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 2018  novembre 28 Mercoledì calendario

Gli eremiti sociali sono più di 128mila

L’onda è partita, non si può fermare: possiamo solo cercare di cavalcarla al meglio, sperando di non farci troppo male. Proprio perché «indietro non si torna» è necessario «fermarsi a riflettere, capire dove siamo arrivati, dove vogliamo andare, cosa possiamo fare». Gli Stati generali della scuola digitale, convocati lunedì a Bergamo dall’associazione Impara digitale, si sono trasformati in una sorta di seduta di autocoscienza collettiva, con un migliaio di insegnanti di tutta Italia, le avanguardie della didattica digitale, a interrogarsi su come Internet, i social e i videogiochi stanno cambiando (anzi, hanno già cambiato) la vita dei ragazzi. Con risvolti forse inaspettati e sicuramente preoccupanti, come l’aumento esponenziale dei casi di autismo, dovuti anche alle massiccia esposizione a campi magnetici e onde radio, come ha spiegato il pediatra Ernesto Burgio, membro del consiglio scientifico di Eceri, l’European cancer and environment research institute
di Bruxelles e tra i massimi esperti a livello internazionale dei danni epigenetici e genetici indotti dall’inquinamento ambientale. Negli Stati Uniti, si è passati da 1 caso di autismo ogni 1.500 abitanti del 1980 a 1 ogni 68 di oggi, mentre in Gran Bretagna le diagnosi sono 1 ogni 59 abitanti.
«La tecnologia sta modificando il cervello dei ragazzi e di questo dobbiamo essere consapevoli», ha avvertito Burgio, introducendo un fenomeno ancora poco osservato in Italia, ma in costante evoluzione: gli Hikikomori. Ragazzi che si estraniano completamente dalla società per rinchiudersi in casa (meglio, nella propria stanza), comunicando esclusivamente tramite i social o, più ancora, i videogiochi. Secondo le ultime stime, diffuse dalla psicologa dell’Università di Padova, Daniela Lucangeli, presidente dell’Associazione per il Coordinamento nazionale degli insegnanti specializzati (Cnis), questi “eremiti sociali” sono 128mila soltanto in Italia, ma erano 100mila fino allo scorso maggio. Persone che vivono in totale dipendenza dalle tecnologie, una condizione al limite da cui nessuno può considerarsi immune, visto che, ha rivelato l’esperta tra lo stupore generale, in media ogni italiano digita e scorre il proprio smartphone almeno 2.600 volte al giorno, 2,70 volte al minuto, una volta ogni 20 secondi. Una “droga” vera e propria che sconvolge l’esistenza di tante persone, che manifestano “crisi di astinenza” quando sono disconnessi.
«È arrivato il momento di cambiare le cose», ha ammonito Lucangeli, lanciando un grido d’allarme, una «richiesta d’aiuto» alla platea degli insegnanti, dai quali può e deve partire il cambiamento. «Avete l’opportunità di aiutare i ragazzi a utilizzare le tecnologie in modo che migliorino la loro vita, non la releghino nella loro stanza – ha sollecitato la psicologa –. Gli adulti non devono perdere la propria responsabilità e avere la capacità di svolgere un giusto discernimento, per capire che questi strumenti sono un potenziamento, non una sostituzione dell’anima».
Da qui, allora, la necessità di fermarsi, sollecitata più volte da Dianora Bardi, pioniera delle tecnologie applicate alla didattica, promotrice degli Stati generali della Scuola digitale e ora consapevole della necessità di un nuovo inizio che metta al centro il benessere degli studenti. «Dobbiamo essere umili e rimetterci a studiare per capire dove stiamo andando e come sono cambiati i nostri alunni – ha sottolineato la docente –. Per questo credo sia opportuno fermarsi. Per poi riprendere il cammino con maggiore consapevolezza per scegliere la strada migliore, che ci porti verso un significativo cambiamento della scuola. I ragazzi sono sempre più lontani dalle pareti delle aule scolastiche, immersi in un mondo immateriale, un mondo parallelo a quello reale, che ha profondamente modificato le modalità di apprendimento e di comunicazione, con tutte le potenzialità e i rischi che ciò comporta. Un processo che ha travolto la scuola e che, invece, dobbiamo essere capaci di governare. A partire dal cambiamento che sapremo imprimere cominciando dal rapporto con i nostri ragazzi. Perché la scuola non si cambia dall’alto. La scuola la cambiamo noi».