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 2018  settembre 17 Lunedì calendario

Rosella Postorino: «Ho vinto il Campiello grazie alle donne lettrici»

Doppietta femminile nell’era del #Metoo e nell’anno del Nobel saltato a causa degli scandali sessuali. Rosella Postorino con Le assaggiatrici (Feltrinelli) stravince l’edizione numero 56 del Premio Campiello prendendo da sola più voti degli altri quattro finalisti messi insieme (167 preferenze sulle 278 espresse dalla giuria popolare). L’altra finalista favorita — il premio Strega 2018 Helena Janeczek — arriva terza. Trionfa la letteratura fatta da donne, che parla di donne, basata su storie vere. Le assaggiatrici dei pasti di Hitler per evitare che fosse avvelenato, evocate nel romanzo di Postorino, sono esistite realmente, così come la "ragazza con la Leica" di Janeczek.

Postorino, l’editoria italiana sta diventando femminista?
«I lettori italiani sono per la maggior parte lettrici e non hanno pregiudizi. Non distinguono gli scrittori in base al sesso. Se gli uomini non leggono autrici, le donne leggono di tutto, dai gialli ai romanzi mainstream, dai saggi ai testi più letterari senza discriminazioni di genere, il che ha permesso a molte scrittrici di essere più lette. Sta emergendo uno sguardo femminile capace di raccontare il contemporaneo in modo più interessante, più acuto».
Il suo è un romanzo sul potere. Qual è il rapporto tra scrittura e potere?
«Si può esercitare il potere in tanti modi: in una relazione amorosa, tra genitori e figli, prelevando donne e portandole nel rifugio di Hitler. E anche attraverso la scrittura. Io però non mi sono mai percepita come una persona di potere. L’unico potere che mi interessa è quello della letteratura, che ci fa scoprire cose di noi e del mondo».
La Storia sarebbe stata diversa se le assaggiatrici si fossero rifiutate di assaggiare?
«L’umanità non è composta solo da eroi. Non si può colpevolizzare chi accetta il compromesso, perché a volte è costretto a farlo. Il "sistema" non ha dato scelta. In condizioni estreme è facile anche per la vittima scivolare nella colpa. Non possiamo pensare che tutti dicano no e neanche tornare indietro».
Lei cosa avrebbe fatto al loro posto?
«È la domanda centrale del libro: sarei stata partigiana o avrei preso la tessera fascista perché era più comodo? Come diceva Primo Levi, puoi sapere come ti comporteresti in certe situazioni solo quando ci sei dentro. L’assaggiatrice a cui mi sono ispirata, sopravvissuta alla mensa forzata dei nazisti, è stata stuprata per quattordici giorni dai russi a Berlino ed è diventata sterile. Ha adottato un ragazzo e lui si è suicidato, ma fino alla sua morte, avvenuta a 96 anni, pochi giorni prima che riuscissi a incontrarla, si è aggrappataall’istinto di sopravvivenza e ha lottato per vivere».
Potrebbe succedere ancora?
«Quello che è accaduto agli ebrei non è diverso dalla situazione dei migranti. Ne parliamo come se fossero una massa indistinta. Finché non recupereremo il valore di ogni singola vita, saremo in pericolo».
Cosa rappresenta il cibo?
«Il cibo è qualcosa di piacevole, che può fare male. Dobbiamo assaggiare il mondo per vivere, sapendo che potrebbe ucciderci».
Cinqantamila copie vendute, ristampa da 30mila, venti traduzioni all’estero e la cessione dei diritti per farne un film: continuerà a fare la editor, oltre che la scrittrice?
«Per questo romanzo ho usato le ferie, scrivendo dalle 7 di mattina all’una di notte. Ogni tanto pensavo a chi non deve fare questi sacrifici, ma il mestiere dell’editor mi piace ancora molto. Fin da bambina sento il bisogno di scrivere, ma quando lavoro sui testi degli altri mi metto al loro servizio».
Come cambierà la sua vita?
«Sono figlia di due fruttivendoli calabresi, emigrati in Liguria, con pochi libri in casa. Non era scritto nel mio destino che facessi parte del mondo delle lettere. Con quest’avventura ho capito che se desideri fortemente una cosa e ti impegni, la ottieni. Mi concederò di provare un po’ di fierezza».
Il Campiello, nell’anno in cui ha compiuto quarant’anni: come ha festeggiato?
«Ho dedicato il premio al mio compagno. Non si è mai lamentato del tempo che sottraggo a noi per scrivere. Sabato a Venezia, quando si sono spenti i riflettori, abbiamo fatto una passeggiata da soli, di notte, nella città deserta. Ci siamo seduti di fronte al mare e gli ho detto: "Siamo felici"».