«Trasportare materia dal punto A al punto B senza dover attraversare lo spazio intermedio non è fantascienza, è routine».
In che senso?
«In senso quantistico. Esiste un effetto, il “tunnel quantistico”, che consente agli elettroni di saltare tra due punti superando le barriere di potenziale: come se si lanciasse una pallina da tennis contro un muro per poi vederla sparire e riapparire oltre il muro. È ciò che tiene acceso il Sole: gli atomi di idrogeno riescono a fondersi insieme proprio creando dei tunnel quantistici attraverso un campo di forza che li separa in un modo altrimenti impenetrabile».
Come si potrebbe ottenere un teletrasporto più vicino a quello che tutti immaginano?
«Grazie a quella che Einstein chiamava “inquietante azione a distanza”. Due particelle separate nello spazio possono avere una correlazione tra loro che fa sì che qualsiasi intervento compiuto su una di esse influenzi a distanza la compagna, qualsiasi sia la distanza che le separa. È il fenomeno chiamato entanglement (correlazione quantistica). Immaginiamo di avere due particelle legate da entanglement in due scatole, una sulla Terra e una sulla Luna. Se nella scatola sulla Terra inserisco un fotone, ovvero l’oggetto che voglio teletrasportare, mi basta una misurazione delle due particelle che ho nella scatola per avere tutte le informazioni che mi servono a ricostruire esattamente quel fotone sulla Luna. Nel 2017 un gruppo di scienziati cinesi ha teletrasportato in questo modo un fotone dal Tibet a un satellite lontano 1400 km. Ciò che si trasmette non è materia, ma informazione. Ma a livelloquantistico trasmettere a distanza tutte le informazioni su una particella equivale a trasferire la particella stessa».
E per teletrasportare un essere umano?
«Dovremmo spostare con l’entanglement 7 quadriliardi di atomi, tutti arrangiati in una maniera specifica. Un compito di difficoltà estrema. Ma finché non viola le leggi della fisica, dovremmo avere il coraggio e l’immaginazione di ritenerlo fattibile. D’altronde gli smartphone e gli androidi di oggi tre secoli fa sarebbero sembrati magia. Fra trecento anni ciò che oggi sembra magia apparirà scontato».
Una forma di trasporto altrettanto futuristica e lontana nel tempo, ma più concreta è il viaggio interstellare. Cosa lo renderà possibile?
«La stella più vicina, Proxima Centauri, è a 4,2 anni luce da noi. La distanza è tale che ci servirebbe una navicella che viaggi ad almeno una frazione della velocità della luce. Potremmo spingerla con un motore ad antimateria: far collidere materia e antimateria è il modo migliore per produrre le grandi energie necessarie. O in alternativa inviare delle nano- navicelle spinte da vele fotoniche, spinte da raggi laser sparati dalla Terra oppure dal vento solare».
Sembrano problemi assai complessi. Cosa ci potrebbe aiutare a superarli?
«Magari il computer quantistico, che potremmo avere nei prossimi 10-20 anni: invece di seguire una sola linea di ragionamento, può seguirne molte simultaneamente. Questo permetterà ai computer quantistici di risolvere problemi che oggi al più veloce computer richiederebbero miliardi di anni».
Dove metteremo tutti i dati generati da questi calcoli, oltre a quelli che produciamo oggi in enormi quantità?
«Potremmo scrivere e conservare i dati nel Dna, che rimarrà sempre leggibile finché esiste vita sulla Terra, e quindi non presenta il rischio di un “Medioevo digitale”, la perdita di informazioni legata all’obsolescenza degli standard e dei supporti digitali di oggi. È una forma di memoria compattissima: l’intero nostro genoma è conservato nel nucleo di una cellula, che misura poco più di 2 millesimi di millimetro. Il trucco è utilizzare un codice binario come quello dell’informatica, ma tradurlo nell’informazione quaternaria del Dna: rimpiazziamo gli “0” e “1” con le quattro basi del Dna “A”, “C”, “G”, “T”. In questo modo, di recente, sono stati archiviati nel Dna file di testo e audio: tutti i sonetti di Shakespeare e 26 secondi del discorso “I have a dream” di Martin Luther King».