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 2018  dicembre 11 Martedì calendario

Conte chiede a Tria la testa del capo gabinetto Garofoli

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nei giorni scorsi ha spiegato al ministro dell’Economia Giovanni Tria che non vuole più ricevere a Palazzo Chigi il capo di gabinetto del Tesoro, Roberto Garofoli. E Conte si aspetta le sue dimissioni a breve, dopo l’approvazione della legge di Bilancio. Ecco spiegato perché viene avvistato così spesso soltanto il ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, pur non amatissimo dai partiti di maggioranza, a fare la spola tra largo Chigi e il ministero nei negoziati su deficit e dintorni.
Secondo quanto riferiscono al Fatto fonti di Palazzo Chigi, la linea di Conte è inflessibile: Garofoli se ne deve andare, sono troppi gli elementi che lo rendono ormai inadatto al ruolo per i Cinque Stelle e, ora, anche per il premier. È considerato il responsabile di un emendamento non concordato a favore della Croce Rossa (lui ha smentito), la stessa Croce Rossa che gli aveva ceduto una parte dell’immobile a Molfetta che doveva diventare un bed and breakfast; poi c’è la società editoriale della moglie che pubblica libri scritti e curati da Garofoli per aspiranti avvocati e magistrati, alcuni autori hanno poi ottenuto anche incarichi al Tesoro su chiamata di Garofoli e un collaboratore ha detto di essere stato pagato in nero.
L’ostilità dei Cinque Stelle era nota (“pezzi di merda”, disse Rocco Casalino in un audio WhatsApp), quella di Conte sorprende perché, come rivelato dal Fatto il 5 dicembre, proprio Conte nel maggio 2017 aveva guidato l’istruttoria del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (Cpga) che vigila sui magistrati amministrativi come Garofoli. Conte era membro laico, il risultato dell’analisi delle attività imprenditoriali della famiglia Garofoli fu un’assoluzione piena, verdetto che ad alcuni consiglieri di Stato sembra oggi generoso, ma le società di corsi e libri non erano intestate a lui e tanto bastava. A chi nei corridoi di Palazzo Chigi gli ha rinfacciato l’indulgenza, nei giorni scorsi Conte ha ricordato che, pur non avendo avuto elementi sufficienti per sanzionare Garofoli, aveva comunque firmato la delibera del Cpga del 7 luglio 2017 per introdurre nuovi vincoli. Gli incarichi di docenza come quelli di Garofoli ad aspiranti magistrati si devono svolgere “con modalità non assimilabili a forme imprenditoriali di attività e con modalità tali da non compromettere il prestigio e l’indipendenza della magistratura”. Seguono cinque punti di raccomandazioni che non hanno ostacolato il business della società Neldiritto Editore ma hanno imposto a Garofoli un profilo più sobrio nei corsi della Lexfor.
Il premier non vuole quindi in nessun modo passare per l’ultimo difensore di Garofoli, come la sua appartenenza al mondo della giustizia amministrativa poteva suggerire. Conte si appoggia molto ai consiglieri di Stato che ha conosciuto negli anni al Cpga, si è portato come capo dipartimento Affari legislativi Ermanno De Francisco, anche lui coinvolto nel parere favorevole sul caso Garofoli nel Cpga. La richiesta di dimissioni del capo di gabinetto che il ministro Tria ha ereditato da Pier Carlo Padoan e confermato è il segnale che Garofoli è finito ai margini di un sistema di relazioni che fino a pochi mesi fa lo considerava la sua punta più avanzata.
Anche dopo le elezioni 2018, Garofoli era considerato un buon candidato per la presidenza dell’Antitrust (poi non ha presentato domanda) e la sua stessa permanenza al ministero del Tesoro era parsa una prova di forza notevole: in pochi riescono ad attraversare quattro governi, segretario generale a Palazzo Chigi con Enrico Letta, poi capo di gabinetto al Tesoro nella fase Renzi e Gentiloni e coi gialloverdi. A 52 anni, il potente magistrato pare ora destinato a interrompere, almeno per un po’, la sua ascesa.
Per Tria questa richiesta di allontanare Garofoli è un problema che si aggiunge a una lunga lista: osteggiato dai Cinque Stelle, maltrattato dalla Lega, escluso dal negoziato con la Commissione Ue sulla manovra, costretto a subire le decisioni dei leader di maggioranza anche sui saldi della legge di Bilancio. Sembrano crescere quindi le probabilità che, dopo aver approvato la manovra, insieme alle dimissioni di Garofoli arrivino anche quelle di Tria.