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 2018  settembre 12 Mercoledì calendario

Al Qaeda sempre più forte

Subito dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 gli Stati Uniti promettono la distruzione di Al-Qaeda. «Smantelleremo i loro finanziamenti, li metteremo gli uni contro gli altri, daremo loro la caccia senza tregua sino a quando non avranno più un posto sicuro dove rifugiarsi», disse l’allora presidente George W. Bush. Oggi, 17 anni dopo, Al-Qaeda non solo ha recuperato forza dopo il colpo inferto con l’eliminazione di Osama bin Laden, ma sembra più forte di prima. Gli osservatori più critici ritengono che le politiche americane in Medio Oriente abbiano incoraggiato il ritorno in scena di Al-Qaeda e dei suoi «franchise», ovvero dei gruppi che operano sotto il grande ombrello de La Base. Una sorta di rinascita consolidata in questi ultimi due anni, dall’inizio della fine del califfato di Abu Baku al Baghdadi, che con lo Stato islamico ha monopolizzato la galassia terroristica per poco meno di un lustro. «Quello che gli Usa non hanno compreso è che al Qaeda è molto di più di un gruppo di individui – ha spiegato Rita Katz, direttore di Site Intelligence Group, in una intervista al Los Angeles Times – È un’idea, e come tale non può essere annientata con armi sofisticate, con l’uccisione dei suoi leader o con i bombardamenti dei droni». Il gruppo, che agli inizi di agosto ha compiuto trent’anni, non è certo più quello pensato da Osama bin Laden e Abdul Yussuf Azzam per combattere i sovietici in Afghanistan. Rispetto al passato non ha più una struttura gerarchica mutuando così il modello Isis, un tempo suo affiliato e oggi rivale. Ma rispetto a quest’ultimo non conduce brutali esecuzioni pubbliche da far rimbalzare sui propri media, o attentati eclatanti su larga scala in stile Torri gemelle. La «nuova» Base ha adottato un approccio meno palpabile, più subdolo, volto a penetrare e cooptare le popolazioni musulmane sunnite impegnate in guerre e conflitti interni, infiltrandole e manipolandole, una sorta di embedding jihadista. Così facendo «il gruppo ha ammassato la più grande forza combattente della sua esistenza», circa 20 mila militanti solo tra Yemen, con Al-Qaeda nella penisola arabica, e Siria attraverso Jabat Al Nusra. Hayat Tahrir al Cham, la cordata che combatte a Idlib, è a prevalente concentrazione qaedista. In Iraq la dottrina riconducibile ad Ayman al-Zawahiri rimane il germe mai estirpato delle formazioni terroristiche (l’embrione dell’Isis era Al-Qaeda in Iraq). La sezione maghrebino (Aqim) è più temibile dell’Isis, specie in Libia, mentre in Somalia Al Shabaab funzionano come una mafia jihadista, tra bombe e welfare. «Brand qaedisti» hanno proliferato in tutta l’Asia, riaffacciandosi tra i taleban in Afganistan, mentre lo zoccolo duro non ha mai allentato i legami con il Pakistan. Una «maledizione» che echeggia nelle parole pronunciate dai vertici de La Basa in una riunione preparatoria agli attacchi dell’11 settembre, raccontata a La Stampa dall’ex jihadista libico Noman M. Benotman, compagno d’armi di bin Laden. «Possono anche sbarrare le porte, noi entreremo dalle finestre».