«Kominsky ha la prostatite e deve andare sempre al bagno. Il suo urologo è niente meno che Danny De Vito: devo aggiungere altro?» dice ridendo il sempre cortese e schietto Douglas che incontriamo a Los Angeles. La serie, otto episodi scritti da Chuck Lorre ( The big bang theory), è prodotta dall’attore che vi interpreta Sandy Kominsky, vincitore di un Tony per il teatro e alla ricerca di un ruolo consistente. Nel frattempo insegna recitazione applicando il proprio metodo (quello del titolo). Ha un flirt con la sua studentessa Lisa (Nancy Travis). Norman (Arkin), suo agente e amico da sempre, ha perso l’adorata moglie e deve ritrovare la gioia di vivere.
Michael, torna in tv quasi 40 anni dopo. Cos’ha di speciale questo ruolo?
«Innanzitutto è frutto del genio di Chuck Lorre. Coi miei figli più piccoli seguo The big bang theory. Siamo suoi fan irriducibili. Quando mi è arrivata l’offerta ho pensato fosse giunto il momento giusto per una commedia, mi considero un discreto attore comico. Anzi, un comico frustrato!».
È un momento d’oro per i prodotti in streaming. O no?
«È vero, Netflix, Hulu, Amazon, HBO... Negli ultimi anni l’industria è cambiata con una rapidità da capogiro. È un momento favoloso per creativi e attori. Magari pagano di meno, ma le opportunità sono infinitamente superiori».
E il cinema com’è cambiato?
«Il genere di film che ho sempre fatto io era incentrato sul personaggio e non aveva effetti speciali: quelli non si fanno più a quanto pare. Ho fatto piccoli film indipendenti, girati per compensi minimi, con riprese faticose che uscivano nei cinema per una settimana e poi via in streaming.Voglio dire, è diventato via via più evidente che prodotti come Dietro i candelabri, il film di Soderbergh su Liberace, erano possibili solo su HBO, senza interruzioni pubblicitarie magari, ma sempre in tv».
Non è mai stanco?
«Ho energia, amo il lavoro, amo le sfide. Sento ancora l’entusiasmo, quando sono sul set. La tenacia non mi manca, sia come attore che come produttore».
In che consiste il “metodo” di cui si parla nella nuova serie?
«Temevo che me lo avrebbe chiesto! È la prima domanda che ho fatto a Chuck Lorre, e praticamente è un’imitazione e rielaborazione di un paio di diversi metodi, a cominciare da quello di Lee Strasberg».
Quanto è davvero vicino al mondo di Hollywood quello che si vede nella serie?
«Chuck mi ha detto che Norman, il personaggio dell’agente interpretato da Alan Arkin, è ispirato a un suo ex agente, che si chiamava proprio Norman. Certo, descriviamo e rappresentiamo quel mondo, ma senza esagerare. Le lezioni di recitazione ci sono e nel primo episodio Sandy, il mio personaggio, fa un discorso molto appassionato spiegando cosa rappresenti per lui la recitazione. E quando alla fine uno studente gli chiede “Come devo acconciarmi i capelli per uno spot pubblicitario che dovrò girare?”, a Sandy cadono le braccia».
Lei è cresciuto in una famiglia di attori, ma ha avuto un maestro di recitazione che l’ha ispirata?
«Sì, da giovane ci fu Wynn Handman, maestro di recitazione di New York molto rispettato. Il mio primogenito, Cameron, anche lui attore, quando è uscito di prigione si è rimesso a studiare recitazione proprio con Handman che, a 94 anni, è ancora su piazza, attivo più che mai, incredibile!».
Cosa la rende maggiormente fiero di suo padre?
«Il suo terzo atto, nella sua vita dico. È nato nella povertà più estrema, s’è fatto da solo, ha scalato ogni vetta, un immigrato ebreo con una storia di successo straordinaria. A 70 anni ebbe un brutto incidente in elicottero, ricordate? Morirono in due, lui miracolosamente sopravvisse, e cominciò a chiedersi perché fosse sopravvissuto, mentre l’apprendista pilota di 18 anni era morto? Ha ripreso lo studio del Talmud e del Vecchio Testamento con l’aiuto del suo rabbino e ha abbracciato una dimensione spirituale della sua esistenza che non aveva mai scoperto prima. Poi c’è stato l’ictus: ma continua a studiare , a scrivere poesie e a godersi la vita, un esempio bellissimo di una vita pienamente vissuta».
Cosa ha provato per la sua “stella”?
«Stavo lì e guardavo Kirk, che compirà gli anni il mese prossimo, c’era anche mia moglie Catherine. Ogni tanto si vivono momenti speciali. Questo è stato uno di quelli. Sono così fortunato: un bel matrimonio, i figli stanno bene, io godo di buona salute e guardo mio padre che ha 102 anni. Un momento molto commovente per lui, che accetta con difficoltà che io sia in questa industria già da 50 anni! Mi guardava come a dire: non è possibile che abbia un figlio che fa questo da 50 anni...».