Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 24 Domenica calendario

Tuymans o l’inutilità della pittura

Lo spettatore entra nell’atrio di Palazzo Grassi a Venezia e si trova a camminare sopra e dentro una foresta, quella riprodotta ed ingrandita in un enorme mosaico da Luc Tuymans al quale la Fondazione Pinault dedica una grande mostra retrospettiva curata da Caroline Bourgeois, da oggi fino al 6 gennaio 2020. Gli alberi neri della foresta sono quelli che circondavano per nasconderlo il campo di lavoro tedesco e che il prigioniero Alfred Kantor disegnava su strisce di carta per poterle arrotolare e nascondere per evitare che i suoi carcerieri lo punissero, essendo il disegno nel campo come tutto il resto proibito.
Il disegno originale è stato l’ispirazione per un piccolo dipinto che Tuymans ha realizzato nel 1986, quando, nemmeno trentenne, era tornato alla pittura dopo un breve periodo passato a sperimentare con i video e l’arte concettuale. Il dipinto, Schwarzheide, dal nome del campo di lavoro, non è in mostra sostituito dalla sua mutazione in questo semplicissimo ma spettacolare mosaico che ricorda il mosaico pompeiano con il cane che accoglie il visitatore all’ingresso della domus del poeta tragico.
Tuymans è d’altronde un pittore tragico ed il fatto che abbia deciso di prendere in prestito come titolo della mostra quello del famoso libro di Curzio Malaparte La pelle del 1949 non è causale. Il romanzo di Malaparte è principalmente ambientato a Napoli durante l’occupazione degli alleati americani. Lo stile dello scrittore, che mescola la storia con la fantasia in modo indistinguibile, è molto simile a come Tuymans tratta i temi della sua pittura.
Non solo: l’artista belga condivide con lo scrittore toscano quel cocktail di repulsione e fascino verso il fascismo che contrasta e rende cupa la natura solo apparentemente leggera, trasparente e solare dei suoi dipinti. Luc Tuymans è nato nel 1958 a Mortsel, una piccolo cittadina vicino ad Anversa.
È cresciuto in un Belgio uscito dalla guerra e dall’occupazione tedesca pieno di ombre e contraddizioni. Ombre e contraddizioni che sono sempre presenti nell’arte di Tuymans che prende spunto da immagini apparentemente innocue, ma spesso cariche di significati profondi sia politici che personali. Che la storia del suo Paese e dell’Europa della Seconda guerra mondiale siano per lui un archivio mentale e psicologico importante lo si capisce subito usciti dalla foresta mosaico. Salendo lo scalone del palazzo, troviamo ad aspettarci il piccolo ritratto di un uomo ad occhi chiusi del 1990 intitolato Secrets, segreti.
Un uomo qualunque ora, ma originariamente nato come il ritratto dell’architetto del Terzo Reich, Albert Speer. L’artista decide però di cancellare qualsiasi possibile riferimento all’identità del soggetto per sottolineare come anche la storia tenti inutilmente di cancellare le proprie tracce senza però riuscirci.
A questo punto Mike Bongiorno direbbe “ Allegria!”, ma a poco servirebbe perché la mostra di Tuymans non è allegra e non prova nemmeno ad esserlo. È un lungo viaggio dentro la storia ed il tempo, collettivo e personale, usato come il grande pittore americano astratto e concettuale recentemente scomparso Robert Ryman usava il colore bianco. Ryman era ossessionato da come il bianco potesse essere sempre visto su ogni tela in modo diverso, pennellata dopo pennellata. Tuymans è ossessionato da come il tempo, giorno dopo giorno, sia in grado di rendere la storia sempre diversa e uguale a se stessa. Tuymans mette la storia della pittura e la recente storia del mondo sott’aceto. Diluisce i soggetti e al tempo stesso li mantiene in uno stato sospeso fra il sogno, il ricordo, la fantasia e la cronaca.
Non solo. Organizzando la mostra non in modo cronologico, l’artista suggerisce come la nostra memoria sia in grado di mescolare momenti diversi della nostra vita confondendoli e a volte sbiadendoli. Ma la mostra è tutt’altro che confusa e sbiadita. È brutalmente lucida, facendo venire in mente il famoso libro della filosofa tedesca Hannah Arendt La banalità del male del 1963, dove si racconta il processo di Adolf Eichmann e la sua banale, brutale e lucida esposizione dei propri crimini e responsabilità nella Shoah, l’olocausto degli ebrei. Quadro dopo quadro, Tuymans riflette in modo coraggioso e commovente sulla “ banalità” dell’arte, la sua inutilità o forse semplice indifferenza davanti alle tragedie della storia e a quelle della condizione umana. La pelle allora diventa la pittura stessa sotto la quale si nascondono i nervi, i muscoli e le ossa della realtà e del suo inevitabile dolore.