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 2019  febbraio 22 Venerdì calendario

I segreti dell’uomo che sparò a Togliatti

Fummo davvero sull’orlo della guerra civile. Gli spari dello studente siciliano Antonio Pallante a Palmiro Togliatti in quel lontano 14 luglio del 1948 caddero nel vuoto solo perché miracolosamente non uccisero il segretario del Partito Comunista e per la sua reazione che sigillò per sempre la benedetta anomalia di un partito filo- sovietico immunizzato da tentazioni e strategie golpiste serpeggianti. Passati i 70 anni da quell’attentato, Quattro colpi per Togliatti. Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia di Stefano Zurlo ci ricorda però che l’esito non cruento non esime da un’attenta analisi dei suoi retroscena. Ci propone un inedito approfondimento della biografia dell’attentatore rintracciato per la prima volta all’età di 96 anni.

INDISCREZIONI
La carriera da giornalista per L’Uomo Qualunque si intreccia alle indiscrezioni sulle frequentazioni della destra retrograda catanese allarmata dall’avanzata comunista, tra cui il barone Benedetto Majorana della Nicchiara, ex vicefederale della città etnea, azionista del Giornale dell’Isola. Pallante nega. 
Alle elezioni regionali del 18 aprile del ’47 vota per la Dc siciliana che sfonda in molte province e surclassa l’unione fra socialisti e comunisti. E commenta: «La sconfitta non aveva ridimensionato i compagni, la loro aggressività e arroganza cresceva. non è affatto vero che in funzione anti Togliatti io cominciai a frequentare un circuito di baroni e notabili dell’ultradestra catanese. Non avevo né tempo né voglia per queste scorribande. Votai dunque Dc per la gioia di mia mamma Maddalena». 
Eppure Pallante lavora per il direttore del «Giornale dell’Isola» Massimo Simili che pensa che sia a Randazzo per scrivere un pezzo, mentre a Roma tira revolverate con la sua Smith & Wesson comprata al mercato nero di Catania.

LE NOSTALGIE
Le nostalgie patriottico-monarchiche sono ben radicate se dal carcere nel 1952 invia 500 lire per la sottoscrizione indetta dallo stesso Simili per una lampada votiva sulla tomba di Vittorio Emanuele III in Egitto: «Il modesto contributo che mi pregio rimettere è l’offerta di cuore di un detenuto prigioniero solo della sua fede nei valori migliori della patria e delle sue idee». 
Il padre lo perdona su insistenza del vescovo di Noto. Terminata la pena gli trova un posto presso all’Ispettorato delle foreste della Regione. «Mi sono sposato, ho avuto due figli. Sì, mi sono ripreso la vita che era sfuggita via come una saponetta. Non è successo più niente, solo vivere il tempo ordinario che mi è stato ridato per una seconda chance. Non mi sono più laureato, ma pazienza. Non ho rimpianti, l’amore e l’affetto hanno riempito la mia vita».
Questo è lo sguardo retrospettivo e pacificato dell’uomo qualunque che fece tremare l’Italia come mai è accaduto in seguito nella storia ormai lunga della nostra Repubblica.