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 2018  dicembre 11 Martedì calendario

I lavoratori lombardi prendono 6mila euro in più di quelli meridionali

Gli stipendi italiani restano in fondo alla classifica dei grandi Paesi di Eurolandia. Ma soprattutto crescono poco, anzi: in termini reali si muovono come il gambero, arretrano invece di avanzare. E questo spiega tante cose, inclusa la stagnazione della domanda interna. I soldi nel portafoglio sono sempre quelli, ma le spese crescono e dunque è naturale che le famiglie stringano i cordoni della borsa. A fotografare con una grande quantità di numeri questa tendenza, è l’ultimo rapporto di Job Pricing, società specializzata nelle analisi retributive.

LORDO E NETTO Naturalmente la geografia delle buste paga è molto differenziata in senso geografico. La retribuzione annua lorda è in media di 31.692 euro in Lombardia (con una punta di 34.302 euro a Milano), mentre scende a 24.622 euro lordi annui in Calabria. Naturalmente il costo della vita è molto diverso nel Nord e nel Sud della Penisola. E la forbice fra retribuzione lorda e retribuzione netta resta comunque molto ampio. Sulla busta paga di un operaio, che in media ammonta a 1.913 euro mensili, il prelievo fiscale e contributivo fa manbassa, portandosi via ben 438 euro. Il netto in busta scende così a 1.475 euro. Ma va perfino peggio ai quadri. Su un lordo mensile di 4.156 euro, fisco e contributi si mangiano ben 1.531 euro. Lasciando al dipendente appena 2.625 euro. Effetto della progressività della tassazione. Al crescere della retribuzione sale anche la quota che finisce in pancia a Erario e Inps.

VARIAZIONI NULLE Nulle, se non addirittura negative, le variazioni, contrariamente a quanto sostiene l’Istat. Si legge nel rapporto di Job Pricing: «L’Istat, su base trimestrale, rilascia l’indice della retribuzione contrattuale oraria: tale indice (considerando solamente gli aumenti relativi al settore privato), nel primo semestre 2018 a confronto con l’intero anno solare 2017, ha registrato un incremento dello 0,8%. Il confronto con l’indicatore retributivo di Job Pricing suggerisce che buona parte degli incrementi retributivi intercorsi nel periodo siano stati ?assorbiti?». Non a caso sul versante del potere d’acquisto si registrano pessime notizie. Dopo l’uscita dal periodo di deflazione, con i prezzi fermi o in calo, dal 2013 fino all’inizio del 2017, nel primo semestre dello scorso anno, l’inflazione è stata pari allo 0,8%. Ma «il valore rilevato è anche superiore (1,5%) se si considera l’indice per i beni ad alta frequenza d’acquisto», si legge sempre nel rapporto Job Pricing, «e dato che la crescita dei prezzi è stata superiore alla retribuzione annua lorda, di fatto stagnante, il potere d’acquisto dei lavoratori italiani è rimasto sostanzialmente lo stesso dell’anno precedente, o addirittura è diminuito per alcune categorie». Dunque c’è poco da stupirsi se la corsa agli acquisti non c’è stata nemmeno quest’anno.

SUSSIDIO UNIVERSALE Illuminante il raffronto fra il reddito di cittadinanza e i minimi contrattuali previsti dai principali contratti collettivi di lavoro. Il netto annuo del sussidio tanto caro al Movimento 5 Stelle, vale a dire 9.360 euro (per un netto mensile di 780 euro, ritenuta la soglia al di sotto della quale si vive in povertà), equivale a un contratto part time per la maggior parte dei contratti di categoria. Ad esempio il sussidio di cittadinanza vale il 58% del netto annuo per le retribuzione minima del contratto collettivo del terziario di Confcommercio e il 61% del contratto applicato da Confindustria per i metalmeccanici. «Il reddito di cittadinanza», puntualizza il rapporto di Job Pricing, «equivarrebbe a un salario da lavoro dipendente al livello minimo per un part time che, a seconda del contratto collettivo, andrebbe dal 58 al 63%». Molto marcate le differenze retributive fra i diversi macrosettori economici. Il reddito annuo lordo più alto (si tratta sempre di valori medi) si registra nei servizi finanziari, con 40.660 euro annui. Il più basso, invece è quello percepito in agricoltura con appena 23.653 l’anno. In mezzo ci sono le utility con 32.125 euro, l’industria manifatturiera con 30.625 euro, il commercio con 28.913 euro e l’edilizia con 27.243. Varia molto anche la composizione della piramide retributiva all’interno di ciascun settore economico. Ad esempio il peso dei dirigenti raggiunge il 4% nei servizi finanziari, per scendere all’1,9% nelle utility e addirittura allo 0,3% nelle attività agricole. Le aziende legate alla terra sono anche le meno remunerative in assoluto sia per i quadri sia per i dirigenti.