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«Vivo tra due mondi». La verità di Franco Battiato
Tempo fa ho letto che, secondo uno studio svolto da alcuni ricercatori dello Utah, la solitudine farebbe male quanto fumare quindici sigarette al giorno o essere obesi. Mi sembra che tu, che ormai da decenni hai scelto di vivere da solo, puoi essere considerato la smentita vivente di questa ricerca: «A parte il fatto che bisogna distinguere nettamente tra una solitudine subìta e una solitudine scelta, questi ricercatori dovrebbero imparare che a essere dannoso è, per esempio, il rumore delle automobili o l’incredibile vocìo che si sente in certi ristoranti e che ti manda il cervello in frantumi. Solo quando uno mangia in silenzio assapora davvero il cibo, che in quei casi può presentarsi per ciò che effettivamente è, ovvero una grazia di Dio. Sono il chiasso e la confusione a fare male, non la solitudine».
Sei sempre convinto della tua scelta di vivere senza qualcuno accanto?
«La mia strada è quella. Io penso che l’unione di coppia, potenzialmente, sia la condizione ideale per gli esseri umani: sono lo yin e lo yang che si fondono. Ma le combinazioni perfette sono rarissime, quasi inesistenti. Nella maggior parte dei casi si traducono in autentiche condanne. Per me è stato così: forse perché, banalmente, non ho mai incontrato la "persona giusta"».
Sono ben note la riservatezza e la tutela che hai del tuo privato. Il fatto di essere un uomo pubblico, che la gente riconosce per strada, non ha reso più complicato mantenere la tua natura profonda? E soprattutto non rischia di rendere più insinceri i tuoi rapporti con il prossimo, obbligandoti a relazionarti agli altri come personaggio prima che come persona?
«La questione presenta varie sfaccettature. Diciamo che quando vivi una situazione di questo tipo da moltissimi anni, come nel mio caso, impari a tenere ben separati i due momenti, quello pubblico e quello privato. Per me sono due sfere del tutto distinte che, senza compenetrarsi, coesistono abbastanza tranquillamente. I rapporti importanti, profondi, li coltivo nel mio privato, le relazioni che intrattengo come "personaggio" pubblico sono necessariamente d’altra natura e d’altro spessore, e va bene così».
Uno dei cardini del buddismo è il superamento della materia. Questo tema si ritrova spesso nelle tue opere, compresi i tuoi film. Penso all’anziano Beethoven che, in " Musikanten", malgrado tutti gli acciacchi fisici e la grave limitazione all’udito, non può fare a meno di comporre e, in tal modo, di tendere "verso l’alto".
«Liberarsi dalle catene della materia è fondamentale. Anche il nostro corpo è spesso un fattore che ci lega. Ricordo che una volta Michelle Thomasson, la moglie di Henri Thomasson (il quale fu uno dei principali discepoli di Georges Ivanovic Gurdjieff, il grande mistico e filosofo armeno capace di elaborare un " sistema" che ha reso accessibile a noi occidentali tanta sapienza orientale), essendo stata urtata da qualcuno cominciò a sanguinare copiosamente dal naso. Be’, Michelle seguitò a parlare con la massima indifferenza, limitandosi a togliersi il sangue dal viso con la mano. Un esempio di controllo assoluto di sé, e di distacco dalle cose corporali, che non dimenticherò mai».
I cristiani iracheni dicono di rimpiangere il regime di Saddam Hussein, abbattuto proprio dagli Usa.
«Gli americani tolsero di mezzo Saddam Hussein in quanto interessati al petrolio, devastando così una nazione e ponendo le basi perché si verificasse ciò a cui abbiamo assistito dopo, ovvero un netto peggioramento della situazione. Sarebbe bello se tutti i popoli che sono sotto un giogo si liberassero, ma questo non c’entra nulla con quanto accaduto in Iraq. Peraltro, anche se non era il caso di un sanguinario dittatore come Saddam, io credo che in certi frangenti una guida autoritaria, se illuminata, non sia per forza un male».
(Dal libro-intervista a Franco Battiato di Giuseppe Pollicelli “Temporary Road”, La Nave di Teseo)