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 2018  settembre 13 Giovedì calendario

Il calciatore picchia duro, il giudice di più

Alla faccia del fairplay, e di quella piccola scritta che compare sulle maglie dei calciatori e dice “respect”, rispetto, su un campo di pallone di terza categoria si è scritta una pagina nerissima per lo sport, e ora una sentenza penale la mette per così dire in chiaro: quattro anni di galera a un giocatore che ha spezzato la caviglia a un avversario. Probabilmente è record del mondo. Chi l’ha detto che il calcio italiano non stabilisce più primati? Il fattaccio risale al 26 settembre 2012. A Castiglione della Pescaia si gioca per la coppa provinciale di terza categoria, di fronte il Punta Ala e il Massa Marittima.
È una sfida truce. Già nel primo tempo un atleta finisce al pronto soccorso e allo scadere del secondo Michele Guidi, oggi 32 anni, insegue per metà campo Luca Ronca, 31 anni, capitano del Punta Ala. Tenta di colpirlo una prima volta ma lo manca, poi come un ossesso ci riprova e stavolta lo prende in pieno: entrata da dietro con entrambi i piedi, frattura bimalleolare alla caviglia sinistra, due interventi chirurgici, un anno d’inferno, sei mesi di università persi, addio per sempre al calcio.
Poi la denuncia penale, l’attesa di scuse mai arrivate («Neppure una telefonata»), il processo e la sentenza. Durissima ma non immotivata, dal momento che il colpevole era recidivo: quand’era juniores, Michele Guidi aveva infatti già rotto la gamba a un avversario. Prima condanna a quattro mesi per lesioni, e ora quattro sono diventati gli anni con in più 10 mila euro di multa e un risarcimento da definire in sede civile.
Può sembrare spropositato, visto che in Italia per farsi condannare a 4 anni bisogna impegnarsi parecchio, ma forse c’è bisogno che ogni tanto un giudice chiarisca che lo sport cosiddetto minore, lontano da riflettori e telecamere non è una terra senza legge. Sui campetti di provincia è tutta una catena di episodi razzisti, risse vergognose, caccia agli arbitri, istigazioni a delinquere (genitori che urlano ai propri figli di spaccare le ossa) tanto, si sa, il calcio non è uno sport per signorine (lo è eccome, invece: le nostre atlete sono molto più brave e vincenti dei maschi, ormai).
Su quei campi spelacchiati si aggirano a volte autentici killer, spesso residuati sportivi di carriere mai nate, gente frustrata che sfoga con la violenza i propri malesseri esistenziali. C’è un senso di impunità e perdonismo che va stroncato. Ottimo, se per una volta a picchiare duro non è il terzino ma il giudice.