la Repubblica, 8 settembre 2018
Hyde Park, una domenica a Speaker’s Corner
Fratelli e sorelle, pentitevi finché siete in tempo, s’avvicina il giorno del giudizio!», tuona il giovane in tunica e sandali da francescano. Non sembra un frate, ma sfoglia una Bibbia, cerca una pagina e intona: «Io sono l’Alfa e l’Omega, colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!». Dall’uditorio risuona qualche risolino. Poco più in là si forma un capannello attorno a una donna di mezza età dall’aria allucinata: «Londra è il pozzo nero cui affluisce il marcio della terra», ammonisce lanciandosi in un’invettiva contro immigrati, banchieri, criminalità organizzata. Nel frattempo, all’ombra di una quercia, un signore occhialuto avverte che gli extraterrestri sono già scesi fra di noi. In lontananza avanza un drappello di curdi: diffondono volantini e appelli per l’indipendenza del proprio popolo, più tardi rimpiazzati da rappresentanti di fazioni siriane, cinesi che si oppongono a Pechino, difensori dell’etnia Rohingya. In piedi su una sedia o uno sgabello, oratori discettano di aracnofobia, veganismo e complotti massonici. Davanti a una panchina scoppia un’animata discussione fra un americano che difende Trump e uno scozzese che lo detesta. Un tipo barbuto con la chitarra strimpella Blowing in the wind, per poi gridare: «Amore libero per tutti». Sullo sfondo scattano foto turisti giapponesi, sfrecciano ragazzini in skate- board e fa la ronda un placido bobbie. A un chiosco poco distante c’è la coda per il cappuccino. Benvenuti a Speakers’ Corner. In una tiepida domenica di fine estate, l’atmosfera è rilassata e tranquilla. Eppure questo angolo di Londra, da 150 anni simbolo della libertà d’espressione, da alcuni mesi provoca tensioni e violenze che rischiano di snaturarlo. Vi sono apparsi ripetutamente seguaci di Anjem Choudary, un controverso imam condannato per apologia del terrorismo, che in ottobre potrebbe uscire di prigione. Ci è venuto a parlare Tommy Robinson, ex leader dell’English Defence League, gruppo xenofobo messo al bando, accompagnato da muscolosi sostenitori. Estremisti islamici e suprematisti bianchi vi si riuniscono regolarmente, zittendo a spintoni chi non la pensa come loro e filmando i propri interventi con lo smartphone per postarli sui social network, dove ottengono migliaia di visualizzazioni. «Naturalmente è legittimo mettere video online», accusa Bryn Harris, portavoce di Speakers’ Corner Trust, un’associazione per la libertà di parola, «ma siti e movimenti politici ne approfittano, usando il richiamo di uno storico luogo per fare propaganda online». Conferma Heiko Khoo, un anziano marxista che viene qui da anni a inneggiare pacificamente alla rivoluzione: «Il web ha cambiato Speakers’Corner. La gente non usa più l’arte oratoria per attirare l’attenzione dei passanti o vincere un dibattito. Pensa solo all’audience che farà su YouTube». Concorda Friends of Hyde Park, organizzazione di beneficenza che rappresenta i frequentatori del parco: «L’utilizzo che viene fatto oggi di questo posto è un abuso della sua tradizione di tolleranza».
È una tradizione che affonda le radici nella storia della Gran Bretagna. Nel 1536 Enrico VIII, il re dalle sei mogli, compra Hyde Park dai monaci dell’abbazia di Westminster come riserva per dare la caccia ai cervi. Cent’anni dopo, Carlo I lo apre al pubblico. Per secoli, l’angolo al limitare nord- orientale del parco, vicino a Marble Arch, rimane tristemente noto come Tyburn Gallows, la forca in cui avvengono le impiccagioni pubbliche: ce ne furono 50mila, grandi eventi cui assistevano migliaia di persone, talvolta pagando il biglietto per un comodo posto a sedere. Sul patibolo, al condannato veniva data la possibilità di confessare, proclamare la propria innocenza o criticare le autorità. E per criticare le autorità, nel 1855 si tenne nello stesso punto una protesta di massa che provocò tre giorni di disordini, cariche della polizia e dimissioni del ministro degli Interni. Ispirati dai condannati a morte cui era concessa almeno “l’ultima parola”, l’anno seguente i manifestanti tornarono, in 150 mila, proclamando anch’essi le proprie ragioni: e stavolta la polizia non si fece vedere. Il principio venne stabilito de facto, finché nel 1872 il parlamento stabilì che a Speakers’ Corner chiunque poteva fare discorsi su qualunque argomento. In realtà qualche limitazione esisteva: non erano permesse oscenità, blasfemia e insulti alla Regina. Ma nel 1999 una sentenza della Corte Suprema ha esteso il diritto a pronunciare «opinioni di ogni tipo», compreso ciò che è «irritante, contenzioso, eccentrico, eretico, provocatorio e offensivo, a patto di non incitare alla violenza».
Issati su una soapbox, una cassetta di legno simile a quelle originariamente usate per le spedizioni di sapone, a Speakers’Corner hanno parlato fra gli altri Churchill, Marx, Lenin, George Bernard Shaw e George Orwell, l’autore di1984, che lo definiva «una piccola meraviglia del mondo» e disse di avervi sentito discorsi di «nazionalisti indù, comunisti, integralisti cattolici, vegetariani, mormoni, portavoce dell’Esercito della Salvezza e un bel po’ di lunatici». Un certo lord Soper, sacerdote metodista, anarchico e pacifista, si vantava di averci fatto discorsi ininterrottamente dal 1926 al 1998. Recentemente è perfino uscito un libro, A Summer in the Park: a Journal of Speaker’s Corner, del giornalista Tony Allen, che raccoglie gli interventi più caratteristici. Anche in passato, per la verità, ci sono state sporadiche violenze: per sciogliere i meeting delle prime suffragette nel 1906, le dimostrazioni delle camicie nere del fascista britannico Oswald Mosley (padre di Max, ex presidente Formula Uno) nel 1934, incidenti durante la grande manifestazione contro la guerra in Iraq nel 2003.
La novità è che ora alcuni movimenti estremisti hanno iniziato a strumentalizzare Speakers’ Corner come tam-tam mediatico: pronunciato qui e poi messo online, un discorso ha più valore che se fatto altrove. Per fondamentalisti islamici e suprematisti bianchi, l’Angolo degli Oratori è diventato l’equivalente di una piazza digitale da conquistare. In un certo senso, la polemica lo ha modernizzato, portandolo nel XXI secolo. Ma ne dimostra anche i limiti, nell’era in cui i social sono l’altoparlante del mondo per comizi su qualsiasi tema, pubblico e privato, serio, futile o ignobile. Non per nulla nel suo ultimo libro,Free speech, il politologo Timothy Garton Ash definisce Internet come «la più grande fogna del pianeta» con cui la libertà di parola deve fare i conti. IlTimes ha già dato l’allarme sul fenomeno. Finora Scotland Yard minimizza, affermando che non saranno tollerati soprusi e installando una discreta vigilanza. Fortunatamente ci sono giornate normali, in cui questo spicchio di Hyde Park riacquista il ruolo che ne ha fatto un simbolo di democrazia, un’istituzione e pure un’attrazione turistica. «Un luogo», come dice Paul Hunt, uno dei suoi habitué, «pieno di gente che parla senza avere niente da dire a gente che non ha nessuna intenzione di ascoltare». Ma anche questa è libertà d’espressione.