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 2018  settembre 12 Mercoledì calendario

Roosevelt e la fortuna di sopravvivere

Il 19 settembre 1918, un secolo, «il transatlantico Leviathan getta l’ancora nel porto di New York: riporta in patria migliaia di reduci della guerra europea. In attesa sulla banchina, tra lo sventolio di bandiere e fazzoletti, un cordone di ambulanze, medici e infermieri. Durante la traversata da Brest, l’epidemia ha decimato la truppa, e molti ufficiali e soldati sono stati sepolti nelle acque dell’oceano».
Così il giornalista e scrittore Riccardo Chiaberge racconta nel suo «1918. La grande epidemia» l’arrivo a New York di uno dei tanti atlantici stracarichi di ammalati di «Spagnola». L’influenza che in pochi mesi «farà ben più vittime della guerra: cinquanta, se non cento milioni di morti, contro i forse tredici milioni, tra militari e civili, rimasti uccisi nel conflitto. La tecnologia moderna non è stata capace di inventare armi di distruzione di massa così potenti, anche se navi e treni, col rapido spostamento di enormi masse umane, hanno accelerato la diffusione del virus. La peste nera del Trecento, che pure aveva spazzato via un terzo della popolazione europea, si era fermata a quota venticinque milioni. E non aveva agito con lo stesso, sadico tempismo, dopo quattro anni di carneficine, nel preciso momento in cui l’umanità stremata tirava il fiato, illudendosi di essere fuori pericolo e di poter godere finalmente i frutti della pace. Un feroce colpo di coda del destino. Una strage dopo la strage. L’apocalisse ai tempi supplementari».
C’era a bordo di quella nave, da viceministro della Marina, quello che sarebbe diventato il più grande dei presidenti americani, Franklin Delano Roosevelt. L’unico nella storia a venire eletto quattro volte. Aveva trentasei anni e aveva trascorso gli ultimi giorni «nella sua cuccetta, in stato di semincoscienza, con una polmonite doppia che gli toglieva il respiro».
Se la cavò, per fortuna. Per fortuna degli americani che aiutò a tirarsi fuori dai guai dopo la Grande Crisi del ’29. E per fortuna dei nostri nonni. Fu lui infatti a svelenire un clima sempre più ostile e razzista nei confronti degli immigrati. Soprattutto italiani. Considerati «mezzi neri» perfino in certe assurde sentenze giudiziarie come quella del 1922 «Rollins vs Alabama». Ma c’è ancora chi ha voglia di ricordare?