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 2018  novembre 16 Venerdì calendario

Il caldo d’autunno ha sconvolto piante e insetti

Per quanto i negozi sfoderino cappotti in ogni vetrina e cerchino di convincerci che fa freddo, siamo al 16 di novembre e a Milano, stamattina, una ragazza trotterellava in ciabatte e piedi nudi. Matta lei, certo, ma anomalo pure il clima. Il 2018 viene considerato, fino a ora, l’anno più caldo da oltre due secoli, «con una temperatura media superiore di 1,77 gradi» rispetto ai valori di riferimento (dal 1961-1990), lancia l’allarme la Coldiretti. Allarme aggravato dal fatto che il 2108, sulla base dei dati controllati ed elaborati dall’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nei primi dieci mesi, s’inserisce appieno nella tendenza al surriscaldamento del nuovo millennio: nella classifica delle annate più calde da oltre due secoli, ci sono il 2015, 2014, 2003, 2016, 2007, 2017, 2012, 2001 e, a chiudere, il 1994. Questo, il primo problema: siamo stati, fin ora, sospinti dall’onda lunga della cosiddetta estate di San Martino, quando cioè, nonostante il calendario segni pieno autunno, le condizioni climatiche ricordano più la primavera che l’avvicinarsi dell’inverno. Già il caldo fuoristagione, quindi, sarebbe sufficiente a dare un grattacapo agli agricoltori, ma la situazione sta per aggravarsi. A mettere il carico da undici, infatti, è Attila, l’ondata di aria gelida proveniente dalla Russia che fa parlare i meteorologi di «un avvio alquanto prematuro della stagione invernale»: le temperature, infatti, scenderanno al di sotto delle medie stagionali. Un’improvvisa sterzata che scombussolerà, per prime, le piante: abituate a temperature miti, saranno del tutto impreparate a difendersi dal freddo. DANNI ECONOMICI Inoltre, gli eventi atmosferici sconclusionati degli ultimi mesi – precipitazioni brevi e intense, il rapido passaggio dal sole al maltempo, e poi gelate, nubifragi, trombe d’aria, bombe d’acqua, grandinate e siccità che si sono succeduti in tutto il Paese, a macchia di leopardo ? hanno già provocato «oltre un miliardo e mezzo di euro di danni alle coltivazioni», dice Coldiretti. «Il caldo anomalo degli ultimi mesi», spiega Lorenzo Bezzana, responsabile economico della Coldiretti, «ha stravolto i cicli naturali: le foglie non sono cadute e l’arrivo del gelo previsto per il fine settimana comporterà gravissimi danni alle piante perchè non sono ancora in riposo vegetativo». Inoltre, se il termometro segnerà davvero dieci gradi in meno «ci saranno problematiche anche per le colture da campo, soprattutto le verdure invernali coltivate all’aperto come cavoli, verze, cicorie e broccoli». Non esiste rimedio? «No, per i prodotti in serra si cercherà di aumenterare la temperatura, per gli ortaggi in pieno campo, invece, non c’è soluzione: l’unica possibilità è anticipare la raccolta, a patto che il frutto abbia raggiunto la maturazione». VUOTO DI OFFERTA «Il rischio», avverte Bezzana, «è avere un vuoto di offerta, come per esempio sta succedendo con le zucchine nel Lazio. Non solo si verificherà un aumento di prezzo per il consumatore, ma ci sarà la necessità di importare prodotti. Il pericolo? Avere un prodotto d’importazione spacciato per prodotto nazionale». Perfino gli animali, infine, ci hanno messo del proprio: «Mosche, zanzare, parassiti vari e cimici sono ancora presenti e attivi, e siamo alla vigilia dell’inverno. La cimice asiatica, poi, già durante l’estate è stata impossibile da gestire e ha fatto strage di mele, pere, kiwi, cachi, nocciole, cereali e soia: ha causato un deprezzamento dei prodotti o addirittura ne hanno reso impossibile la vendita. Con il freddo le cimici si sposteranno verso le case a svernare, per poi riprodursi in primavera». È possibile sapere esattamente come è arrivata qui? «No, può annidarsi nella frutta o nelle piante importate, come in container di ogni genere di merce. Ogni anno ci prepariamo per una guerra che conta sempre nuovi attori, nuovi animali e, di conseguenza, nuove malattie. È la globalizzazione, ed è a senso unico?». Cioè? «Noi importiamo le mele dall’Oriente, e le pere Nashi, per esempio, ma è un accordo unilaterale: non possiamo esportare prodotti italiani in Cina. E l’Unione Europea non dà segno di volersene occupare».