La Stampa, 14 settembre 2018
La smodata voracità dell’ifantria
Uno spettro s’aggira un po’ dappertutto in Italia e purtroppo anche qui in Piemonte, facendo di colpo calare l’inverno. Ve ne sarete accorti, l’effetto è surreale, inquietante e purtroppo su larghissima scala: alberi completamente spogli, all’apparenza secchi e quasi morti, come se un colpo di calore li avesse d’improvviso bruciati. L’estate è stata dura, ma non fino a questo punto: sono invece le conseguenze nefaste di una vera invasione, quella di un lepidottero nordamericano che di nome fa Hyphantria cunea.
Non è una novità per l’Italia, anzi è da quasi quarant’anni che impazza per tutta la Pianura Padana e da oltre venti qui in Piemonte, con picchi e regressioni così ballerini da non lasciar spazio a facili speranze e utopiche illusioni. Tanto più dopo l’agosto passato, in cui ha colpito con un’ingordigia senza pari: lungo la strada da Torino a Revello non c’è testa di salice o di gelso che abbia retto, né filare di pioppi o qualche solitario acero negundo. La polifagia di cui parlano gli esperti corrisponde davvero a una smodata voracità: noci e tigli sono qui le ulteriori vittime, seguite da platani e ciliegi, biancospini, frassini ed ontani, viti e meli.
Ho chiesto delucidazioni alla sempre preparatissima Maria Teresa Della Beffa, che l’entomologia ce l’ha nel sangue, e la diagnosi è stata presto fatta. Infausta sì, ma meno di quel che pensassi... Innanzitutto l’ifantria non è letale: gli alberi sono ridotti a poco più di uno scheletro, ma non muoiono. Bando perciò alla furia abbattitrice, benché non siano da sottovalutare i danni che sul lungo periodo le continue defogliazioni procurano. Fotosintesi troncate prima del tempo e faticosi tentativi di ricacci proprio quando la pianta è stremata da caldi e siccità finiscono con l’indebolirla, diminuendone la resistenza alle gelate invernali e il vigore del successivo risveglio.
È poi doveroso rassicurare circa la pericolosità delle larve: per quanto simili a quelle della processionaria queste non sono urticanti. Distinguerle è facile, benché tutte costruiscano i loro nidi sericei e ragnatelosi alla sommità delle fronde (il nome deriva d’altronde dal greco, ifantria, tessitrice). Le larve dell’ifantria sono anch’esse nere, ma con setole ben più lunghe e bianche, e non attaccano né le conifere né (almeno di solito) le querce. Inoltre quelle della processionaria si vedono per lo più in primavera e non d’estate.
Ricapitolare brevemente il concitato ciclo dell’ifantria può essere utile, sapendo che di norma qui riescono ad esserci anche tre generazioni l’anno, l’ultima delle quali è di gran lunga la più invadente. Tutto ha inizio verso la fine di aprile: dalle crisalidi infrattate nella corteccia o nel terreno ai piedi della pianta si alzano in volo, solitamente nelle ore crepuscolari, (apparentemente innocue) farfalline bianche (o bianche puntate di scuro). Non perdono tempo: immediatamente si accoppiano e depongono le uova sulla pagina inferiore delle foglie. Nascono le larve e subito si aggregano nei su citati nidi, veri bozzoli con cui circoscrivono via via il fogliame da divorare. Il loro è un attacco ancora limitato e non così totale: almeno le nervature delle foglie rimangono lì tristi a penzolare. Le generazioni successive non lasceranno neanche più quelle... Le larve sfarfallano e riinizia il tran tran, una volta e poi un’altra ancora: verso la metà di agosto migliaia di larve si riversano sul fogliame rimasto devastandolo completamente, per poi incrisalidarsi nei citati anfratti e superare così l’inverno.
Di certo rimuovere uno ad uno i nidi di prima generazione e poi bruciarli diventa fondamentale per limitare l’invasione successiva. E trattamenti ripetuti dell’ormai celebre bacillo thuringiensis sulle larve sempre di prima generazione pare l’intervento più appropriato. Alcuni consigliano di coprire di paglia il piede dell’albero o ripiegare del cartone alla base del tronco: si spera che le larve li reputino rifugi adeguati per l’inverno, senza sospettare novelle Giovanna d’Arco il rogo imminente.
In ogni caso pulire il sottobosco e smuovere la terra superficiale aiuta, perché espone le crisalidi ai freddi invernali e agli appetiti di uccelli & C. Tutto ciò che quindi favorisce la piccola fauna selvatica, in primis bandire gli insetticidi, va nella direzione auspicata. Gli esperti sostengono poi che le foglie reagiscano a prolungate invasioni, producendo particolari sostanze che rovinano la digestione dell’ifantria. A dimostrarci che in fondo, se non la ostacolassimo continuamente, la natura saprebbe reagire molto meglio di noi...