Corriere della Sera, 9 settembre 2018
Il limite tra il pensabile e il dicibile
Cose che non si devono pensareAntonio Carioti
Lascia il segno la frase pronunciata da Edoardo Albinati in un dibattito a Milano, il 12 giugno scorso, a proposito dell’imbarcazione di una ong, carica di migranti naufragati, alla quale era stato vietato di approdare in Italia: «Sapete, sono arrivato a desiderare che morisse qualcuno su quella nave. Ho desiderato che morisse un bambino sull’Aquarius». Agli attacchi durissimi ricevuti per quelle parole ora lo scrittore, dopo un lungo silenzio, ha risposto con il libro Cronistoria di un pensiero infame (Baldini+Castoldi), in uscita giovedì 13 settembre, sul quale lo abbiamo invitato a dibattere con il linguista Giuseppe Antonelli e con la filosofa Donatella Di Cesare. Il punto di partenza è se sia lecito e conveniente far venire allo scoperto con le parole il lato oscuro che alligna nell’animo di tutti noi.
GIUSEPPE ANTONELLI – Il confine tra il pensabile e il dicibile si è assottigliato, perché gli smartphone e i social network hanno ridotto la distanza tra sfera pubblica e sfera privata. Ormai quasi si sovrappongono. Quindi è diventato facile leggere nel pensiero altrui: basta andare su Twitter o Facebook, dove le persone mettono in piazza anche dei «selfie verbali», autentiche radiografie dei loro umori. Così il privato, il personale, diventa politico. Ma in modo opposto rispetto al senso che la frase aveva negli anni Settanta. Adesso è il personale che domina anche la sfera del politico. Vince l’idiota, nel senso etimologico della parola greca idiotes: colui che pone al di sopra di tutto i suoi interessi particolari. Di conseguenza si è allentato il comune senso del pudore anche in campo linguistico: si sono indeboliti, quasi annullati, i filtri che selezionavano le espressioni adoperabili in pubblico, diverse da quelle in uso nel privato. Albinati nel libro scrive che aveva già bofonchiato a casa sua, davanti alla tv, la frase che ha fatto scandalo. Ma altro ovviamente è ripeterla in pubblico. Da questa caduta dei tabù deriva poi l’esaltazione della spontaneità, vera o presunta. La retorica delle frasi tipo: sono fatto così, sono sincero, ruspante, non fingo e ne sono orgoglioso. A volte certi personaggi pubblici simulano questo atteggiamento perché piace. Di qui anche la rozzezza, il turpiloquio e l’indifferenza per la grammatica. Alcuni studiosi ritengono che certi errori nei tweet di Donald Trump non siano sviste ma vengano inseriti a bella posta. Nel romanzo 1984 di George Orwell la neolingua della politica era imposta dal dittatore supremo, il Grande Fratello. Ma mi pare che la neolingua di oggi s’ispiri piuttosto alla trasmissione televisiva Il Grande Fratello, un posto dove si finge di essere sé stessi e si può dire qualunque cosa, tranne bestemmiare. Così il confine tra privato e pubblico diventa impercettibile e basta distrarsi un attimo per cadere nell’atteggiamento dominante.