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 2018  novembre 09 Venerdì calendario

Una donna pentita di essere mamma

Una donna pentita di essere mamma. Un dolore che cresce emorde l’anima e lei che giura «è vero e non son la sola.». Ecco il suo racconto. Quanti anni hai? «Ho 37 anni». E quanti figli? «Uno solo. Adesso ha 12 anni». Cosa hai provato appena l’hai tenuto in braccio… confusione, felicità o stordimento? «Inizialmente ero molto felice, la gravidanza l’avevo cercata e in un primo periodo nulla mi è sembrato strano». Perché ti definisci una madre pentita? «Mi sono pentita di aver gettato la mia vita dalla finestra. Non sono realizzata come donna e il ruolo di madre mi sta stretto. Il rapporto con mio figlio è come quello tra due conoscenti, diciamo un po’ superficiale. Ora che sta crescendo oltretutto ci sono i litigi tipici dell’adolescenza e quelli proprio faccio fatica a tollerarli». Significa che guardi tuo figlio e pensi: vorrei che non ci fosse? «Non la metterei proprio così. Non vorrei che sparisse, ma mi sento pentita di averlo cercato. Ero giovane e molti dei miei desideri e delle mieambizioni sono sfumate per questa mia scelta. Forse avrei dovuto aspettare qualche anno in più e magari realizzare prima me stessa e poi fare un figlio». Cosa provi per lui? «Voglio bene a mio figlio, però ogni volta che lo guardo non riesco a provare questo “amore assoluto” che sento celebrare da tutte le mie amiche. È come se non fossi madre al 100%». Cosa fate quando siete insieme? «Cose che fanno tutte le mamme: pizza, cinema, compiti... insomma cose quotidiane. Lo accompagno agli allenamenti e a scuola». Dimmi un bel momento con lui. «Il suo primo giorno di scuola. Ero contenta che stesse crescendo». E hai mai detto non ne posso più? «Non ne posso più me lo ripeto nella testa spesso,ma reprimoil desiderio di urlarlo in faccia a mio figlio perché so che ci starebbe male e che non sarebbe giusto». Cosa non sopporti dell’essere madre? «La responsabilità di un altro essere umano, i limiti che la condizione di madre mi impone. Ma la cosa che mi opprime di più è il non essere come le mamme “normali”, che venerano i loro figli e che darebbero la loro vita per loro». Cosa ha tolto alla tua vita? «La possibilità di essere donna, di sentirmi libera. Ovviamente non vivo segregata in casa e conduco un’esistenzacome tutti,ma adesempio non sono riuscita a realizzarmi professionalmente. Avendo un figlio non ho potuto accettare un lavoro che mi avrebbe portato a viaggiare (il mio sogno) e a fare carriera. Inoltre sono continui sacrifici economici perché crescere un figlio costa e “si deve” prima pensare a lui». Se lui non ci fosse dove saresti e cosa faresti? «Forse sarei ancora qui, ma con una motivazione diversa. A volte però mi domando se veramente sarebbero cambiate le cose o se mi sto solo nascondendo dietro alla scusa di mio figlio». Lo sgridi spesso o sei una madre affettuosa? «Lo sgrido come ogni madre, mi arrabbio quando non fa i compiti o nonmi obbedisce.Miinfastidisce soprattutto quando devo ripetere le stesse cose mille volte, ma lo fanno tutte le mamme e questo mi consola. Forse è la parte affettuosa che manca di più, non mi viene di abbracciarlo o di fargli le coccole». Gli hai mai urlato in faccia la tua rabbia? «Mai». Hai mai pensato che se sapesse questa cosa potrebbe sentirsi annientato? «Proprio per questo motivo non l’ho mai fatto e vado in terapia. Non voglio che questo mio problema abbia conseguenze negative su mio figlio». Hai mai confessato questo tuo sentimento a qualcuno? «No,lagente noncapisce.Miguarderebbero come una pazza e sarei additata come una persona orribile. Queste cose non si raccontanoa nessuno. Ho anche faticato ad aprirmi in terapia per paura di un giudizio, mentre sono stata contenta di averlo fatto perché quello èl’unicomomento in cui posso essere me stessa, senza finzioni e apparenze». Con tuo marito o il tuo compagno ne hai mai parlato? «Neanche per sogno». Pensi di essere tu sbagliata? O è la società ad essere troppo pressante conle donne? Insomma, tuttilì a chiederci di fare figli e se non li facciamo siamo donne a metà. «Prima attribuivo tutto la colpa a me stessa, per il fatto che non ero adeguata, ora capisco che il mio malessere di “madre” deriva da un malessere come donna. La società gioca un ruolo chiave. Se sei una donna devi diventare madre, è come se fosse una tappa obbligatoria. Le persone ti fanno sentire strana se non provi il desiderio di maternità». Pensi che un giorno questo sentimento cambierà e imparerai ad acccettare la maternità? «Con il tempo e la terapia ho fatto molti passi avanti. Non desidero più omologarmi al concetto di “madre normale”,ma voglioimparare ad essere madre come posso esserlo io, senza imposizioni esterne. Sto lavorando anche molto sul sentirmimegliocome donna e ho notato che in maniera parallela evolvo come madre. Le mie frustrazioni nonlefaccio ricadere sumiofiglio,maaccetto le nuove sfide e gli obiettivi che mi pongo». Sei stata una figlia amata? «Direi di sì, unafigliacon unafamiglia canonica. Mamma e papà che mi volevano bene,maforse,a distanza di tempo, mi sono resa conto che mi hanno un po’ spinto nelle mie decisioni. Forse, pensandoci, libera non mi sono sentita mai»