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 2018  dicembre 11 Martedì calendario

Cuba tira il freno alle auto d’epoca

Sono passati otto anni da quando il regime cubano licenziò un decimo della forza lavoro del l’isola (quasi mezzo milione di persone), incoraggiando i propri cittadini-sudditi ad iniziare un’attività privata.
Il líder maximo Fidel Castro era ancora in vita (è morto due anni fa) ma si era già ritirato ufficialmente dalla vita pubblica per la malattia che lo aveva colpito, lasciando al fratello Raúl la gestione, con pieni poteri – talvolta minati da interventi pubblici dello stesso Fidel – dei primi segnali di rinnovamento reale della rigida economia statale. Piccoli segnali, che nell’ultimo bastione ‘sovietico’ alle porte degli Stati Uniti, sembravano aprire la strada a una parziale democratizzazione del ‘comunismo in salsa Caraibi’.
Quasi 600mila cubani divennero allora cuentapropistas, lavoratori autonomi e (semi) privati, aprendo ristoranti, qualche isolata boutique, officine di riparazione, istituti di bellezza, panetterie, bar. E trasformando le vecchie auto di famiglia, in maggioranza quegli sgargianti modelli americani degli anni Cinquanta diventati nel tempo una delle icone di Cuba, in taxi collettivi. Grazie a questa svolta, che doveva essere solo la prima di un mercato sempre più simile al ‘socialismo cinese’, un tassista può oggi facilmente guadagnare dieci o venti volte quanto guadagna chi ancora ha una salario statale, la cui media è di circa 848 pesos (l’equivalente di 33 dollari).
O meglio, poteva fino ad oggi. Perché con una decisione che sta sollevando un’ondata di critiche il nuovo governo-regime di Miguel Diaz-Canel, il fedelissimo di Raúl che dall’aprile scorso è formalmente (e con la supervisione del fratello Castroancora in vita) nuovo leader dell’isola, ha deciso di “promuovere” e “rinnovare” il trasporto pubblico all’Avana con 90 nuovi autobus e 400 minibus (da 12 posti) per supplire alla “carenza di mezzi di trasporto” nella capitale. Una crisi iniziata nel luglio scorso, quando il governo cubano aveva varato nuove regole, molto più restrittive per i privati alla guida dei taxi collettivi. Misure che sono state viste (e in alcuni casi lo sono) come una forma di punizione per il crescente (e sempre più ricco) settore privato. Come percorsi prestabiliti, prezzi fissi e altri rigidi controlli che contraddicono la filosofia dell’apertura al mercato in stile cinese.
Il governo sembra essersi accorto solo ora che molti tassisti non acquistavano il carburante dalle stazioni di servizio, ma dai conducenti di veicoli statali che, a loro volta, rubavano quello loro assegnato. Pratica peraltro vecchia di decenni in ogni ambito del commercio della Cuba castrista. Risultato? Il governo ha sequestrato ben 2167 licenze di taxi (su 6mila), lasciando senza lavoro i proprietari. Altri tassisti hanno deciso di rinunciare volontariamente alle licenze con la motivazione che le nuove regole rendono impossibile guadagnarsi da vivere. Le nuove regole includono anche una revisione tecnica che Chevrolet, Plymouth e Ford degli anni Cinquanta, difficilmente potranno superare.
Quello sui taxi fa parte di una riforma più complessiva del business privato a Cuba, che mentre finalmente liberalizza Internet e l’uso degli smartphone ne penalizza molti altri. Un pacchetto che ha suscitato proteste e scontenti tali da far fare una parziale ma rapida marcia indietro. Così lo stesso Diaz-Canel ha annunciato via Twitter alcune modifiche, annacquando i punti più criticati delle nuove restrizioni sulla libera impresa. Ma per il cosiddetto rolling museum, le auto made in Usa degli anni Cinquanta, il destino sembra segnato.