Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  settembre 17 Lunedì calendario

Antonio Scurati: «Il mio Mussolini è un uomo vuoto»

Si chiama M. il figlio del secolo, il primo romanzo dei tre previsti da Antonio Scurati sulla storia del ventennio fascista, dalla fondazione dei fasci al tragico epilogo di piazzale Loreto. Al centro lui, Benito Mussolini, ex leader socialista cacciato dal partito, agitatore politico indefesso, direttore di un piccolo giornale di opposizione la cui parabola politica umana esistenziale è raccontata con le stesse sue parole e i suoi gesti, «nulla è inventato di quanto fa o pronunzia». E, accanto decine di personaggi grandi, piccoli, o semplici comparse, D’Annunzio, Marinetti, Margherita Sarfatti, Bombacci, Rossi, Farinacci, Arpinati «amici fidati diventati nemici, nemici diventati amici zelanti, intrecci di vite più o meno oscuri». 
La prima, forte, impressione di lettura è un precipitare lento e inesorabile dentro la frenetica polifonia di voci, destini, violenze, illusioni, furori, tradimenti, colpi di scena. Ogni voce, ogni destino, ogni illusione, ogni furore compone in libertà il quadro, ma poi ne resta imprigionato, soffocato, diretto, come se tutto fosse già deciso, vincolato in partenza e ogni volta singolarmente rimesso in discussione. Un sentimento di libertà dalla costrizione del già scritto, del già letto, del già interpretato che, con l’intelaiatura narrativa scandita da un mosaico di brevi capitoli in progressione cronologico-diaristica, con un luogo e una data di riferimento, Scurati sembra inseguire in maniera determinata. Raccontare ancora Mussolini dopo tutto ciò che sappiamo, saggi film immagini romanzi biografie: chiedo a Scurati la cosa più inattesa, sorprendente sconvolgente che gli sia capitato di raccontare di lui in questo primo tomo. 
«Io credo che il Mussolini raccontato in M suoni inaudito perché per la prima volta si osa farne il protagonista di un romanzo. Fino a ieri l’ipoteca della pregiudiziale ideologica o della lotta politica era troppo alta perché si potesse osare la pericolosa libertà della verità letteraria. E la scoperta più sorprendente è che non si tratta di un ideologo pieno della propria dottrina ma di un uomo cavo, privo di idee, convinzioni, fede e, dunque, pronto a tutto. Niente che non ci sia lì nei testi, voci e testimonianze citate usate e interpretate». 
Ci sarà pure uno scarto, una fonte magari immaginata, ipotizzata, supposta, vagheggiata di cui si è servito in cui l’immaginazione ha forzato la totale adesione filologica?
«L’immaginazione per il romanziere è tutto. Salvo che questa è un nuovo tipo di immaginazione, che viene dal di fuori, dalla base documentale, non dal di dentro dell’interiorità dell’autore. E proprio per questo entra in risonanza con il personaggio Mussolini e parla con la sua voce. Lo scarto è in ogni pagina. Nel tono del racconto, nella messa in scena romanzesca, nelle scelte di regia».
I testi e le citazioni che integrano ogni singolo capitolo sembrano quasi esche disseminate per guidare il racconto, certificarne il senso, ancorarlo a qualche certezza in più?
«Senz’altro. Ma tessono anche una narrazione secondaria, complanare. In cui si scopre, con commozione, la cecità degli uomini rispetto alla loro stessa vita quando vi sono immersi. Le citazioni testimoniano che i contemporanei spesso non capivano niente di quanto stava loro accadendo».
Una prima immagine. Mussolini fonda i fasci, lui lo sbandato per eccellenza, lo sperduto alla ricerca di una strada dice: «Inizia l’epoca della politica delle masse e noi qua dentro siamo in meno di cento». Non è la prefigurazione di un destino, tutto il resto non sarà che un inevitabile intreccio di racconto, un precipitare nel racconto attraverso cui si alimenta l’intera storia?
«Una delle cose più affascinanti di questa incredibile vicenda è che, a ogni svolta della storia, le cose sarebbero potute andare diversamente. Studiando i fatti storici, spesso mi sono detto: No, è incredibile, non può essere andata a finire come sappiamo. Spero di esser riuscito a restituire questo mio stupore».
Tutto reinventato, raccontato per essere davvero vero. Ma dov’è la reinvenzione romanzesca quando Mussolini, con le ghette sfilate da cui emana il cattivo odore dei piedi, all’indomani della marcia su Roma dice abbiamo fatto una rivoluzione unica al mondo?
«La reinvenzione consiste nella scelta di raccontare il senso ultimo della marcia su Roma nel vissuto dei fascisti attraverso quel particolare, quel momento intimo e quasi comico, quella vanteria e quella puzza di piedi».
Altra immagine: Mussolini spiato dal cameriere Navarra nei giorni del dopo Matteotti. Sulla poltrona «come un metronomo arrugginito che batte il tempo della propria fine». Non rischia di farne una sorta di eroe con «gli attimi di feroce criminalità» impigliato nel suo destino cui si ribella con ogni forza?
«Se per eroe intende, in senso tecnico, il protagonista di una narrazione letteraria, indubbiamente sì. Se per eroe intende invece, nel senso comune, una personalità da ammirare, assolutamente no. Sono certo che, alla fine della lettura, proprio perché il personaggio e la vicenda è sono stati raccontati integralmente, la condanna morale e politica del fascismo giunga rafforzata e definitiva. Alla fine, però, non all’inizio».
Con il punto di vista delle vittime, la narrazione antifascista cancella il punto di vista umano, politico, ideologico dei protagonisti della violenza fascista. Ma il diverso punto di vista non rischia di fare d’ogni erba un fascio, creando una narrazione in cui le luci e le ombre non si distinguono più? 
«Al contrario. Solo narrando anche i carnefici si restituiscono luci ed ombre evitando il bianco o nero. Io narro dal di dentro della visione fascista ma questo non significa affatto aderire al loro punto di vista. E poi si narra anche la vittima per antonomasia: Giacomo Matteotti».
Cosa diventa l’antifascismo dopo questa lettura? Una lente da porre accanto ad un’altra?
«Assolutamente no. Io rifiuto come aberrante il revisionismo ideologico e anche l’idea della memoria condivisa che ritiene equipollenti le narrazioni fasciste e quelle antifasciste. Il punto è un altro: fino a oggi non si è potuto raccontare in letteratura il fascismo perché la pregiudiziale antifascista lo proibiva. Oggi quella pregiudiziale è caduta per ragioni storiche. E dunque, da antifascista, ritengo che l’antifascismo vada rifondato su nuove basi. Il mio intento è di dare il mio piccolo contributo a questa rifondazione».