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 2018  settembre 17 Lunedì calendario

Luca Barbareschi: «Io, un guascone come Cyrano. Nella vita ho fatto tanti errori»

La cosa che gli fa più paura è non avere più l’energia di un tempo: «Pur avendo l’entusiasmo di un quindicenne, comincio ad accusare un po’ di stanchezza», ammette Luca Barbareschi (classe 1956) alla sua quarta stagione da direttore del Teatro Eliseo, nonostante le polemiche suscitate l’anno scorso da quello che fu definito dai competitor un «emendamento ad personam» che gli assegnava il doppio di finanziamenti pubblici. «Sono un combattente, però quando penso ai miei figli piccoli, capisco di essere stato un arrogante».
In che senso?
«Li ho generati non essendo più giovane. E quando dico a Maddalena (8 anni) che sono un po’ stanco, mi guarda con le lacrime agli occhi dicendo “tu non sei vecchio”. Lo stesso accade con Francesco Saverio (6 anni). Il problema è che noi uomini ci sentiamo degli eterni Peter Pan, senza renderci conto che intorno crolla tutto».
Perché ha scelto il «Cyrano de Bergerac» di Rostand per inaugurare la stagione il 30 ottobre?
«Quest’anno festeggiamo il centenario dell’Eliseo, il 2018 è un anno molto speciale in tutti i sensi. E non a caso ho scelto di impersonare il celebre spadaccino».
Qual è il nesso?
«Il Cyrano è un personaggio simbolico: uno spirito libero, un poeta che espone nel bel mezzo della faccia un naso che di almeno un quarto d’ora sempre lo precede. Ma è soprattutto la storia di una guasconeria, adatta a un palcoscenico importante come l’Eliseo e in generale al teatro. Cosa siamo, infatti, noi attori se non degli incorreggibili guasconi?».
Quali sono i «guasconi», transitati nella storia dell’Eliseo, che ricorda con affetto? 
«Vittorio Gassman: quarant’anni fa mi disse che, se avessi avuto pazienza e non fossi morto prima, sarei diventato un grande attore dopo i 60 anni, perché prima non me lo avrebbero perdonato, secondo lui avevo troppi scomodi e fastidiosi pregi. Paolo Stoppa: quando avevo 20 anni mi suggerì di comprare un teatro, perché avevo il piglio da imprenditore e dovevo fare come Gioachino Rossini che possedeva teatri. Gabriele Lavia, con cui avrei dovuto recitare nel Tito Andronico, mi scartò, dicendo che ero fisicamente sproporzionato per l’arco scenico dell’Eliseo: ci rimasi male ma gli sono grato perché mi dette l’impulso di mandarlo al diavolo, di lanciarmi nella mia prima regia e la mia carriera è decollata».
Di persone che ha mandato al diavolo ne ha un lungo elenco.
«Se per questo anche quelle cui ho rotto il naso: di sbagli ne ho commessi tanti. Troppe volte ho alzato i toni».
Per esempio?
«Bè, quando ancora ero impegnato in politica, ebbi il torto di fare anche uno spettacolo in tv, “Barbareschi Sciock”. Errore madornale: non si può fare il politico e l’attore, avere una carica pubblica e fare il fool. Il guaio è che sono un insicuro».
Non si direbbe.
«Certo, perché in questo periodo di caccia alle streghe ho difeso e produco un film di Fausto Brizzi e uno di Roman Polanski: sono amico di entrambi, accusati in epoche diverse di molestie. Il primo, Modalità aereo racconta la redenzione di un uomo che cambia la sua vita; il secondo, J’accuse è sull’Affaire Dreyfus, che costò la galera a un innocente, Émile Zola». 
Cosa teme maggiormente? 
«Che la morte arrivi in un momento in cui ho ancora tante cose da capire e sogni da realizzare».