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 2018  dicembre 11 Martedì calendario

Huawei e Zte sotto scacco globale, ma in Italia sono i signori del 5G

Dal Canada al Giappone. Le cattive notizie per Huawei ieri sono arrivate dall’Estremo Oriente, con il governo giapponese che ha inviato direttive ai propri ministeri che di fatto introducono un bando all’acquisto di prodotti Huawei e di altre compagnie cinesi, fra cui Zte.
Non è stato un fulmine a ciel sereno quello che ieri ha colpito le due principali aziende cinesi che operano, a livello globale, nel settore delle reti e infrastrutture per le telecomunicazioni. La notizia del “ban” del Giappone era trapelata nei giorni scorsi. E ora va ad aggiungersi a un quadro complicato in cui a dettar legge è la linea dura battezzata Oltreoceano. In questo 2018 l’amministrazione Trump ha alzato il livello di un corpo a corpo dalle ripercussioni globali, come mondiale è la portata della posta in gioco. L’arresto in Canada di Meng Wanzhou, figlia del fondatore di Huawei Ren Zhengfei e Cfo dell’azienda, ha come motivazione la violazione dell’embargo con l’Iran. Fin qui la cronaca con prese di posizione critiche verso gli Usa (da parte della Russia), ma anche preoccupate per la presenza di queste aziende negli apparati di rete nel mondo (da parte dell’Europa e di chi brandisce il pericolo spionaggio). 
A ogni modo, analisti e osservatori convergono nel giudicare questa escalation il fulcro di un duello commerciale e di potere fra gli Usa e quella Cina che con il piano “Made in China 2025” vuole trasformarsi da fabbrica del mondo in fucina dell’innovazione. Mai come oggi, con le reti 5G in fieri, avere il pallino può essere decisivo. Da qui lo scontro che ha investito Huawei e Zte. La prima, 100 miliardi di dollari di business (1,5 miliardi di euro in Italia), è attiva anche sulle sperimentazioni che nel Paese si stanno facendo sul 5G sotto l’egida del Mise: a Milano se ne sta occupando Vodafone; a Prato e L’Aquila Wind Tre e Open Fiber e a Bari e Matera Tim e Fastweb. In quest’ultimo caso Huawei partecipa come capofila al progetto con le due telco. Come fornitore è invece presente anche nella sperimentazione di Milano di Vodafone, insieme con Nokia. Senza contare poi il centro ricerche a Segrate sul microwave cui se ne aggiungerà un secondo sul design, in centro a Milano. Completano il quadro 3 innovation center con Tim e 2 con Vodafone oltre a 1 Joint Innovation Center con la Regione Sardegna. 
Insomma, una realtà radicata. Come sempre più radicata è anche Zte: 14 miliardi di ricavi nel 2017 e 85mila dipendenti nel mondo. L’azienda è stata la prima vittima della trade war Usa-Cina con il Dipartimento del Commercio Usa che ad aprile aveva deciso di vietare per 7 anni alle aziende Usa di fare affari con la società, accusata di aver disatteso un accordo per chiudere una vicenda legata alla violazione dell’embargo in Iran e Corea del Nord. Per uscire dal “ban” Zte ha poi dovuto accettare di pagare una sanzione da 1,4 miliardi di dollari, ma il fermo di 3 mesi e i miliardi bruciati in Borsa (è quotata a Shenzhen e Hong Kong) hanno messo seriamente a rischio l’attività. Un pericolo esteso anche all’Italia, Paese in cui Zte nel 2017 ha realizzato 170 milioni di ricavi e dove all’Aquila ha avviato un centro di sperimentazione proprio sul 5G. In Italia Zte ha 170 dipendenti e commesse importanti. Su una di queste, la realizzazione della nuova rete di Wind Tre, il ban americano e lo stop forzato sono intervenuti come mannaie. Tanto che Wind Tre – che a sua volta da qualche mese è al 100% cinese – ha dovuto rimettere in gioco parte della commessa andata a Ericsson. 
Di certo sia Huawei sia Zte sono player di primaria importanza per le tlc in Italia, che insieme realizzano un fatturato di poco inferiore ai 2 miliardi. Il che rende ovvia una conclusione: se rappresentassero una minaccia (cosa che, va detto, è tutta da dimostrare), l’Italia ne sarebbe colpita appieno. Il ministero dello Sviluppo economico al momento non si è espresso.