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 2018  novembre 09 Venerdì calendario

Per capire l’Italia di oggi tra 20 anni si analizzeranno talk e reality

Se chiedessi ai miei venticinque lettori un elenco dei programmi più brutti, saprei già la risposta: i reality beceri, i programmi di Barbara d’Urso, Mara Venier che canta «Maledetta primavera», la soap di Asia Argento, le chiambrettate, molte defilippiche, i talk urlati, la morbosità della cronaca nera…
È possibile definire un programma brutto, al di là dei gusti personali? Quasi impossibile, accontentiamoci di un’approssimazione, e non di «grandi codici».
Un programma è brutto quando la sua scrittura è priva di controllo (incapacità della conduzione, autori maldestri…) o quando è fatto apposta perché il programma perda il controllo. In una parola, può sembrare brutto quando è sfarinato, scombinato, approssimativo.
Ebbene, cari venticinque lettori, sappiate che fra vent’anni questi programmi saranno i più ambiti dagli storici, dagli studiosi che cercheranno di fare la radiografia di questi nostri giorni.
Fra i ricercatori più seri esiste infatti una regola fondamentale: per capire un certo periodo, usando come fonte la tv, sono molto più interessanti e ricche d’informazione le trasmissioni che cedono alla selvaggeria del tempo.
Le impronte d’autore, i format troppo rigidi, le impalcature estetiche, l’ipocrisia della «tv intelligente» sono griglie interpretative che fanno velo a una percezione più diretta. I programmi senza vergogna, slabbrati permettono invece un contatto più diretto con lo «spirito del tempo».
Fra vent’anni gli storici non faranno l’elogio di questa tv (nel frattempo si staranno già occupando delle storie di Instagram), ma spiegheranno l’Italia 2018 attraverso questa tv. Magari attraverso i social. A conferma del fatto che le scelte politiche non sono mai solo il meccanico riflesso di interessi economici, ma anche l’esito di riflussi simbolici ed emotivi.