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 2018  ottobre 10 Mercoledì calendario

Musk ha corso troppo, ascesa e caduta di Tesla

Uno sguardo alle quotazioni a Wall Street di Tesla nel corso degli ultimi sei mesi può provocare più vertigini di un otto volante. L’Economist sintetizza le oscillazioni del valore del titolo in un grafico dai picchi e dalle cadute di un grado così acuto da poter trovare ben pochi equivalenti. Lo pone a corredo di un commento della decisione della Sec, l’autorità di controllo della Borsa americana, che ha imposto allo spericolato fondatore della Tesla, Elon Musk, di lasciare la presidenza della società, pur mantenendone la guida operativa come amministratore delegato.
La causa per cui a Musk è stato comminato un provvedimento così insolito è nota: in uno dei suoi tweet, il 7 agosto, aveva preannunciato un’operazione di delisting. Tesla si sarebbe ritirata da Wall Street perché aveva trovato un investitore privato (si lasciava intendere che fosse un grande fondo sovrano arabo) disposto a rilevare le sue quote a 420 dollari per azione. Peccato che non ci fosse nulla di solido, se non qualche contatto ben lontano dal concretizzarsi. Così la Sec ha avviato un provvedimento per turbativa del mercato, che si è conclusa con la sanzione oltre che con una multa alla società.
Perché Musk, di cui tutti conoscono le crescenti stranezze, ha compiuto un gesto così strampalato? Su di lui e sul suo carattere impossibile si è scritto di tutto negli ultimi anni: che è una persona dai comportamenti imprevedibili e dalla psicologia contraddistinta da un disturbo autistico, geniale nelle sue visioni, capaci di convincere gli investitori pure quando sconfinano nella fantascienza ma poi difficili a tradursi in realtà. Che rende la vita impossibile a chi lavora con lui perché pretende che ci si adegui ai suoi ritmi forsennati. Che non sa dominarsi, come dimostrano i suoi infiniti tweet, in cui non si trattiene dall’insultare e dal ridicolizzare coloro che di volta in volta ravvisa come i suoi avversari. Tutti elementi che sono ben ricostruiti e tratteggiati nella biografia che gli ha dedicato un giovane e brillante giornalista economico, Ashley Vance (Elon Musk. Tesla, SpaceX e la sfida per un futuro fantastico, Hoepli), naturalmente disconosciuta dal biografato, nonostante dal libro escano le sue componenti di genialità. L’estate scorsa, tuttavia, Musk ha superato ogni limite, procurando dei danni a sé e a Tesla, le cui azioni sono precipitate verso i 250 dollari.
La ragione di questa caduta così rapida, che vedremo se sarà o no recuperabile nel futuro, dipende dall’ultima e più ambiziosa sfida che Musk ha posto dinanzi a sé. Si era posto come obiettivo per il 2018 quello di realizzare una produzione ben più massiccia dell’ultima delle sue vetture, la Tesla Model 3, destinata a un pubblico più ampio e con un prezzo più accessibile rispetto alle vetture precedenti. Quella, per intendersi, che può essere sedotta da un’auto che sia di fatto un computer con le ruote, che si monitori da sola e aggiorni da sé il proprio software. Per vincere la sfida, Musk aveva ipotizzato di costruire circa mezzo milione di nuove Tesla all’anno, per le quali aveva raccolto le prenotazioni prima di metterle in produzione.
Da quel momento, come ha riconosciuto lui stesso, è incominciato il suo inferno, per l’impossibilità o l’incapacità di rispettare programmi produttivi, tempi e scadenze. Il visionario Musk aveva progettato una linea di lavorazione fortemente automatizzata, ma ha scoperto che quella della fabbrica senza persone è un’utopia pericolosa. Nel senso che durante il processo lavorativo si rendono necessari continui interventi di aggiustamento che ad oggi le tecnologie non sanno compiere in automatico. Per rimediare al caos organizzativo che ne è derivato, Musk non ha trovato di meglio che allestire, accanto alla linea automatica, una seconda linea di produzione più tradizionale, con una più rilevante incidenza del lavoro, sotto una specie di tendone. Lì ha lavorato ininterrottamente per giorni e notti, spesso senza allontanarsi, non già per riposare (si inibiva il riposo in quelle condizioni), ma anche solo per cambiarsi. Per tutti lavorare 60 ore e più alla settimana diventava normale. Alla fine, in parte ce l’ha fatta, ma a che prezzo? Al prezzo di una nevrosi che si è manifestata attraverso messaggi sempre più sprezzanti verso coloro che considerava i suoi detrattori.
Dev’essere stato a questo punto che a Musk è venuta in mente l’idea che il suo avversario autentico era il short-termism, cioè l’atteggiamento tipico della Borsa, che vuole trarre il massimo guadagno nel più breve tempo possibile. Lui, che aveva sempre saputo persuadere gli investitori con la grandezza dei suoi progetti, si scontrava adesso con la diffidenza per il possibile venir meno di risultati a breve. Di qui la rapida disaffezione verso il mondo borsistico, che fino a ieri lo aveva premiato così generosamente, permettendogli di raccogliere un capitale superiore, almeno per un po’ di tempo, a quello di colossi storici dell’automobile come General Motors e Ford. Ecco allora la suggestione di abbandonare Wall Street e trovare finanziatori di lungo termine, disposti a sposare i piani di Tesla, che hanno bisogno di periodi più lunghi di quelli previsti. Spinto dall’urgenza che lo divorava, Musk ha fatto la mossa più avventata di sempre, annunciando di aver trovato un investitore di lungo termine che non c’era.
Forse la corsa di Musk è finita. O forse, come osserva l’Economist, ha bisogno di reperire un manager cui affidarsi, capace di sviluppare quell’organizzazione produttiva e commerciale che finora è mancata a Tesla. Lo si vedrà fin dai prossimi mesi. Pur coi suoi toni esasperati e strumentali, Musk ha individuato un limite profondo dell’odierno capitalismo di Borsa, quello di non essere adatto a investire nei progetti tecnologici a lungo termine, quando le scadenze si fanno più complicate e incerte.