La Stampa, 7 settembre 2018
L’allegro tropeolo, una vera icona botanica
Alcune settimane fa ho seminato i tropeoli, che tutti chiamiamo nasturzi ma che tali non sono. Il vero Nasturtium è tutt’altra cosa e cioè il crescione d’acqua, che con i tropeoli ha poco in comune al di fuori della sua commestibilità. Forse per evitar confusioni sarebbe meglio ricorrere al francese: le capucines di Giverny, sia vere che dipinte, sono talmente celebri da fugare ogni dubbio. Una vera icona botanica, che già dice tutto sulle virtù dei tropeoli in giardino, sulle loro necessità di coltura e sul modo di gran lunga migliore di proporli, piacevolmente anarchici e scomposti a invadere e «mangiare» stradini e aiuole.
Ad ogni modo credo di aver commesso un errore: le mie piantine sono così stentate da rendere palese uno sbaglio di tempistiche. Normalmente i tropeoli vengono seminati in aprile e maggio, direttamente a dimora perché mal sopportano i trapianti. Qualche volta ho visto farlo anche sul finire di agosto, in modo da avere fioriture di prima mano fino ad autunno inoltrato, clima permettendo. Ho tentato questa strada, ma devo avere anticipato troppo: i caldi delle scorse settimane hanno evidentemente avuto la meglio. E siccome il bello di lavorare in giardino anche dopo tutti questi anni è che ogni volta imparo qualcosa di nuovo, avvicinandomi progressivamente ai bisogni delle piante un po’ come fa chi accorda uno strumento musicale, non mi sono scoraggiato.
Ho letto un libricino scritto da chi ne sa di più, Tropeoli di Susanna e Linda Aimone (edizioni Edagricole), con la garanzia che il vivaio di Susanna Aimone in quel di Busca, che di nome fa Jshandhoor, coltiva una delle più ricche collezioni di tropeoli in Italia. E ho avuto conferma che la facilità e la velocità con cui i semi germogliano non garantiscono affatto risultati all’altezza. Occorrono speciali accorgimenti e innanzitutto un terreno fresco e umido (come il proliferare di stagni con le ben note ninfee a Giverny dimostra), non solo in piena estate ma durante tutta la stagione di crescita. Un terreno arioso e ben drenato: è consigliabile perciò miscelarci della sabbia. Quanto all’esposizione meglio evitare sole o ombra pieni: un luminoso muoversi di fronde può essere la scelta vincente, a meno che si abbia a che fare con varietà a fogliame screziato che preferiscono ombreggiamenti maggiori. Il tropeolo già di suo esagera in foglie, a tutto scapito delle fioriture: bando dunque ai concimi azotati, mentre è benvenuto un qualche apporto fosforico, e si consiglia di cimare continuamente le giovani piante perché non crescano rade, filate e deboli. Nelle loro terre d’origine, dalla Colombia all’Ecuador, sono perenni, ma da noi, almeno nei climi più freddi, si comportano come annuali, riseminandosi generosamente da un anno all’altro.
La prima specie arrivata in Europa per mano dei conquistadores fu il Tropaeolum minus, con foglie e fiori mignon, dai petali più appuntiti e spesso screziati. Dopo quasi un secolo arrivò il T. majus e fu un vero successo che ebbe il suo apogeo in età vittoriana, con un susseguirsi frenetico di ibridi oggi andati in gran parte perduti. Poi del tropeolo i giardinieri parvero stufarsi e venne relegato negli orti, dove insieme ai tageti umilmente contribuì alla lotta contro afidi & C. Cavoli, zucchine e pomodori ne divennero i più assidui compagni e in Inghilterra non era raro vederlo rampicarsi sugli alberi da frutto.
Allegro ed esuberante leitmotiv dell’orto estivo è pianta meritevole non solo per i fiori, racchiusi in boccioli simili a quelli del cappero e con un tipico e allungato sperone che suggella il nettare. Anche le foglie tonde, ben innervate dal centro, di un verde a volte pallidissimo, altre più brillante o glauco possono essere di grande fascino, soprattutto quando trattengono le gocce d’acqua alla maniera della montana alchemilla. A Linneo ricordavano degli scudi e i fiori degli elmi: un vivace trofeo di guerra da cui è derivato il nome dei tropeoli, dal greco tropaion, trofeo per l’appunto, perché era usanza dei greci prima e dei romani poi innalzare sul campo di battaglia un tumulo con le armi dei vinti...