega ora il diretto interessato. Fatto sta che, nel giugno 2008, con il battage di Banksy e Fairey, la prima mostra di Thierry, Life is Beautiful, finisce sulla copertina di L. A. Weekly ancora prima dell’inaugurazione.
Addio Monsieur Guetta, benvenuto Mr Brainwash. Un artista nuovo di zecca che di originale, però, realizza poco. Le sue opere, tra Elvis con fucili giocattolo, Marilyn, Hendrix e Kate Moss riprodotti in serie, sono una sintesi tra Warhol e la Street Art. Torna in gioco persino la zuppa Campbell. Nel 2010, Banksy rilancia: il suo documentario Exit Through the Gift Shop racconta al mondo la biografia ( vera e presunta insieme) del suo pupillo e insieme l’epica dei graffiti, guadagnando una nomination all’Oscar.
Intanto, Mr Brainwash, da fenomeno costruito a tavolino e beffa del mercato, continua a percorrere la sua strada soprattutto fuori dalla strada. Firma copertine di dischi – come Celebration di Madonna –, videoclip e mostre- show: New York, Londra, Art Basel Miami. Le quotazioni oscillano tra i 300 e i 200mila euro. Ora arriva a Milano per la prima retrospettiva italiana che si inaugura la sera del 4 aprile (Milan is Beautiful, Galleria Deodato Arte, fino al 4 giugno).
Mr Brainwash, chi è Banksy?
«Chi? Non ho capito se mi sta davvero parlando di banche. Non sento bene».
Stando al film "Exit Through the Gift Shop", lei avrebbe conosciuto Banksy a Los Angeles nel 2006, grazie allo street artist Shepard Fairey.
«Se lei ha visto quelle scene filmate, significa che sono vere. In quel film c’è tutta la storia».
Sul web ci sono particolari discordanti persino sul suo luogo di nascita in Francia. È nato nel 1966: a Le Gonesse o a Sarcelles?
«Ho vissuto a Le Gonesse, ma sono nato in una clinica di Sarcelles. Comunque mi sono trasferito negli Stati Uniti ormai molto tempo fa».
È amico di Banksy, ma espone per lo più nelle gallerie. Non pensa che così il senso della Street Art sia venuto meno?
«Non mi considero uno street artist, ma un artista pop. Vado dove mi porta l’arte. Non ci sono limiti ai luoghi dove esporre».
L’arte di Banksy, dalle opere sulla striscia di Gaza in poi, ha spesso un significato politico.
Nei suoi lavori questo non c’è.
«Non sono un politico. La politica è adatta a chi la pratica come lavoro. A me interessa lanciare messaggi d’amore al mio pubblico: invito chi mi segue a non mollare. Sono diverso da Banksy, ma rispetto tutti».
Ecco, finalmente ha nominato Banksy. Senza Banksy non ci sarebbe stato Mr Brainwash.
«Non è esatto. A Los Angeles, negli studi dismessi della Cbs, nel 2008 ho messo su la più grande mostra mai vista. Mi sono giocato tutto, la casa, lo studio, la credibilità. Avrei potuto perdere e invece ho vinto. Ho creduto in quello che facevo».
Apparentemente, attraverso la sua storia, Banksy ha voluto dimostrare l’effimero dell’arte contemporanea. Poi, però, lei ha preso davvero la strada del mercato… fa ancora parte della comunità degli street artist?
«Non c’è più tanto tempo per vedersi. Qualche volta ci si incontra a New York, come con Shepard Fairey qualche mese fa per la prima del suo film. Ma tutti siamo diventati persone diverse».
Non si sente l’oggetto di un esperimento, più che un artista?
«L’artista è la vera opera d’arte. Van Gogh era più grande delle sue opere: in vita non ne ha mai venduta una».
Lei, le sue le vende, però.
«La differenza la fa la tecnologia. Oggi posso raggiungere tutto il mondo contemporaneamente. È più facile. Ma i soldi non mi interessano. Vieni al mondo con nulla e vai via con nulla. Non si mangia più di tre volte al giorno, il resto si dà. Aiuto più di cinquanta organizzazioni benefiche».
Si considera originale? Non "cita" troppo Andy Warhol?
«Io sono io ed Andy era Andy. Lui non è più con noi ed io sì, la vita continua».
Sapremo mai la verità su Banksy? Lei fa parte del suo progetto, questo non si discute.
«Il tempo lo dirà. Tutto si saprà prima o poi, bisogna essere pazienti. Se avessimo già le risposte a tutto, noi esseri umani non saremmo niente».
Che cosa dobbiamo aspettarci dal suo arrivo in Italia?
«Per me sarà un ritorno. Qualche giorno fa ero in Vaticano per dipingere con il Papa».
Ma che dice?
«Giuro, abbiamo dipinto insieme per beneficenza. A un certo punto, ho anche chiesto a papa Francesco di dipingere sulla mia giacca».
Favorisca le prove.
«Mi scriva su Whatsapp che dopo le invio tutto. Vedrà una vera opera di Pope Art. Ahahah».
E, dopo qualche minuto, Mr Brainwash mantiene la promessa. Invia sul cellulare una serie di foto con il Papa che sorride accanto a lui e poi gli dipinge una croce rosa sulla giacca blu. Banksy ha proprio fatto un capolavoro.