Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  gennaio 22 Martedì calendario

Biografia di Sforza Marescotto «Lillìo» Ruspoli

Sforza Marescotto «Lillìo» Ruspoli, nato a Roma il 23 gennaio 1927 (92 anni). Nobile dei principi di Cerveteri. Decano dell’aristocrazia nera romana. Politico. Ambasciatore. Banchiere. «Meglio nobili che ignobili» • Così ha sintetizzato la propria vita: «Dall’infanzia in poi la sua vita è stata sempre molto movimentata. Rimasto orfano della madre a otto anni, Sforza ritorna in Brasile, dove rimane per alcuni anni accanto al nonno materno Francesco Matarazzo, simbolo dell’emigrazione italiana in Sud America. Ancora giovanissimo ritorna in Italia ed entra come membro del comitato esecutivo nella Banca romana a fianco di Arturo Osio, fondatore della Banca nazionale del lavoro (Bnl). Il sodalizio che ruota intorno ad Osio e del quale fanno parte, tra gli altri, Leo Longanesi, Ernesto Fassio, Carlo Pesenti, Renato Angiolillo, Franco Marinotti, Mino Maccari, Roberto Rossellini è una grande scuola di vita. In quegli anni è assai significativa, anche se sporadica, la presenza di don Sturzo. Nel 1956 fonda i Centri d’azione agraria, un movimento apartitico, interclassista, in difesa della civiltà contadina. Nel 1989 Sforza Ruspoli si presenta come capolista indipendente del Msi-Dn e viene eletto al Consiglio comunale di Roma con 37.240 voti di preferenza. La sua azione politica si dedica principalmente alla tutela della dignità dei cittadini più umili» • Secondogenito di Francesco Ruspoli (1899-1989), VIII principe di Cerveteri, XIII conte di Vignanello e ultimo gran maestro del Sacro Ospizio, e di Claudia Matarazzo (1899-1935); fratello minore di Alessandro «Dado» Ruspoli (1924-2005), «quello che passeggiava con un pappagallo sulla spalla (in realtà un corvo), […] massimo precursore della “dolce vita” e figura che ispirò il film Totò imperatore di Capri» (Laura Laurenzi). «Principi romani della nobiltà papalina e rurale – don Alessandro [il nonno di Sforza e Alessandro Ruspoli – ndr] è stato l’ultimo gran maestro del Sacro Ospizio dei Palazzi Apostolici e con questa carica accolse in Vaticano Vittorio Emanuele III e la regina Elena nella loro prima visita al Papa dopo la Conciliazione –, i Ruspoli avevano mitigato la loro origine guerriera con le raffinatezze mutuate dalla lunga frequentazione con la Chiesa. Nel castello di Vignanello, d’estate era tutto un andirivieni di monsignori e di madri badesse invitati al pomeriggio per il cioccolato. E un tormentoso dovere, specie per i bambini, era il rosario che ogni sera veniva recitato nella cappella del castello dedicata a santa Giacinta, la santa di famiglia. Alle sette e mezzo in punto tutte le persone di casa, compresi gli ospiti e i famigli, dovevano trovarsi in cappella. Non andare era semplicemente impensabile. […] “La vita del nonno”, dice Lillio, […] “era fatta di Vaticano, di chiesa e di caccia. Nient’altro lo interessava. A Vignanello venivano degli ospiti fissi: un vecchio zio colto che portava sempre i knickerbockers e quando gli saltava la mosca al naso si chiudeva in camera per quattro o cinque giorni di seguito; poi c’erano don Venturino e il professor Stromillo, che erano incaricati di darci ripetizioni, e delle amiche della nonna che le facevano da dama di compagnia. Fra tutti, quando ci riunivamo nella cappella di santa Giacinta eravamo sempre più di venti persone”. […] Dopo la prima guerra mondiale, però, il giovane e galante Francesco Ruspoli cercò un po’ di mondanità a Forte dei Marmi. […] Le vacanze in Versilia proseguirono dopo il matrimonio con Claudia Matarazzo, la figlia dell’emigrante di Castellabate che in Brasile aveva fondato una vera potenza industriale, e dopo la nascita dei due figli. “Lì villeggiavano molti amici di famiglia, come i conti Spalletti”, dice Sforza Ruspoli, “ma il vero segno distintivo era essere invitati in casa Agnelli. Donna Virginia aveva sempre open house: colazioni per trenta-quaranta persone, pic-nic per i ragazzi, feste. Una villa bellissima, si accedeva al mare attraverso un sottopassaggio e il loro pezzo di spiaggia era arredato con grandi tende e cuscini di cotone écru. Si intrecciavano amori. Per noi ragazzi erano le prime cotte, consumate nella pineta di Migliarino, dove andavamo in bicicletta. Fu lì che mi innamorai di Domitilla Salviati, la mia prima moglie: quando ci sposammo avevo solo diciannove anni”» (Daniela Pasti). Dopo aver intrapreso la carriera di banchiere con Arturo Osio della Banca romana, si cimentò in politica, nell’ambito della destra sociale, con «un’organizzazione […] che il giovane principe fondò nel lontano 1959: i Comitati di azione agraria. Questi avevano come simbolo la scopa, e i loro attivisti erano così esuberanti che il povero Aldo Moro, nel memoriale compilato nella “prigione del popolo”, ebbe a ricordarli come “ostili alla politica del centrosinistra e a ogni politica democratica”. I comitati organizzavano colorite marce di trattori, distribuzioni massive di latte, ma non di rado le loro manifestazioni finivano male. Nelle interessanti schede che illustrano i filmati dell’Istituto Luce (www.archivioluce.com) ce n’è una del 1961, ambientata a Milano, in cui si legge: “Gli aderenti dei centri di azione sfuggiti alle cariche della polizia si radunano in piazza del Duomo. Tra i presenti, il principe Ruspoli con un bernoccolo in testa. Un fotografo gli scatta una foto”. Anni avventurosi. Del 1964 è l’alleanza con Randolfo Pacciardi. Nel 1970 Ruspoli scende a Reggio Calabria per partecipare alla rivolta dei “Boia chi molla”; in seguito la diffidenza nei confronti del Msi, partito di mezze calzette, lo porta, sia pure su posizioni piuttosto indipendenti, non lontano dal Fronte nazionale di un altro ben più irrequieto aristocratico romano, il Principe Nero Junio Valerio Borghese» (Filippo Ceccarelli). Ciononostante, a Roma «nel 1989 si candidò alle Comunali da indipendente nel Movimento sociale italiano e prese 37 mila voti. Tanti. […] Nel ’93 gli spettava la candidatura a sindaco del Msi contro Francesco Rutelli. Non per diritto dinastico, ma a causa della forza elettorale che aveva dimostrato in precedenza. Alla fine preferì cedere il passo a Gianfranco Fini. Ma con l’allora segretario missino i rapporti erano tutt’altro che cordiali. Avevano due idee diverse di destra. Ruspoli smentì ripetutamente di essere uno dei padri fondatori di Alleanza nazionale. D’altronde, mentre Gianfranco si accordava con Berlusconi, Casini e Mastella, il principe nero ospitava a cena nel suo palazzo il leader del Front National Jean-Marie Le Pen. Era il 1994» (Salvatore Dama). Anche in seguito ha continuato a occuparsi di politica, secondo un percorso eclettico che l’ha visto accostarsi di volta in volta a Rauti, a Dini, a Bossi, a Tremonti, ai «no global» e al movimento dei Forconi, fondando movimenti come il «Partito della Terra», «Vento del Sud» e «Alternativa alla partitocrazia». «Il Principe-contadino appare […] un estroso e fantastico “evergreen” della micropolitica, un classico “old boy”, un veterano cioè dell’impegno velleitario contro la degenerazione pubblica, con sortite ormai cicliche, sempre in nome di una pervicace utopia anti-modernista. Quindi no alle oligarchie finanziarie, no alla mondializzazione, no agli Ogm, “l’operaio riprenda la vanga” e via di seguito, su posizioni che per la verità Ruspoli propaga da anni alla destra estrema, per lo più inascoltato se non irriso» (Ceccarelli). Da ultimo, nel giugno 2017 ha partecipato con la sua lista civica «Nessun dorma», appoggiata dal Fronte nazionale, alle elezioni comunali di Cerveteri («costretto a questo dovere di fronte alle disastrose condizioni in cui è lasciata l’antica capitale aristocratica degli Etruschi»), ottenendo però solo 227 voti, pari all’1,29% del totale • «Oggi la democrazia è solo apparente. Esiste un potere mondiale parallelo e spietato che gestisce a livello planetario l’informatica, i servizi finanziari, bancari e comunicativi, che utilizza ed è in possesso delle più recenti scoperte dell’elettronica e quindi dei satelliti e del digitale. Il potere nei singoli Stati è detenuto da ottimi tecnocrati, mercenari di un potere quasi occulto. Chi non è complice, non lo vogliono vicino: le persone valide sono tantissime, ma sono emarginate. […] Ho sempre avuto simpatia per tutti i movimenti rivoluzionari spontanei, che nascono dal popolo, dal basso. Come fu tanti anni or sono a Reggio Calabria: c’ero anch’io perché erano movimenti non inquadrati dai partiti, perché penso che occorra una rivoluzione pacifica per creare una Europa unita, che rappresenti tutti i popoli della cristianità, e non una Europa controllata da tecnocrati e banchieri. […] Ho sempre pensato che il male, già denunciato da don Sturzo, è la partitocrazia, che trasforma la democrazia in una oligarchia» (a Grazia Maria Coletti) • Nel 2006 ha pubblicato presso l’editore Pagine il suo «libro-manifesto per la rinascita del Sud, dedicato alla "tragedia del nostro Meridione, colpito da un inarrestabile degrado dovuto alla programmata distruzione del mondo agricolo". Titolo: La terra trema. Sottotitolo: Invito alla rivolta. In copertina, due immagini: quella di Emiliano Zapata, idolo del principe, e il principe medesimo, fotografato di spalle. "Il momento storico esige l’impegno di ciascuno per evitare una catastrofe planetaria", esordisce Ruspoli nell’apocalittica prefazione, in cui chiede che l’agricoltura sia sottratta alle regole della globalizzazione. Ed è proprio la carta no global, al grido "il potere ai contadini", che il principe gioca. Delle varie foto contenute nel libro, quella di cui il principe va più orgoglioso è l’immagine che lo ritrae in blazer blu coi bottoni d’oro mentre sfila in corteo accanto a Bové. In un’altra stringe la mano a Lula, in una è a cavallo fra le sue pecore, o posa accanto ai villici di Vignanello, il paese dominato dal più sontuoso dei castelli Ruspoli, dimora del week-end» (Laurenzi). È del 2017 una sua raccolta di aneddoti biografici e autobiografici, Vite da leoni. La fortuna di averli conosciuti (Pagine) • Tre figlie: due, Claudia e Giada, dalla prima moglie, la duchessa Flavia Donatella Salviati (1925-2007), e una, Giacinta, dalla seconda e attuale consorte, l’attrice Pia Giancaro (classe 1950), «la bella mugliera dai bei capelli biondi che […] ha plasmato, parola dopo parola, sorriso dopo sorriso, gambe di taglio dopo gambe di taglio, come Rex Harrison plasmò Audrey Hepburn in My Fair Lady. […] Faceva l’attrice, girando film leggendari come L’amantide o Quando i califfi avevano le corna. […] Il principe nero la vide, ne restò folgorato, le chiese subito di conoscere il padre, un ferroviere della provincia di Palermo, e gli chiese la mano della figlia. Quello, all’idea di diventare il papà di Cenerentola, poco poco svenne. Rianimatosi, fece al futuro genero un regalo chic: un carrettino siculo in miniatura con le fiancate dipinte con le storie dei pupi, da Gildippe a Guidon Selvaggio. Il tempo di sposarsi e prender dimestichezza coi saloni e la posateria di casa Ruspoli, e la nouvelle princesse già confidava a Gente le sue perplessità sul mondo moderno: “È una pena vedere l’orda dei nuovi ricchi che ha invaso l’alta società”» (Gian Antonio Stella) • «Sono un appassionato di opera, e soprattutto di Puccini. Mi ricorda lo Stato Pontificio» • Marina Ripa di Meana raccontò di quando, a Cortina, Ruspoli sfidò a duello Carmelo Bene, che gli aveva dato del fascista: «La sera, Carmelo telefonò per comunicargli che accettava. Per arma, la pistola. […] Io piansi e li implorai, talmente disperata che desistettero» • «I Ruspoli sono principi di Cerveteri dal 1709, da quando papa Clemente XI elevò al rango di principato l’ex marchesato della cittadina: merito del Reggimento Ruspoli, che liberò l’agro romagnolo, quindi gli Stati della Chiesa, dall’invasore austriaco» (Paolo Conti). «Il fondatore della casata, […] Mario lo Scoto, […] combatté i Sassoni per Carlo Magno, e nel 782, come ha scritto Galeazzo Ruspoli nella storia della famiglia, mise a ferro e fuoco il villaggio di Verden: “Ai prigionieri fu detto che potevano scegliere tra farsi battezzare o morire. Per tre giorni interi, dall’alba al tramonto, Carlo Magno, con i suoi vassalli e con Mario lo Scoto, assistette alla carneficina”, spiega Lillio, con un lampo divertito negli occhi, “Nove su dieci! Quante teste abbiamo tagliato, per la Chiesa! Quante teste!”» (Stella). «Mario lo Scoto […] nella primavera del 799 calò a Roma con le sue truppe per salvare il Papa, S. Leone III, da un gruppo di facinorosi, che voleva accecarlo mentre transitava in corteo da San Lorenzo in Lucina a San Silvestro in Capite. […] Del resto, i Ruspoli combatterono valorosamente a Lepanto, a Vienna, a Malta e a difesa dei confini pontifici. […] Dopo la presa di Porta Pia da parte dei Savoia, […] chiusero in segno di lutto i portoni dei loro palazzi e li riaprirono solo nel 1929 alla data del concordato. La bandiera pontificia, giallo-bianca con le sacre chiavi che sventolava durante la battaglia di Porta Pia è tutt’ora conservata in casa Ruspoli, sforacchiata dai proiettili dei bersaglieri. […] "La mia", sottolinea Sforza, "è stata sempre una famiglia all’insegna dell’anticonformismo e del coraggio". Nel 1942 ha perduto a El Alamein due congiunti facenti parte della Folgore, tutti e due medaglie d’oro. […] Si deve a lui la Casa dei Poveri a via Casilina, a Roma, intitolata alla santa del suo Casato, la francescana Giacinta (1585-1604), protettrice degli emarginati» (Delfina Metz Massimo Lancellotti) • «Essere aristocratico vuol dire impegnarsi per il popolo e in nome di Santa Romana Chiesa. Occuparsi, come hanno fatto mio padre o mio nonno, appartenenti all’ordine dei Cavalieri di Malta, dei poveri e dei malati. Il volontariato è nato così, dall’impegno di nobili che avevano un grande amore per la natura, per l’arte e per gli altri uomini. Chi non si mette al servizio dei poveri non è un aristocratico» • «Noi siamo la trincea rocciosa del Papa dai tempi di Carlo Magno. I papi si servono: ce l’hanno insegnato fin da bambini». «Un autentico tradizionalista ha come prima norma l’obbedienza al Pontefice. Il Papa non si critica: si serve e basta». «Certo non sono monarchico. Io sono per una teocrazia universale».