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 2018  novembre 16 Venerdì calendario

RAAB E L’ORGOGLIO – LE DIMISSIONI DEL MINISTRO PER LA BREXIT E DI ALTRI 3 MEMBRI DEL GOVERNO HA MANDATO NEL CAOS THERESA MAY, CHE PROVA A DIFENDERSI MA RISCHIA DI ESSERE SFIDUCIATA PER LA BOZZA DI ACCORDO CON L'UNIONE EUROPEA – IL 29 MARZO IL REGNO UNITO SARÀ COMUNQUE FUORI DALL'UE. ECCO COSA POTREBBE SUCCEDERE SE NON SI TROVA UN'INTESA... -

Gabriele Carrer per “la Verità” La strada per la Brexit è ancora lunga. L' hanno riconosciuto non soltanto coloro che reputano la bozza di accordo proposta dal primo ministro britannico Theresa May un tradimento del voto popolare, ma anche quelli che avrebbero migliori ragioni per festeggiare l' intesa, cioè i vertici dell' Unione europea.

I primi sono i molti esponenti del Partito conservatore che ieri hanno messo in discussione la leadership e la premiership della May in una giornata che ha visto le dimissioni dal governo di due ministri, due sottosegretari e due parliamentary private secretary (i deputati che fungono da collegamento tra i ministri e i parlamentari).

L' addio più rilevante è stato quello di Dominic Raab, ministro per la Brexit da soli cinque mesi, subentrato al dimissionario David Davis, che come lui abbandonò la May per divergenze sulle modalità dell' uscita dall' Unione europea.

Secondo Raab la bozza approvata mercoledì sera dal governo (nonostante un terzo dei ministri fosse contrario) rappresenta una minaccia all' integrità del Paese ma anche il pericolo, visto il modo con cui il Regno Unito sta negoziando con l' Ue, di dover sottostare ancora ai veti di Bruxelles.

Ieri sera in conferenza stampa la May ha difeso la sua idea di Brexit, «la migliore possibile», sostenendo che nessun accordo potrebbe evitare il backstop, che implica che almeno fino a fine 2020 l' Irlanda del Nord rimanga nel mercato comune europeo e il resto del Regno Unito (Inghilterra, Galles e Scozia) nell' unione doganale, con i controlli sulle merci da effettuare nel Mar d' Irlanda.

La più importante minaccia al futuro del premier arriva dal deputato conservatore Jacob Rees-Mogg, capofila dei più convinti euroscettici, che ieri ha formalizzato la richiesta di una mozione di sfiducia contro il premier con una lettera al comitato del partito competente sulle primarie. Rees-Mogg accusa la May di aver violato «le promesse fatte alla nazione», di aver proposto un accordo che «non è Brexit ma un fallimento che va evitato» per via delle troppe concessioni fatte all' Ue. Il deputato può contare sul suo seguito di circa 50 deputati. Una cifra in teoria sufficiente a far partire l' iter per la sfiducia.

Tuttavia, finora il numero delle lettere inviate al comitato 1922 risulta inferiore al quorum necessario, che è di 48. Fonti del Partito conservatore spiegano che la mossa di Rees-Mogg ha spaventato anche quel fronte europeista che avrebbe voluto sfiduciare la May ma che ritiene il deputato ribelle troppo radicale.

Per ora quindi il primo ministro sembra in grado di restare alla guida del Regno Unito. Anche perché i ribelli sanno che perdendo una sfida alla leadership renderebbero la May inattaccabile per un anno, come recita lo statuto del partito.

I secondi a parlare di una via per la Brexit ancora lunga sono stati Michel Barnier, il capo negoziatore dell' Unione europea, e Donald Tusk, il presidente del Consiglio europeo. Nella conferenza stampa di ieri mattina, i due, ufficializzando per il 25 novembre un vertice straordinario sull' uscita del Regno Unito dall' Unione europea, hanno spiegato che si tratta di «un momento molto importante».

Nella dichiarazione congiunta hanno spiegato che «l' accordo concordato è giusto ed equilibrato, assicura le frontiere dell' Irlanda e getta le basi per un' ambiziosa relazione futura». Tuttavia, c' è «ancora una lunga strada davanti, con un lavoro intenso da fare, e non c' è tempo da perdere». Ma la Brexit della May non piace neppure ai cittadini britannici.

Secondo un instant poll di Sky Data, soltanto il 14% sostiene l' accordo presentato dal primo ministro, che pur rimane con il 31% il politico più affidabile per realizzare la Brexit. Il 32%, invece, preferirebbe l' uscita senza accordo (lo scenario cosiddetto «no deal», quello che più spaventa i mercati, il governo britannico e pure l' Unione europea) e il restante 54% voterebbe per «No Brexit». È stata la stessa May a spiegare ai Comuni e in conferenza stampa che le possibilità sono queste tre. E il fatto che abbia parlato di «No Brexit» ha alimentato le speranze di chi, come i laburisti, spera in un nuovo referendum per dare ai cittadini l' ultima parola sull' accordo.

Sul futuro della Brexit continua a regnare l' incertezza, la stessa che ieri ha causato il pesante calo della sterlina e della banche inglesi. Dopo il vertice straordinario del 25 novembre è atteso il voto del Parlamento britannico (probabilmente il 6 dicembre). Se la May dovesse riuscire nel miracolo di trovare i voti sufficienti ai Comuni per far passare la sua Brexit, toccherebbe nel 2019 al Parlamento europeo votare l' intesa, poi al Consiglio europeo; nel caso in cui i Comuni bocciassero la proposta, il governo avrebbe 21 giorni per presentare un nuovo piano e l' iter ricomincerebbe da capo.

Se neppure questo passasse allora quattro ipotesi: uscita «no deal», nuovi negoziati, nuove elezioni generali o nuovo referendum. Un' ipotesi, quest' ultima, però scartata dal premier ieri sera.

2 – CHE COSA SUCCEDE SE NON C' È L' ACCORDO Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera”

1 Perché la Gran Bretagna rischia di uscire dalla Ue senza accordi? Londra ha invocato il 29 marzo del 2017 l' Articolo 50 dei Trattati europei, quello che disciplina l' uscita di un Paese dall' Unione. In base ai Trattati, due anni dopo il «lancio» dell' Articolo 50 un Paese è automaticamente fuori dalla Ue, con o senza accordi: ecco perché il 29 marzo del 2019 la Gran Bretagna si troverà in ogni caso fuori dalla Ue.

2 Cosa comporta l' uscita senza accordi? Se la Gran Bretagna arriva al 29 marzo senza aver approvato un accordo con Bruxelles, diventerà un «Paese terzo» che si rapporterà all' Unione sulla base delle regole del Wto, l' Organizzazione Mondiale del Commercio.

3 Questo che conseguenze avrà? Tutte le merci in entrata e in uscita dai porti britannici sarebbero sottoposte a ispezioni doganali. Attualmente un camion che arriva a Dover impiega due minuti per passare: il controllo di ciascun carico porterebbe al collasso le dogane (anche il porto di Calais non sarebbe in grado di far fronte alle nuove esigenze). Molte merci rimarrebbero bloccate alle frontiere. Londra sta già pensando di requisire le autostrade del Ken per trasformarle in un grande parcheggio

4 Quali sarebbero le ripercussioni in Irlanda? Un altro problema sorgerebbe fra l' Irlanda e l' Ulster, perché quella diventerebbe l' unica frontiera fisica tra il Regno Unito e la Ue: attualmente 30 mila persone al giorno attraversano quel confine, che è di fatto aperto.

Il ritorno a una frontiera rigida avrebbe serie ripercussioni, oltre che rinfocolare le tensioni politiche: non a caso l' Europa insiste nel dire che la Brexit non dovrà comportare la reintroduzione di una barriera fisica in Irlanda, in modo da salvaguardare gli accordi di pace raggiunti vent' anni fa.

5 Quali ripercussioni ci sarebbero sui cittadini europei che vivono in Gran Bretagna? L' uscita senza accordi farebbe venir meno gli impegni già presi sui diritti dei 3 milioni di cittadini europei, fra i quali 700 mila italiani. Londra ha assicurato che proteggerà unilateralmente i loro diritti, ma il loro status tornerebbe incerto.

Gli europei perderebbero il diritto di residenza permanente e non avrebbero più accesso automatico al sistema sanitario britannico. Alle frontiere ci sarebbero code per i controlli e potrebbe essere reintrodotto un sistema di visti. Potrebbero anche tornare in vigore le tariffe di roaming, abolite nella Ue, per le telefonate da e per la Gran Bretagna. Il governo ha tuttavia più volte assicurato che non intende «deportare» nessuno che sia già residente qui.

6 Quale sarebbe l' effetto sull' economia? In Gran Bretagna ci sarebbe un' impennata dei prezzi, anche a causa della probabile svalutazione della sterlina di almeno il 15 per cento. Dazi sul latte e i formaggi potrebbero toccare il 45 per cento, il prezzo della carne potrebbe salire del 37 per cento e quello di abbigliamento, scarpe, bevande e tabacco del 10 per cento.

I supermercati Sainsbury' s hanno avvertito di possibili ritardi nell' approvvigionamento e del rischio di scaffali vuoti a causa dei nuovi controlli doganali. Alla Gran Bretagna tutto ciò potrebbe costare la perdita di 800 mila posti di lavoro e di 6 punti percentuali del Prodotto interno lordo.

7 Quali sarebbero gli effetti sull' Italia? Il nostro Paese ha tutto da perdere da un no deal. L' Italia ha un saldo commerciale fortemente attivo con la Gran Bretagna, cioè esportiamo più di quanto importiamo: i dazi andrebbero a colpire soprattutto le nostre esportazioni. Il nostro commercio si basa in buona parte su piccole e medie aziende, che farebbero più fatica ad adeguarsi: ci sono aziende il cui unico mercato estero è quello britannico e che rischierebbero di chiudere.

8 Quali conseguenze ci sarebbero sui viaggi verso la Gran Bretagna? Dopo il marzo 2019 i voli tra Gran Bretagna ed Europa potrebbero restare a terra in caso di mancati accordi. Il traffico aereo è supervisionato dall' Agenzia europea per la sicurezza aerea: ma non ci sono regole equivalenti sulla base dell' Organizzazione mondiale del Commercio, nel cui quadro si ricadrebbe in caso di no deal.

Si parla di accordi di emergenza ad hoc, ma se non si colma questo vuoto giuridico in tempo, i voli potrebbero essere sospesi. Il tour operator Thomas Cook ha già cambiato la sua policy, avvertendo che non si assume responsabilità per ritardi e cancellazioni causati da «chiusure dello spazio aereo» dopo il marzo 2019. Presto le compagnie aeree potrebbero non garantire più le prenotazioni successive al marzo 20 19 .