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 2018  settembre 08 Sabato calendario

David Seders e la mania per i diari. Intervista

L’appuntamento è nella sua casa di Londra, zona Notting Hill, ore due di un caldo pomeriggio di sole splendente, entrambe cose rare da queste parti. Suono, non risponde nessuno. Suono di nuovo, niente. Controllo nelle mail orario e luogo. Tutto torna, allora tiro due pugni sulla porta. Sento passi veloci giù dalle scale. E arriva lui, David Sedaris: piccolo, buffo, una camicia indiana bianca, pantaloncini corti con conchiglie stampate su fondo bianco, espadrillas e calzini corti, anch’essi bianchi. «Questo maledetto campanello. Abbiamo chiamato l’elettricista, ma chi l’ha visto». Tipico di Londra, il campanello che non funziona e l’elettricista che non viene. 
Sedaris è proprio come uno se lo immagina. Non stupisce che la sua fortuna sia iniziata proprio vestendo i panni di un elfo in un grande magazzino americano nel periodo natalizio. Da lì nacquero I diari dalla terra di Babbo Natale e il suo primo programma radiofonico su National Public Radio. Era il 1992 e David veleggiava verso i 37 anni. Sul suo diario aveva segnato: «23 dicembre 1992: Non pensavo che le cose nella vita potessero cambiare così velocemente». 
Quella è la data che divide il prima dal dopo. Il prima è fatto di acidi, droghe, bevute, piccoli lavoretti (lavapiatti, cameriere, imbianchino, raccoglitore di mele, pulivetri e mille ancora), conti in rosso («ho pagato l’affitto e la bolletta del telefono, sono rimasto con 43 centesimi»), affannosa ricerca di soldi e di cosa fare da grande, tra la scuola d’arte che frequenta a Chicago, i primi racconti brevi, e un impiego part time come insegnante di scrittura creativa. Il dopo è la vita di un autore diventato uno degli umoristi più popolari del mondo anglosassone, riempie teatri e vende 10 milioni di copie tradotte in 25 lingue. Mondadori pubblica ora la prima parte dei suoi diari (gli anni dal 1977 al 2002) Ragazzi che giornata, con la traduzione di Matteo Colombo.
Pensieri sparsi, cose che lo hanno colpito, dialoghi carpiti per strada, risse, battibecchi nei negozi, barzellette, racconti di persone care, le sue quattro sorelle e il fratello, la morte della madre, i litigi con il padre, gli amici. Sono cose strane, del tutto irregolari come il personaggio, assolutamente inutili lette singolarmente, spassose e molto significative prese nel complesso, perché sono la materia da cui trae la vitalità dei suoi lavori.
Sedaris prepara un caffè fortissimo. R’ tutto molto british, pareti verdoline, nature morte in cornice, parquet sconnesso. «Fuori o dentro?» chiede. Vista la giornata ci sediamo al tavolo di ferro scrostato nel giardino su cui si affaccia la cucina. Tiene un diario da quando ha vent’anni. Ha iniziato quasi per caso e non ha più smesso. «In quarantun’anni sono 168 diari. Il mese prossimo li vengono a prendere». Si alza veloce e sparisce. Si muove come un folletto. Lo sento salire le scale e torna di corsa con due diari in mano. Sono oggetti meravigliosi: uno ha una copertina con dipinto un palombaro. L’altro ha un gufo disegnato dal compagno Hugh Hamrick, con cui vive da quasi trent’anni. Scritti a macchina fitti fitti, con incollate foto di famiglia, biglietti, ritagli di giornale, immagini raccolte per strada, ticket del treno, ricette di cucina. 
Chi li viene a prendere?
«Li ho venduti all’università di Yale. Ma nessuno li potrà leggere finché sono vivo». 
Ci sono cose proibite?
«Quelle che ho pubblicato nel libro sono una piccola scelta. I diari integrali sono troppo compromettenti…» E ride. 
Allora varranno molto. Quanto li hanno pagati?
«Mezzo milione di dollari». 
Nei diari trova sempre banconote per terra. Perché?
«Perché guardo dove metto i piedi. Un’abitudine presa a Parigi dove i marciapiedi sono pieni di cacche di cani. Anche stamani ho trovato 10 sterline». 
E cosa ne ha fatto?
«Li ho dati a uno che puliva rifiuti per la strada. Do sempre dei soldi a chi pulisce le strade. Per non imbarazzarli mi invento che sono soldi trovati per terra, ma questa volta era vero». 
Lei ha un’ossessione per i rifiuti, vero?
«Sì. Sono stato anche ricevuto a Buckingham Palace e premiato dalla Regina Elisabetta. Non per un libro, ma come raccoglitore scelto di rifiuti. Nel West Sussex, dove ho la casa di campagna, mi hanno anche intitolato un camion della spazzatura». 
Cioè?
«Il camion si chiama “Pig Pen Sedaris”. Faccio missioni di raccolta rifiuti abbandonati. Domenica ho camminato 8 ore: ho fatto 20 miglia e sei sacchi di spazzatura». 
Tiene ancora diari?
«Certo. L’ultima voce è della settimana scorsa. In genere scrivo la mattina appena mi sveglio, verso le dieci. La notte vado a dormire tardi. Ieri sono uscito a mezzanotte e ho camminato per le strade di Londra fino alle tre. Di notte, al buio, solo. Magnifico». 
Ai suoi studenti chiedeva di elencare gli ultimi tre libri letti. I suoi?
«Fame di Knut Hamsun. Nostalgia di un altro mondo di Ottessa Moshfegh, e Less di Andrew Sean Greer». 
Nei diari origlia conversazioni e segue la gente per strada. Lo fa ancora?
«Certo. Di recente a San Francisco ho seguito un tizio apparentemente normale che aveva provato a spaccare la vetrina di un negozio. E’ pieno di psicopatici a San Francisco».
Il successo è fortuna o abilità?
«Le opportunità capitano un paio di volte nella vita. Bisogna essere pronti a coglierle. Io ero pronto quando mi hanno chiesto di leggere qualcosa di mio in pubblico e ho scelto una pagina di un diario. Lì ho capito che facevo ridere la gente… Io faccio lo stesso nei miei reading adesso». 
Fa cosa?
«Do una chance alla gente che si presenta dicendomi di voler fare lo scrittore. Quando qualcuno viene ai firmacopie e mi dice: voglio scrivere». 
Quindi?
«Io li faccio salire sul palco e se funzionano c’è sempre qualcuno che prende i loro contatti. Da cosa nasce cosa. Ma molti non hanno niente da leggere e vuol dire che non era la loro occasione. Chiedo loro: hai scritto oggi? No. Hai scritto ieri? No. Allora non sei uno scrittore». 
I giovani autori scrivono molto su Facebook o sui blog. Questi diari tecnologici non sono una versione moderna dei vecchi diari?
«Assolutamente no. Io ho una pagina con un milione di followers ma non la curo io e non la guardo mai. Non ci scriverei mai come su un diario. Se dovessi dare un consiglio a un giovane scrittore direi: dovete scrivere per sette anni prima di pubblicare qualcosa. Tutto il resto è immondizia». 

Ps. Questo colloquio si è svolto con intermezzi di battute e barzellette talmente sporche che non è stato possibile pubblicarle, neppure dopo averle ripulite con il camion del West Sussex.